La storia della pittura rinascimentale veneta e, più in generale, l’arte cinquecentesca in tutto il Nord Italia vede il Giorgione come una delle sue figure di spicco, sicuramente la più enigmatica. La sua breve ma intensa carriera è risultata decisiva per l’affermazione della scena veneziana nel panorama artistico rinascimentale.
I delicati cromatismi ripresi da Giovanni Bellini, altro fondamentale pittore del rinascimento veneziano, e, soprattutto, le misteriose composizioni dei suoi quadri hanno reso il Giorgione un artista dalla vita semi-leggendaria. Il suo più grande capolavoro è La Tempesta, quadro riconosciuto da critici e studiosi come una delle opere fondamentali per la storia dell’arte rinascimentale.
La sua poetica enigmaticità è, ancora oggi, oggetto di approfonditi studi da parte dei critici d’arte, i quali, nonostante le numerose proposte, non hanno concordato una spiegazione del tutto soddisfacente dell’opera del pittore veneto.
Scopriamo dunque le caratteristiche, la storia e tentiamo di approfondire il significato di questo misterioso quadro.
Nell’opera è riprodotto un paesaggio campestre. Al suo interno vi sono dipinte alcune rovine classiche a sinistra. Si notano infatti un muro parzialmente eretto e un basamento sul quale si innalzano due tronchi di colonna. In primo piano sono dipinte tre figure. A sinistra un uomo in piedi si appoggia ad un bastone esile e lungo. È abbigliato con vesti rinascimentali. Indossa dei calzoni corti, una camicia bianca e un gilet rosso. A destra invece si trova una donna seminuda seduta su di un prato che allatta il figlio. Al centro è rappresentato un fiume attraversato da un piccolo ponte. Sull’orizzonte si trova una città. Il cielo è cupo, denso di nubi e un lampo illumina la zona sopra le case. La scena è incorniciata da grandi alberi e cespugli che creano delle quinte naturali a destra e a sinistra.
Apparentemente La Tempesta è un paesaggio naturale con alcune figure che lo completano. In realtà l’opera negli anni fu oggetto di molte indagini storiche ed estetiche. Intanto fu analizzata attentamente la composizione molto accurata che soggiace a uno schema geometrico ben preciso.
Le indagini degli storici si concentrano soprattutto sul contenuto dell’opera. Nonostante gli sforzi il soggetto rimane sconosciuto. Gli studiosi tendono a considerare elemento principale dell’opera il paesaggio e l’evento naturale che sta per accadere, appunto la tempesta. I personaggi dipinti sembra infatti siano stati aggiunti come figure di completamento e non siano importanti per comprendere il significato. Attraverso una radiografia si rilevò infatti che al posto dell’uomo vi era in una prima versione una donna nuda seduta in riva ad un ruscello.
Se per alcuni critici l’artista voleva raffigurare i quattro elementi della natura, cioè terra, aria, fuoco e acqua, per altri il significato è di matrice più storica: individuando la cittadina sullo sfondo come Padova, La Tempesta sarebbe una poetica rappresentazione della conquista della città da parte delle forze della Repubblica di Venezia, avvenuta all’incirca un secolo prima della realizzazione del dipinto.
Una suggestiva interpretazione è stata suggerita invece dallo studioso d’arte italiano Salvatore Settis. Secondo lo studioso, le due figure poste ai lati del quadro sarebbero i ritratti dei due personaggi biblici Adamo ed Eva, quest’ultima intenta ad allattare il figlio Caino, appena dopo la cacciata dal paradiso terrestre. La tempesta che da il nome all’opera, che sembra doversi abbattere in maniera imminente sui personaggi, sarebbe dunque simbolo dell’ira di Dio, la cui espressione più pronunciata coinciderebbe con il fulmine che, al centro del dipinto, si staglia in mezzo alle nuvole.
L’uso del colore è straordinariamente innovativo. L’impasto cromatico crea una tessitura continua dove ogni tono appare imbevuto di luce; l’integrità delle forme ne risulta come sfaldata, le immagini appaiono mutevoli e vive. Lo spazio, liberato dai vincoli matematici della costruzione prospettica, è veramente naturale e lo sguardo può perdersi verso il suo orizzonte, illuminato dal bagliore del lampo, condividendo la malinconia della natura. Proprio dalla contemplazione dello spettacolo naturale, percepito nei suoi valori atmosferici di luce e colore, nacque quel sentimento della bellezza tipico della pittura di Giorgione. Questo pittore iniziò a dipingere senza l’uso del disegno, sfumando dolcemente i contorni: per questo, la sua pittura è definita “tonale” o “atmosferica”.
La pittura tonale aveva preso le mosse già sul finire del XV secolo, per iniziativa di Giovanni Bellini, che di Giorgione e Tiziano era stato, probabilmente, il maestro. Sviluppando il suo insegnamento, i pittori veneti del Cinquecento abbandonarono la linea di contorno delle figure e basarono le variazioni d’intensità del colore su quelle della luce. Nei loro dipinti, le figure, gli oggetti, gli elementi della natura sono costituiti da zone di colore armoniche o contrastanti, accostate fra loro come in un tessuto o in un tappeto. Lo sfumato è delicatissimo, i colori tenui passano dall’uno all’altro senza intercorrere nell’interruzione di una linea.