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GIANNI VATTIMO -I^ Parte

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Con l’espressione “pensiero debole” o ermeneutica Gianni Vattimo definisce le sue posizioni filosofiche, intendendo collocare il suo pensiero in quella che più volte ha definito la nuova koiné del nostro tempo: la cultura filosofica postmoderna, derivante dall’eredità di Nietzsche e Heidegger, che ha trovato espressione ed approfondimento in Gadamer, Ricoeur, Rorty, Derrida.

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Esponente di rilievo dell’ermeneutica contemporanea, fortemente influenzato dal pensiero di Martin Heidegger e di Friedrich Nietzsche, Vattimo ritiene che l’oltrepassamento della metafisica sfoci in un’ etica dell’interpretazione . La filosofia diventa pensiero debole in quanto abbandona il suo ruolo fondativo e la verità cessa di essere adeguamento del pensiero alla realtà, ma si esplicita come continua interpretazione.

Secondo Vattimo, la filosofia contemporanea, sulla scia di Nietzsche e del nichilismo, si presenta come pensiero senza fondamenti, nell’eclissi dell’idea di verità, come riflessione non più ancorata alle solide basi della metafisica e della certezza cartesiana. Essendo tramontato il periodo dei sistemi e delle ideologie forti, quella attuale è l’epoca delle strutture deboli. La ragione depotenziata non è più centrale, è entrata in una zona d’ombra e nei contorni incerti, appare come eclissata.

La base del pensiero debole è costituita dall’idea che l’uomo legge il mondo entro orizzonti linguistici storici. Nel pensiero debole svanisce la concezione fondazionale della filosofia, si dissolvono i fondamenti ultimi, i princìpi incontrovertibili, le idee chiare e distinte, i valori assoluti, le evidenze originarie e le leggi ineluttabili della storia. Il pensiero debole cambia l’immagine della razionalità, la quale deve depotenziarsi, cedere terreno, non restare paralizzata dalla perdita del riferimento dell’illuminismo cartesiano, unico e stabile. Rinunciando a fondamenti certi e destini ultimi, il pensiero debole si avvicina al passato con la pietas e nel presente pone attenzione a quei settori dell’esperienza umana calpestati da uno sguardo totalizzante.

Il pensiero debole segna la fine della modernità, di quel periodo che va da Cartesio a Nietzsche, dominato dall’idea-forza del progresso umano. Infatti, se la modernità ha concepito la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo appare capace di una sempre più perfetta realizzazione della propria natura, di un esercizio sempre più ricco delle proprie facoltà, l’uomo moderno è stato contrassegnato dalla fiducia in se stesso come creatore e protagonista di una civiltà nuova più avanzata e più democratica di ogni epoca precedente, e in costante movimento verso ulteriori traguardi. L’idea forza della modernità è dunque il progresso, ora in crisi, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione.

Il contenimento del pensiero forte serve a contrastare la violenza e a costruire uno spazio sempre più aperto alla libertà, alla tolleranza, ai rapporti con le altre culture. A contrastare le pretese della filosofia fondazionale è l’ermeneutica, arte e tecnica dell’interpretazione che riguarda il rapporto tra linguaggio ed essere. Esistere significa vivere in relazione al mondo attraverso il linguaggio. Le cose vengono all’essere solo entro orizzonti linguistici storicamente qualificati, in cui, come orizzonti temporali e non eterni, sparisce ogni pretesa di discorsi o teorie eterne e assolute su Dio, sull’uomo, sul senso della storia o sul destino dell’umanità.

L’uomo si trova da sempre gettato in un progetto, in una lingua, in una cultura e si apre al mondo tramite il linguaggio. Risalire a queste aperture linguistiche che permettono la visione del mondo significa pensare e prendere consapevolezza della molteplicità delle prospettive e degli universi culturali. Il pensiero debole è la fine della struttura stabile dell’essere, dunque anche di ogni possibilità di enunciare l’esistenza di Dio. L’avventura del pensiero metafisico è giunto al suo tramonto.

Il grido di Nietzsche “Dio è morto” va inteso, secondo Vattimo, nel senso della fine di ogni discorso metafisico che pretende darci verità ultime e definitive. La verità diventa la trasmissione di un patrimonio linguistico e storico, che rende possibile e orienta la comprensione del mondo. Ma se per la modernità la storia è progresso, processo di continuo superamento, il pensiero debole è il postmoderno, la fine della storia. Compito del filosofo, di fronte a una condizione umana profondamente mutata, è quello di individuare criteri di giudizio che abbiano un valore locale, circoscritto, e non pretese globali o totalizzanti.

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Per Vattimo nella nascita di una società post-moderna un ruolo determinante è esercitato dai mass media (La società trasparente, 1989). Tuttavia, l’esplosione dei mezzi di comunicazione non rende la società più trasparente, più consapevole di sé, più illuminata: i mass media tendono a riprodurre gli accadimenti in tempo reale, moltiplicando la complessità della realtà. Nella metafora della trasparenza, nell’indebolimento dell’essere, l’ontologia del declino esprime la vanificazione della realtà, che vada oltre l’apparenza. La simulazione, la finzione, l’artificialità, la superficialità dell’apparire si istallano al posto 6del fondamento.

