Gilet gialli, la mappa delle zone a rischio a Parigi
I gilet gialli tornano in piazza domani a Parigi nonostante la marcia indietro del governo francese sull’aumento delle tasse sul carburante. Di fronte al rischio di nuove violenze, sono arrivati appelli alla calma. Su ’Le Parisien’, il portavoce del governo Benjamin Griveaux ha invitato i ’gilet gialli sinceri’ a non andare a Parigi. Il primo ministro Édouard Philippe ha spiegato che in occasione della nuova giornata di proteste a Parigi saranno schierati 8mila agenti. La Tour Eiffel, il Louvre, il museo d’Orsay, l’Opera e altri musei e attrazioni turistiche di Parigi saranno chiuse per il timore di tensioni e scontri. Anche la Lega del calcio francese ha rinviato 5 partite del campionato Ligue 1. Ma quali sono le zone a rischio a Parigi? Ecco la mappa.
Polizia fa mettere in ginocchio studenti, polemica in Francia
Polemiche e indignazione per il video che documenta il fermo di oltre 100 studenti in una scuola di Mantes-la-Jolie, nel dipartimento di Yvelines, in Francia. Le immagini, diffuse sui social in queste ore, mostrano gli studenti in ginocchio, con le mani dietro la testa. Attorno a loro, numerosi poliziotti in tenuta antisommossa.
I media locali hanno fatto riferimento ad un’operazione delle forze dell’ordine dopo gli incidenti avvenuti nei pressi del liceo Saint-Exupery. Come riporta ’Liberation’, il ministero dell’Interno ha spiegato che “122 persone sono state arrestate e trattenute in custodia dalla polizia”. Gran parte dei giovani erano “incappucciati” ed erano in possesso di “bastoni, mazze da baseball e contenitori di gas lacrimogeni. L’arresto di un numero così elevato di individui ha reso necessaria l’adozione di ulteriori misure di sicurezza”.
Huawei, nuova crisi Cina-Usa?
I media cinesi si sono scagliati contro gli Stati Uniti per l’arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, nonché figlia del fondatore del colosso di telefonia accusando il Paese di “teppismo” messo in atto – si legge sul Guardian – per eliminare il gigante delle telecomunicazioni cinese al centro di quello che sta diventando un grave incidente diplomatico. Il China Daily ha dichiarato che l’arresto fa parte della campagna ’anti Huawei’ degli Usa per contenere la società, il più grande fornitore mondiale di apparecchiature per le telecomunicazioni, nonché il secondo produttore di smartphone al mondo. “Una cosa che è senza dubbio vera e comprovata è che gli Stati Uniti stanno cercando di fare tutto il possibile per contenere l’espansione di Huawei nel mondo semplicemente perché è diventata un punto di riferimento per le società tecnologiche competitive della Cina”, si legge in un editoriale del quotidiano cinese. Sembra che John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, sapesse in anticipo dell’arresto di Meng Wanzhou, avvenuto a Vancouver in Canada il primo dicembre, giorno in cui il presidente cinese Xi Jinping e il presidente americano Trump si sono incontrati a margine del G20 di Buenos Aires per sancire una tregua nella guerra commerciale tra i due giganti. Il ministero della Giustizia canadese ha fatto sapere che la figlia del fondatore del gruppo ed ex ingegnere dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese Ren Zhengfei è stata arrestata su richiesta delle autorità americane nell’ambito di un’indagine su sospette violazioni delle sanzioni iraniane da parte di Huawei. Il tabloid nazionalista Global Times scrive: “Ovviamente Washington ricorre a un approccio spregevole perché non può fermare l’avanzata dei 5G di Huawei sul mercato”.
