Un datore di lavoro può dichiarare, genericamente, senza quindi che sia possibile individuare un soggetto preciso o un colloquio in atto, che una persona di colore o di un orientamento sessuale diverso dal suo non lo assumerebbe? L’impulso primigenio di un giurista sarebbe quello di condannare l’affermazione da un punto di vista etico ma, con tutta probabilità, sotto l’aspetto tecnico-giuridico, troverebbe strada l’idea che, non essendovi la vittima dell’atteggiamento discriminatorio, l’insulto razzista debba restare impunito. Questo deve avere pensato in Italia un Avvocato durante una trasmissione radiofonica, ma gli è andata maluccio, poiché secondo la grande sezione della Corte di Giustizia Europea (sentenza del 23 aprile 2020 – causa C-507/18), anche se non è identificabile un individuo leso, il diritto nazionale può prevedere che un’associazione sia legittimata ad agire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni. E l’Associazione c’era, purtroppo per lui, e anche ben strutturata. Si è trattato dell’Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford che, resasi conto delle affermazioni, le ha ritenute discriminatorie in violazione del Dlgs n. 216/2003, attuativo della direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, e ha intentato causa. Trascinatasi per due gradi di giudizio in cui l’Associazione è risultata vittoriosa, la vicenda è giunta in Cassazione, poiché il legale continuava a sostenere di aver espresso solamente un’opinione non in veste di datore di lavoro bensì come semplice cittadino, e quindi l’Associazione non avrebbe avuto una legittimazione a lamentarsi del fatto. I Giudici del Lussemburgo hanno dato ragione all’associazione, interpretando in modo estensivo la natura dei diritti che la direttiva intende tutelare, la quale “deve essere interpretata nel senso che in essa rientrano delle dichiarazioni rese da una persona nel corso di una trasmissione audiovisiva secondo le quali tale persona mai assumerebbe o vorrebbe avvalersi, nella propria impresa, della collaborazione di persone di un determinato orientamento sessuale, e ciò sebbene non fosse in corso o programmata una procedura di selezione di personale, purché il collegamento tra dette dichiarazioni e le condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro in seno a tale impresa non sia ipotetico”. Troppo tempo e troppe risorse per giungere ad una decisione che prima d’essere scritta dai Giudici era già scolpita nella coscienza di qualsiasi cittadino di media sensibilità. Auguriamo a quell’avvocato di svegliarsi gay, così, dovendo avere maggiore rispetto per sé stesso, ne avrà anche per gli altri, sempre che non decida, con i gusti così mutati, di inveire contro i potenziali suoi dipendenti eterosessuali durante un’altra trasmissione. Ecco il provvedimento.
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