La tesi di Vattimo è che proprio in questo relativo caos risiedono le nostre speranze di emancipazione. La mancanza di trasparenza non è dunque un fenomeno da combattere; è invece il sintomo di un grande rivolgimento, che coinvolge l’intero ambito dell’esistenza: la liberazione delle minoranze (punk, donne, omosessuali, neri…) e la creazione di un’esperienza quotidiana dai caratteri più fluidi, che acquisisce i caratteri dell’oscillazione, dello spaesamento, del gioco.

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Nelle arti figurative, nell’architettura, nella letteratura, si parla correntemente di post-moderno per indicare uno stile lontano dalle idee dominanti della modernità dominata dall’idea di progresso. Vattimo ne La fine della modernità (1991) dichiara che oggi si prendono le distanze dalla modernità nel superamento critico e attraverso le arti di avanguardia.

La concezione ermeneutico-nichilista

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La concezione ermeneutico-nichilistica di Vattimo si chiarisce nello smantellamento della “metafisica della presenza” e quindi nell’emancipazione da fondamenti assoluti. L’ontologia ermeneutica, sul cui piano Vattimo si colloca, rappresenta un pensiero antimetafisico che rifiuta qualunque tentativo di una costruzione di fondamenti assoluti e le sue successive visioni globali circa la realtà o la storia. L’assenza di tali fondamenti o di realtà superiori stabili è un tratto fondamentale del “pensiero debole”, che si esprime nel modo di concepire l’essere e la verità come evento –Ereignis- e non come stabilità o assolutezza, come nel pensiero forte.

Le categorie della “metafisica della presenza” indicano, in termini heideggeriani, la perdita e l’oblio dell’essere; in termini di Vattimo, indicano violenza, volontà di potenza, distruzione della libertà. L’essere debole è evento, è accadere. In altri termini: l’essere non è nulla al di fuori del suo “evento”, che accade nel suo storicizzarsi.

Ricalcando Heidegger, l’essere è da intendere come fattualità-linguaggio e questo significa anche che ogni descrizione dell’essere può solo essere relativo ai diversi “modi di vivere” (Wittgenstein), alle situazioni storico-linguistiche mediante le quali tale descrizione viene formulata.

Si arriva così a quello che si può definire come la fine dei modelli filosofici metafisici/fondazionali, come fine della pretesa di descrivere l’essere nelle sue strutture immutabili ed universali e come fine della pretesa di descrivere a priori le forme della conoscenza (Kant) supposte atemporali e universali. Questo aspetto lega essere, nichilismo e religiosità, come vedremo più avanti. Come fa notare Borrelli “se non si parte dalla contrapposizione essere e nulla, si giunge ad un rapporto diverso tra essere e nulla, ad un rapporto che Heidegger raccoglie nel legame di essere e tempo e che Gianni Vattimo, definisce di complicità e non di autoesclusione reciproca”.

Vattimo parte dalla considerazione della fine della metafisica e cioè dal fatto che l’essere oggi si annuncia come evento e come destino di indebolimento. In questa lettura, si evidenziano i presupposti di una teologia dogmatico-metafisica in nome di un “nichilismo” in cui il nulla deve essere inteso come indebolimento, ovvero come kénōsis o svuotamento dell’essere, come un essere “debole” senza fondamenti. In questa “interpretazione”, il nichilismo non deve intendersi come il “niente assoluto” o metafisico, bensì nell’indebolimento dell’essere della metafisica tradizionale la filosofia interpreta l’accadere dell’essere, in prospettiva heideggeriana.

Vattimo, come Nietzsche e Heidegger, stabilisce un solido nesso tra ermeneutica e nichilismo, rinforzando la negazione di un concetto di verità come fondamento assoluto. Secondo Vattimo, solo l’esperienza della dissoluzione dell’essere ci permetterebbe di recuperare il senso delle nostre esistenze. Analogamente alla dissoluzione storico-ontologica, storico-metafisica heideggeriana, la filosofia della postmodernità di Vattimo non si pronuncia se non in termini di evento – Ereignis, Geschehen-, stabilendo il nesso fra essere e nulla.

Come sottolinea G. Penzo: “Quando Heidegger parla della dimenticanza dell’essere pensa appunto alla dimensione dell’essere come nulla. Parlare del nulla non significa parlare del niente assoluto. Ci si rende conto piuttosto che il termine nulla racchiude una realtà così profonda che non può mai essere del tutto rappresentata. La realtà del nulla viene posta sullo stesso piano della realtà dell’essere”. Viene eliminata l’idea di una teologia dogmatico-metafisica in nome di un “nichilismo” in cui il nulla deve essere inteso come indebolimento, ovvero come kénōsis o svuotamento dell’essere, come un essere “debole” senza fondamenti.

(Continua)

Data:

17 Agosto 2023