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Giovane foreign fighter partorisce in un campo profughi

Nel 2014 Shamima Begum era una semplice ragazzina inglese come tante altre, frequentava un istituto nella periferia nordorientale di Londra, il Bethnal Green Academy, e come ogni adolescente trascorreva il proprio tempo studiando, divertendosi con le amiche e coltivando i suoi passatempi preferiti. Il padre, Muhammad Uddin, era un cittadino bengalese che proprio a causa della difficoltà di ottenere il permesso di soggiorno nel Regno Unito non poté raggiungere la figlia se non dopo otto anni dalla nascita di lei. Eppure, le origini extracomunitarie della ragazza non sembravano costituire una peculiarità in una nazione che fin dagli anni 70 ospita al proprio interno quasi mezzo milione di cittadini provenienti dal subcontinente indiano la maggior parte dei quali, malgrado le differenze religiose, risultano perfettamente integrati nel tessuto sociale britannico.

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In particolar modo, Shamima sembrò compensare all’assenza del padre creando un rapporto profondo e amorevole con la propria madre, Shannaz Begum, dalla quale prese perfino il cognome. Quando tuttavia all’età di soli 33 anni Shannaz si ammalò di un terribile e probabilmente incurabile cancro, piuttosto che rivelare la verità alla figlia preferì nasconderle il segreto fino a quando le fu possibile, così, la prematura scomparsa della madre risultò per Shamima un autentico trauma inaspettato e devastante al tempo stesso.

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Non esiste nulla di più fragile di una ragazza orfana e insicura: pertanto, facendo leva sulle debolezze della nostra protagonista, alcuni reclutatori dell’Isis riuscirono a contattarla tramite Internet indottrinandola in pochissimo tempo sui valori dello Stato islamico e trasformando di fatto una disperata in un’integralista. Dopo aver chiesto alla nonna 500 sterline con un pretesto, la quindicenne Shamima acquistò un biglietto per la Turchia e da lì, accompagnata dalle sue due migliori amiche nonché compagne di scuola Amira Abase e Kadiza Sultana, oltrepassò il confine siriano raggiungendo Raqqa per contribuire alla causa del califfato.

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Non sappiamo quali atti può aver compiuto in un posto così violento e terrificante; di certo, a partire da quel momento di lei si è persa quasi ogni traccia: le indagini della polizia per stabilire quanto accaduto non portarono ad altro che ad una generica accusa nei confronti di chi l’aveva plagiata per violazione del Child Abduction Act (la legge a tutela dei minorenni) e alla beffarda conclusione che la ragazza, fino a quel momento, non aveva dato alcun segnale di poter scappare in Siria. Il padre sembrava aver perso ormai ogni speranza di poter ricontattare la figlia, quando nel giugno del 2015 questa decise inaspettatamente di chiamarlo. La conversazione fu breve ma non per questo meno significativa: lei disse di essersi sposata con un foreign fighter proveniente dai Paesi Bassi e si rifiutò di aggiungere altro sulle sue condizioni o sui propri reali sentimenti per quell’uomo.

Oggi, a distanza di quasi quattro anni, sappiamo che quest’inconsueto matrimonio ha portato alla nascita di un bambino. Nella notte fra domenica e lunedì, il figlio di Shamima Begum ha infatti visto la luce in un campo profughi siriano, dove la ragazza è accampata fin da quando il sedicente stato islamico è stato sconfitto. Il marito? Disperso da mesi… è probabile che sia stato ucciso o – peggio ancora – fatto prigioniero dai nemici. Per quanto riguarda il proprio futuro, la ragazza non sembra avere alcun dubbio: vuole tornare a Londra. “Quando me ne sono andata non sapevo in cosa mi stavo cacciando. Spero che in Inghilterra potrò trovare qualcosa di buono per me e mio figlio” ha dichiarato in un’intervista. Un atto di contrizione e di umiltà? Nemmeno per sogno. La giovane, infatti, non sembra sentirsi poi così in colpa per il suo comportamento: “Credo che le persone dovrebbero avere simpatia per me dopo tutto quello che ho passato” ha detto, non senza un certo orgoglio per la propria resilienza; inoltre, si è autobattezzata la “casalinga del califfato” a causa della sua tendenza di badare alle faccende domestiche senza mai prendere parte ai combattimenti, ed ha concluso ammettendo di essere stata a conoscenza delle decapitazioni dell’Isis e di essere sempre stata favorevole ad esse in quanto erano delle pratiche “consentite dall’Islam”.

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Le modalità dell’inedito rimpatrio, ad ogni modo, potrebbero risultare quantomai complesse: da un lato il ministero dell’Interno britannico ha già fatto sapere tramite una nota di non essere disposto a spendere risorse logistiche ed economiche e a mettere a repentaglio la vita dei propri uomini per scortare Shamima in Inghilterra. Al tempo stesso, formalmente quest’ultima è ancora una donna libera, pertanto se trovasse i mezzi necessari per acquistare un biglietto aereo diretto a Londra sarebbe impossibile impedirle di tornare; anche se, ovviamente, nel Regno Unito verrebbe ben presto sottoposta a numerosi processi per quanto accaduto negli ultimi anni. Certo, le carceri inglesi rispetto a certi teatri di guerra e distruzione appaiono forse agli occhi della giovane quasi come un lusso insperato e questo, in un certo senso, spiega anche le sue ambizioni di rimpatriare.

Data:

19 Febbraio 2019