Giancarlo Vergelli e Vitantonio Bini, entrambi condannati per uxoricidio rispettivamente a otto e sei anni di carcere, hanno ottenuto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la grazia, ritornando così in libertà.
Per chi non conoscesse i retroscena delle vicende, l’iniziativa del Capo dello Stato risulterebbe inspiegabile.
Si tratta tuttavia di storie di solitudine e malattia, una delle più temibili, l’Alzheimer.
L’ottantottenne Giancarlo Vergelli strangolò la moglie ammalata con una sciarpa rimanendole accanto per oltre un’ora, dopodiché si recò in questura e, autodenunciandosi, spiegò di non aver potuto accettare il repentino aggravarsi della patologia della sua amata consorte.
Vitantonio Bini, ex vigile oggi ottantanovenne, nel 2007 pose fine alle sofferenze della moglie, anch’essa ammalata di Alzheimer, che per ben dodici anni aveva amorevolmente accudito in casa fino a che si era reso necessario il ricovero presso una struttura specialistica. Bini, tuttavia, resosi conto dell’improvviso aggravamento delle condizioni della sua Mara, si recò con la vecchia arma di ordinanza nel reparto di degenza e compì il disperato gesto, uccidendola con tre colpi di pistola.
Per entrambi gli anziani uomini si è trattato di un gesto dettato dalla disperazione.
L’Alzheimer è una patologia che spaventa, coinvolgendo i familiari di chi ne è colpito e provandoli sia fisicamente sia dal punto di vista psichico.
Sorvolando sulle ben note, devastanti manifestazioni della malattia, che progressivamente rende la persona che ne soffre sempre più fragile e irriconoscibile, fino a trasformarla in un essere che non parla, non ricorda e non riconosce, sarebbe opportuno focalizzare l’attenzione sui caregivers, spesso lasciati soli in situazioni di enorme disagio, come nel caso di Bini e Vergelli.
La carenza di strutture ad hoc e di personale specializzato, aggrava le singole situazioni rendendole spesso ingestibili.
È, in primo luogo, fondamentale prevenire l’insorgere della temibile patologia, per la quale è stata accertata la familiarità (in un nucleo familiare nel quale c’è stato un ammalato di Alzheimer, vi è una più elevata incidenza di casi). Curare alcuni disturbi correlati (uno dei fattori predisponenti è l’ipertensione arteriosa), mantenere la mente allenata (con la lettura ad esempio) e riconoscere i sintomi iniziali è un buon metodo per allontanare gli effetti devastanti della fase più avanzata e di difficile gestione della patologia.
Sarebbe inoltre opportuno dotare il territorio di strutture specializzate e, soprattutto, alla portata di tutti, convenzionate con il sistema sanitario nazionale e quindi accessibili anche ai meno abbienti.
Garantire, infine, un supporto psicologico ai caregivers affinché non siano da soli ad affrontare la malattia del proprio parente – spesso il proprio coniuge e/o genitore – onde prevenire episodi come quelli che hanno visto Giancarlo e Vitantonio, artefici di un gesto dettato solo dalla mancata accettazione di una malattia che trasforma il proprio caro, rendendolo irriconoscibile e, ahimè, inaccettabile.