Lo scorso novembre gli Usa avevano chiesto in pratica agli alleati di boicottare il colosso cinese. Di recente Huawei è entrata nell’orbita dei controlli degli Usa: la preoccupazione espressa dall’intelligence americana verte sul fatto che il colosso dell’alta tecnologia e altre società cinesi potrebbero essere monitorate dal governo cinese o dal Partito comunista al potere, aumentando il rischio di spionaggio. Una delle preoccupazioni del governo è basata sull’uso di apparecchiature di telecomunicazioni cinesi in Paesi che ospitano basi militari statunitensi, come Germania, Italia e Giappone. E a ottobre, in una lettera al primo ministro Justin Trudeau, i senatori statunitensi Marco Rubio e Mark Warner avevano espresso “gravi preoccupazioni” circa la possibilità di interferenze del governo cinese nella rete di telecomunicazioni del Canada. In realtà Huawei non è la prima azienda cinese di apparecchiature di telecomunicazione a finire nel mirino delle autorità statunitensi. All’inizio dell’anno, il Dipartimento del commercio statunitense ha imposto alle società americane il divieto di fornire al produttore di smartphone cinese ZTE componenti e tecnologie per sette anni, a causa del mancato licenziamento di alcuni manager responsabili di aver violato le sanzioni commerciali contro Iran e Corea del Nord. Il divieto ha quasi distrutto la società tecnologica cinese, costringendola a chiudere tutte le principali attività negli Stati Uniti a maggio. Un mese dopo, Washington e Pechino hanno tuttavia raggiunto un accordo che ha potuto ricominciare a operare sul territorio nazionale dietro il pagamento maxi-multa da un miliardo di dollari e il versamento di ulteriori 400 milioni in garanzie contro future violazioni delle politiche statunitensi sull’export. In Europa da tempo è in corso un dibattito che affronta il problema della sicurezza che nasce dall’affidare le nuove reti di telefonia avanzata al colosso cinese. E proprio in questi giorni il più grande operatore della Gran Bretagna, BT, ha annunciato che Huawei è stata esclusa dalla fornitura di tecnologie per la realizzazione delle reti di prossima generazione 5G e verrà eliminata anche dalle reti 3G e 4G già esistenti.
Nel frattempo Pechino ha invitato sia Ottawa che Washington a chiarire immediatamente i motivi della detenzione di Meng e la sua liberazione immediata. L’ambasciata cinese in Canada ha descritto le azioni come “gravemente dannose per i diritti umani”.
Missione della Cina verso il ’lato oscuro’ della Luna
La Cina ha lanciato la missione Chang’e-4, diretta verso il ’lato oscuro’ della Luna, il lato del nostro satellite non visibile dalla Terra. Il lancio è avvenuto dal centro spaziale di Xichang, nel sud ovest della Cina. Sono due i mezzi robotici –un lander e un rover– protagonisti della missione. Dopo il lancio, i due mezzi robotici dovrebbero raggiungere la Luna dopo 27 giorni di viaggio per poi posarsi nel cratere Von Karman, all’interno del bacino Polo Sud-Aitken, per studiarne superficie e sottosuolo.
“L’obiettivo è far luce sull’evoluzione della Luna e tentare la coltivazione di piante in vista di una futura base lunare” sottolinea l’Istituto Nazionale di Astrofisica su media.inaf.it Entrambi i mezzi robotici, spiega l’Inaf, sono ’eredi’ della precedente missione cinese Chang’e-3, che esattamente cinque anni fa ha portato sulla Luna un lander e un rover chiamato YuTu, che è stato il primo rover lunare cinese e il primo veicolo spaziale ad allunare dai tempi della missione sovietica Luna 24 nel 1976. In preparazione della nuova missione Chang’e-4, lo scorso maggio i cinesi hanno lanciato il satellite Queqiao, posizionandolo in orbita per garantire comunicazioni stabili con il lander Chang’e-4.
L’Istituto Nazionale di Astrofisica ricorda che gli obiettivi scientifici della missione sono stati descritti in uno studio pubblicato poche settimane fa sulla rivista Planetary and Space Science dal gruppo di Yingzhuo Jia, dell’Università dell’Accademia delle scienze cinese a Pechino. Secondo quanto riporta il documento, la missione Chang’e-4 eseguirà uno studio radio-astronomico a bassa frequenza della superficie lunare ed esplorerà la faccia nascosta della Luna nel campo d’azione del rover, studiandone la topografia e la composizione mineralogica.
A bordo della missione c’è anche tanta tecnologia europea, con strumenti realizzati da Germania, Svezia e Paesi Bassi. Secondo una notizia diffusa in primavera dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, Chang’e-4 porterà sulla Luna anche una mini ’biosfera’ con semi di patata e Arabidopsis, una pianta da fiore e uova del baco da seta, per testarne la coltivazione attraverso un esperimento biologico progettato da 28 università cinesi.