Una notizia capace di spiazzare l’Italia intera, quella presentata con il Dossier Immigrazione 2019 durante il Focus di Idos-Assindatcolf su “Lavoro domestico e programmazione dei flussi di ingresso”, a Milano. Gli immigrati non solo produrrebbero il 9% del Pil nazionale, pari a 139 miliardi di euro, ma verserebbero tasse e contributi per un ammontare di ben 25 miliardi, cifra che supera di gran lunga quella sborsata dallo stato per garantire la loro sussistenza. Tanto è vero che nel 2018 sono stati 2 milioni e 455 mila immigrati regolarmente impiegati nel nostro paese, con un incidenza che supera il 70% del totale nel delicato settore della cura e dell’assistenza domiciliare.
Un’occasione per avviare una riflessione sulla mancata programmazione dei flussi di ingresso e sul lavoro domestico, il settore dei servizi nel quale la presenza di immigrati è in assoluto più alta: su 859.233 colf e badanti regolarmente censiti negli archivi Inps a fine 2018, 613.269 erano immigrati. “Un numero – dichiara Andrea Zini, vice presidente Assindatcolf ed Effe – in costante calo dal 2012 ad oggi, quando i lavoratori stranieri regolarmente impiegati nel comparto erano 823mila. In 7 anni si sono, dunque, persi 210mila posti di lavoro a causa di una politica che non ha saputo riformare il welfare familiare e valorizzare questa forza lavoro, contribuendo al contempo al dilagare del lavoro ‘nero’ o ‘grigio’ che nel settore ha percentuali altissime: si stima, infatti che 6 domestici su 10 siano irregolari, ovvero 1,2 milioni di lavoratori”.
“Dal 2011 in poi – spiega Luca Di Sciullo, presidente Centro Studi e Ricerche Idos – l’Italia ha sostanzialmente bloccato i canali di ingresso legali agli stranieri che intendano venire stabilmente per motivi di lavoro. Tanto che ad oggi, per molti migranti ‘economici’, l’unica possibilità di entrare in Italia è quella di unirsi ai flussi di migranti ‘forzati’ che arrivano come richiedenti asilo, pur non avendo i requisiti per il riconoscimento. Una situazione che da una parte penalizza il mercato del lavoro, lasciando scoperti ambiti a forte domanda di manodopera estera e aumentando il lavoro nero, e che, d’altra parte, complica la già critica gestione dell’immigrazione, sciupando un potenziale beneficio per la società e lo Stato”.
Da qui l’appello congiunto alla politica: “E’ necessario tornare ad una programmazione dei flussi di ingresso, prevedendo quote dedicate a reali nuovi ingressi di lavoratori non stagionali, e modificando anche il sistema di rilevazione del fabbisogno, affinché prenda in considerazione, oltre alle esigenze delle imprese, anche quelle delle famiglie, superando così una delle tante contraddizioni di una gestione miope” concludono Zini e Di Sciullo.