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GAZA: POPOLAZIONE A RISCHIO CARESTIA MA NESSUNA TREGUA

A pagare le conseguenze di una guerra è sempre e soltanto la popolazione civile. La tragedia umanitaria che si sta consumando all’interno della Striscia di Gaza ha raggiunto livelli “catastrofici”. 576.600 persone patiscono la fame e il rischio di carestia “sta aumentando ogni giorno”: questo è quanto emerge da una moltitudine di rapporti di diverse agenzie delle Nazioni Unite e Ong. Si tratta ormai purtroppo di un resoconto, descritto innanzitutto da Save The Children. “Una famiglia su quattro a Gaza si trova ora ad affrontare condizioni catastrofiche di insicurezza alimentare acuta, caratterizzate da carenze alimentari estreme e collasso dei propri mezzi di sussistenza”. L’ultimo, gravissimo allarme giunge dall’Ipc: “L’intera popolazione di Gaza è a rischio carestia”, secondo il report datato 22 dicembre, che riferisce la “percentuale più alta di persone che affrontano l’insicurezza alimentare che l’IPC (Integrated Food Security Phase Classification, ndr) abbia mai registrato in qualsiasi Paese o regione nella storia”. Il dramma è causato sostanzialmente dall’incapacità, da parte degli aiuti, di raggiungere la regione e la popolazione e, in particolare, i bambini, ossia le vittime più vulnerabili, assieme a donne e anziani. “Se il governo israeliano non consentirà immediatamente l’accesso agli aiuti umanitari e alle merci, una generazione di bambini di Gaza, sottoposta a continui bombardamenti, subirà le conseguenze a lungo termine di una grave malnutrizione”, prosegue Save The Children. Attualmente gli aiuti giungono alla Striscia attraverso il valico di Rafah e quello di Kerem Shalom, tra la Striscia e Israele, aperto da poco. Ma queste uniche due strade non sono assolutamente sufficienti e, secondo le Nazioni Unite, persino ostacolate dagli attacchi militari.

Il bollettino dell’Unrwa datato 18 dicembre contava 1,9 milioni di sfollati, pari all’85% della popolazione, in tutta la Striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre scorso, con “famiglie costrette a spostarsi ripetutamente in cerca di sicurezza”. Il Ministero della Salute di Gaza segnalava, sempre al 18 dicembre e a partire dall’inizio delle ostilità, 19.453 palestinesi uccisi, di cui il 70% costituito da donne e bambini. Il tutto oltre a 52.259 feriti. In attesa di una nuova cessazione temporanea delle ostilità, argomento prettamente politico e sul quale gli attori internazionali non riescono ancora a trovare un accordo, ieri il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deliberato una risoluzione di fatto poco risolutoria, con la quale si chiede “a tutte le parti di autorizzare e facilitare la consegna immediata, sicura e senza ostacoli di assistenza umanitaria su larga scala” nella Striscia di Gaza, utilizzando “tutte le vie di accesso e di circolazione disponibili”. La situazione attuale vede la Striscia completamente assediata dalle milizie israeliane, circondata da ogni fronte e occupata parzialmente dalle truppe nella zona Nord. Lo Stato di Israele, pertanto, autorizza gli ingressi degli aiuti anche per esigenze di controllo del materiale in ingresso, onde scongiurare così che pervengano ad Hamas forniture militari mascherate. Contestualmente, l’ultima posizione ufficiale delle Istituzioni internazionali, che chiede una generica collaborazione di “tutte le parti”, sembra tradire un certo imbarazzo, evitando di prendere una posizione di aperta condanna nei confronti di chi, concretamente, dovrebbe essere l’unico vero attore da sollecitare.

L’Unicef stima che “nelle prossime settimane almeno 10.000 bambini sotto i cinque anni soffriranno della forma di malnutrizione più pericolosa per la vita, nota come grave deperimento, e avranno bisogno di alimenti terapeutici”. Trattasi di un rischio definito “inaccettabile” e che giunge in un momento “in cui i sistemi alimentari e sanitari della Striscia di Gaza sono al collasso totale”. La quasi totalità di bambini di tenera età di trova in “condizioni di grave povertà alimentare” e “più di due terzi degli ospedali non funzionano più a causa della mancanza di carburante, acqua e forniture mediche vitali o perché hanno subito danni catastrofici durante gli attacchi”. Le storie raccolte da Wfp (World Food Programme) sono strazianti. “Raccogliamo la plastica nelle strade per fare un fuoco e cucinare per i nostri figli quello che riusciamo a trovare. Non c’è farina e i bambini hanno la diarrea, nessuno ci sta vicino. Cosa abbiamo fatto per meritare tutto questo?” racconta Al-Masry ai volontari sul campo, una giovane donna rimasta sola perché il marito è morto a causa di un attacco aereo che ha distrutto la loro casa a Bayt Layhya. In tutto questo “persistono gravi preoccupazioni per le malattie trasmesse dall’acqua a causa del consumo proveniente da fonti non sicure, in particolare nel nord, dove l’impianto di desalinizzazione dell’acqua e la conduttura proveniente da Israele sono stati chiusi”, riferisce l’Ocha, agenzia Onu per il Coordinamento degli Affari Umanitari. “I diritti umani si applicano a tutti, senza distinzione, chiunque siano e ovunque si trovino” ha detto Stephanie Case, capo della divisione di protezione dell’Unrwa, che ha proseguito: “Ma per i rifugiati palestinesi la promessa di diritti universali sanciti della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è raramente sembrata così lontana”. La situazione è definita “terribile” anche da Tedros Adhanom Ghebreyesus, responsabile dell’Oms, e si “aggrava ulteriormente” anche a causa della “scarsità di forniture mediche, cibo, acqua, carburante ed energia”. Condizione peraltro “esacerbata dalla decimazione delle strutture sanitarie e dagli attacchi agli operatori sanitari”. Il capo economista del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Uniti Arif Husain, secondo quanto riferisce Ansa, ha commentato: “Non ho mai visto qualcosa delle dimensioni di quanto sta accadendo a Gaza. E a questa velocità”.

Data:

24 Dicembre 2023