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GENESI E FENOMENOLOGIA DELLA LINGUA SICILIANA NON SOLO MULTILINGUISMO (I^ PARTE)

L’analisi storico-scientifica della lingua di un territorio o di una specifica area geografica non è cosa agevole. Essa presuppone passione, studio, ricerca e, soprattutto, il possesso di diversi strumenti (conoscenza del latino, del greco, dell’arabo etc) e della storia di quel determinato territorio in cui la lingua è nata e, nelle more dei secoli, si è evoluta.

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Una delle tante mappe storiche della Sicilia

A tal fine di certo è da ausilio la filologia, ovvero la disciplina relativa alla ricostruzione e alla corretta interpretazione dei documenti letterari di una determinata cultura, ma ove ciò fosse impossibile o, quantomeno difficoltoso, per esempio a causa della scarsità o dell’inesistenza di testi oggetto del relativo studio, allora necesse erit ricorrere alla glottologia, materia che si occupa dello studio scientifico delle lingue, nella loro struttura o nella loro storia. In ultimo, ma non per ordine di importanza, sarà necessario anche conoscere il substrato etnico, dunque culturale e religioso delle popolazioni che, di volta in volta si sono succedute in quel determinato territorio, scandendone le tappe e determinandone anche gli usi e i costumi. È arcinoto a tutti i cultori e appassionati che quella delle discipline linguistiche è un universo assai variegato, basti pensare alla c.d. ricostruzione linguistica, ricorso prodromico per quelle lingue prive di qualsiasi forma di documentazione diretta: vedi la lingua indoeuropea. A seguire troviamo, in una posizione intermedia, quella delle cosiddette Restsprachen (“lingue residuali”), definite in tal modo a causa della loro documentazione che, seppur esigua, consente, comunque, di svolgere un minimo di “ricostruzione”: ed è il caso di lingue italiche come il siculo, l’osco ecc.

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Restesprechen, foto da archivio

A questo punto sorge spontanea una domanda: è possibile estendere l’applicazione formale di problemi ricostruttivi a lingue che, pur documentate, recano nel loro DNA i segni di una storia sociale fittamente intricata? La risposta è sì e un caso di studio di grande rilevanza e, direi, quasi “scolastico”, è quello offerto dalla più grande isola del Mediterraneo, la Sicilia, la cui lingua romanza, il siciliano appunto che, da sempre, per tutti gli studiosi ha destato curiosità proprio per il suo carattere poco conservativo, ma solo all’apparenza, rispetto a quello di altre lingue insulari e peninsulari del Sud. È, ad esempio, interessante segnalare come alcuni dialetti meridionali conservino strati di latinità più arcaici (come il lessema crai ”domani”, che continua il latino classico cras), mentre il siciliano vanta forme riconducibili a tipi lessicali meno antichi (qui cras ha subito la concorrenza della sua corrispettiva innovazione del latino tardo, ”de mane”, da cui deriva l’odierno domani). Nel caso in cui volessimo aprire un dibattito su quest’ultimo argomento, si potrebbe, pur sempre, scomodare un’altra branca della linguistica, la ”geografia linguistica“ che, fatte salve alcune eccezioni, ci insegna che è più plausibile che un repertorio lessicale più arcaico si conservi in regioni più isolate, come quelle insulari. Pertanto nasce una seconda domanda: tutto ciò è valso anche per la Sicilia? Il siciliano è un dialetto neolatino (come l’italiano del resto, il quale è diventato lingua principale e ufficiale solo per ragioni storiche) il cui principale problema di studio ruota attorno alle modalità temporali con cui il latino sia giunto nell’isola e a come abbia interagito con le altre lingue che si parlavano in Sicilia. Ma di quali lingue stiamo parlando?

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Pagina del dizionario siciliano della Cademia siciliana

La vitale ed energica continuità del greco, dall’antichità sino al XII sec., è argomento indiscusso, e fu tanto veemente da attraversare lo Stretto, espandendosi in Calabria e in alcune aree dell’attuale Puglia, del Molise, della Basilicata e della Campania. Nell’827 d.C, con l’invasione musulmana dell’isola e, di conseguenza, anche della lingua araba, inizia la prima contaminazione delle lingue parlate in Sicilia.

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Mappa storica di diffusione della lingua siciliana e del siculo gallico occidentale

Ma la sorte linguistica della Trinacria si decide con l’arrivo dei normanni, giunti nel 1061 per liberarla dal giogo arabo. Dopo trent’anni di sanguinose battaglie, la Sicilia diventerà quadrilingue, infatti la lingua romanza locale darà continuità al “siciliano” più antico, ma escluso da usi scritti. Per questa ragione si parla di Restsprachen, ovvero di lingua residuale. Non siamo in possesso di alcuna documentazione diretta del siciliano anteriore all’epoca normanna. Ma quale sarà stata la sua prima forma? Beh… purtroppo è cosa impossibile saperlo in questa sede, ma a quanti di voi vorranno approfondire scientificamente questo argomento, suggerisco le seguenti letture.

Lingua e storia in Sicilia, di A. Varvaro Sellerio, Palermo, 1981.

La parola nel tempo. Lingua, società e storia, Il Mulino, Bologna, 1984. – Fra Oriente e Occidente. Per una storia linguistica dell’Italia meridionale, Edizioni ETS, Pisa, 1996.

(Continua)

Data:

20 Agosto 2023