Traduci

GIORNATE BUIE PER LA LIBERTÁ DI ESPRESSIONE

La corte di Ankara condanna all’ergastolo aggravato sei giornalisti di quotidiani ed emittenti televisive turche accusate di “rimuovere l’ordine costituzionale”. Si trattrebbe di Nazli Ilcak, i fratelli Altan, Yakup Simsek, Fevzi Yazici e Sukru Ozsengul.

A loro va la pena più severa in riferimento a quest’accusa, poiché ergastolo aggravato significa limitazioni delle visite dall’esterno e 23h di isolamento assoluto giornaliero. Niente da invidiare alla pena capitale che il presidente Erdogan sembra voler reintrodurre in seguito ai fatti di Luglio 2016, promettendo che “niente sarà più come prima”. È questo il verdetto finale del contenzioso giuridico avviatosi all’indomani del tentato golpe in Turchia tra il 15 e il 16 Luglio 2016.

I sei giornalisti costituiscono solo una piccola parte della totalità dei numeri della repressione post-golpe: sono 62 i mandati di arresto per assistenti e insegnanti della Istanbul University, 95 le sospensioni per gli accademici della stessa università, 19 i primi arresti tra gli impiegati della tv di stato e 120 quelli per i dirigenti di 44 aziende. Per non parlare del trattamento riservato ai soldati, veri protagonisti dell’accaduto: si contano tra loro 20.000 arresti e 1.684 congedi senza discriminazioni di grado. Il 20% dei giudici,inoltre, è stato sospeso.

cms_8512/2.jpg

Ad accomunarli il sospetto di una relazione con il movimento Hizmet, che si ispira al filone moderato del nemico numero uno del presidente, Fethullah Gülen, politologo e predicatore di una coesistenza pacifica tra popoli, che auspica una rinascita del moderno mondo musulmano, di cui la Turchia dovrebbe costituire l’avanguardia. Sarebbe lui il regista del golpe secondo le accuse di Erdogan.

È certamente appurata l’esistenza di un impero mediatico al seguito dell’Hizmet – che comprende ad esempio uno dei giornali turchi più letti al momento, lo “Zaman”, per cui tra l’altro lavoravano alcuni dei giornalisti condannati – così come è certa l’influenza delle idee del movimento nell’ambiente universitario. Tuttavia, nessun sospetto, neanche il più fondato, potrà mai giustificare quest’evidente messa in discussione dello stato di diritto. La linea politica assunta da Erdogan, sicuramente radicalizzata in seguito al putsch dell’estate 2016, non fa altro che guidare il Paese verso una deriva autoritaria, privando di significatività i negoziati per quell’ipotetica annessione all’Unione Europea, di cui si discute dal 2003. Lo stato turco infatti, oltre a dover in qualche modo fare i conti con la propria storia, smettendo di praticare il negazionismo più cinico sulla questione del genocidio armeno, deve prendere atto delle incongruenze del proprio presente rispetto ai principi fondanti di organizzazioni sovrastatali (quali la NATO, di cui è già membro) e che lo rendono inaderente ai requisiti base richiesti dall’UE.

cms_8512/3v.jpgBasti pensare alla minaccia antidemocratica della neo-riforma costituzionale che, nonostante le obiezioni mosse dal fronte dell’opposizione “CHP” (Partito popolare repubblicano) a denunciare l’eliminazione dell’imparzialità presidenziale, approva l’accentramento dei poteri nelle mani del presidente, al quale da ora spetteranno anche la nomina dei ministri e il controllo del sistema giudiziario, oltre che un prolungamento del suo mandato fino al 2029.

Da non sottovalutare è poi la sconcertante riforma scolastica che prevede, entro il 2019, l’abolizione dello studio della teoria dell’evoluzione Darwinista e della storia nei suoi sviluppi eurocentrici nelle istituzioni pre-universitarie. Ad essere favoriti sono in cambio l’enfatizzazione dei valori nazionali e la formazione del prototipo di cittadino turco funzionale all’indottrinamento dittatoriale.

cms_8512/4v.jpgAl momento, un piccolo barlume di speranza per le vittime della repressione golpista è rappresentato dalla scarcerazione, avvenuta in data 16 febbraio, di Deniz Yucel, corrispondente del quotidiano tedesco “Die Welt”, trattenuto per un anno e due giorni senza accuse formali, né tantomeno richieste da parte del PM di rinvio a giudizio. La liberazione è giunta a meno di 24 ore dal meeting tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier turco Binali Yildirim, ma il giornalista rischia ancora dai 4 ai 18 anni per “incitamento all’odio, alla violenza, e propaganda a favore di organizzazione terroristica”.

cms_8512/5.jpg

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, afferma: “La situazione assomiglia paradossalmente oggi in Turchia a un colpo di Stato riuscito più che sventato. La repressione scatenata dal governo dopo il putch militare è molto ampia, secondo quanto ci raccontano le nostre fonti, fino a interessare gruppi della società civile che chiaramente non hanno avuto alcun ruolo nella pianificazione o nell’esecuzione del colpo di Stato militare. Ma quello che sta accadendo oggi parte da lontano, almeno dal 2015, quando la Turchia ha cominciato a essere attraversata da sanguinosi attentati e profonde ondate repressive. La verità oggi è che siamo già ben oltre la necessità di indagare su un fatto grave come il golpe e punire i colpevoli“.

E’ davvero questa la Grande Turchia che il progetto «neo-ottomano» di Erdogan punta a costruire?

Data:

23 Febbraio 2018