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GLI SCHIAVI DEL MONDIALE DI CALCIO

Lasciano il proprio Paese dopo essersi pesantemente indebitati con agenzie di reclutamento al fine di ottenere un contratto lavorativo in Qatar, con la promessa di un guadagno migliore da poter spedire a casa. Vengono principalmente da Nepal, India, Bangladesh, Corea del Nord e nel momento in cui atterrano a Doha diventano prigionieri di un sistema di sponsorizzazione che viola chiaramente i diritti fondamentali dell’uomo.

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Lavorano fino a 14 ore al giorno per sei o sette giorni alla settimana, a temperature che superano i 50 gradi centigradi. Dormono a dozzine in stanze minuscole all’interno di slum senza fognature, acqua corrente ed elettricità. Sono gli schiavi del Mondiale di Calcio. Il 2 dicembre 2010 la FIFA ha accettato la proposta da parte del Qatar di essere il primo Paese arabo a ospitare, nel 2022, la Coppa del Mondo. Per farsi trovare all’altezza dell’evento sportivo più seguito del pianeta, il governo di Doha ha così annunciato la spesa di 100 miliardi di dollari: 24 miliardi per un sistema di collegamento attraverso treni ad alta velocità, 20 miliardi per costruire nuove strade, 4 miliardi per un’autostrada che colleghi il Qatar al Bahrain, 55 mila hotel per i tifosi di calcio, e un nuovo aeroporto. Per riuscire a completare in tempo questo colossale progetto, tuttavia, il governo sta impiegando un’armata di oltre un milione di lavoratori provenienti da alcuni dei Paesi più poveri al mondo. La base legale di questo sistema di sfruttamento è il cosiddetto Kafala system, che vincola l’immigrato a un unico datore di lavoro per l’intera durata del suo soggiorno. Nel tempo, però, questo sistema di sponsorizzazione diventa una vera e propria forma di sfruttamento: lo sponsor non solo all’arrivo sequestra illegalmente il passaporto del proprio dipendente, ma ha anche il potere legale di negare il visto di uscita e la possibilità di cambiare lavoro all’interno del Paese.

cms_1874/AI.jpgIn risposta alle denunce di Amnesty International e del quotidiano inglese The Guardian, il governo del Qatar, nel 2013, annunciò che avrebbe riformato il sistema di sponsorizzazione e avrebbe migliorato la condizione dei lavoratori immigrati; tuttavia, a oggi, niente sembra cambiato. Nel giugno 2014, il Ministero del Lavoro affermò che stava lanciando un oscuro “sistema di protezione-stipendi” e che aveva già “punito” 200 compagnie nella prima metà dell’anno per violazioni delle normative di sicurezza sul lavoro. Sempre a giugno però, il Qatar si astenne dal votare a favore del protocollo dell’International Labour Organization contro il lavoro forzato, che includeva misure protettive nei confronti degli immigrati – come l’obbligo per gli sponsor di pagare gli stipendi e di essere soggetti a sanzioni internazionali.

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Nel frattempo, in quell’angolo di deserto, continua a morire più di un lavoratore al giorno, a causa dei frequenti incidenti sul lavoro o degli improvvisi arresti cardiaci dovuti alle temperature infernali che devono sopportare. Secondo l’International Trade Union Confederation, dal 2010 sono morti in Qatar più di 1.200 immigrati e, di questo passo, potrebbero morirne 4 mila prima del fischio d’inizio della partita inaugurale.

cms_1874/dailyrecord_1424518384.jpgIl governo, tuttavia, non sembra per niente intenzionato a modificare il proprio sistema che al momento gli permette di abusare di 400 mila nepalesi, 500 mila indiani e 130 mila cittadini del Bangladesh. Un caso particolare è costituito dai nordcoreani, vittime di un sistema di sfruttamento promosso addirittura dal proprio governo. Il quotidiano The Guardian ha riportato, infatti, che sono quasi 3 mila le persone inviate dalla Corea del Nord a vivere e lavorare per anni nei siti in costruzione in Qatar, senza ricevere direttamente alcuno stipendio. Secondo Kim Joo-il, un ex ufficiale militare scappato dalla Corea del Nord nel 2005, il governo di Pyongyang si mette in tasca oltre il 70 per cento del salario totale degli immigrati, i quali dopo aver pagato per cibo e alloggio restano con un misero 10 per cento del proprio stipendio. Ai lavoratori nepalesi, indiani e del Bangladesh non va di certo meglio: intrappolati in contratti della durata di 3-5 anni, tendono a guadagnare meno (150-350 dollari al mese) rispetto a quello promesso dalle agenzie di reclutamento e, dopo pochi mesi, non ricevono più la paga dal proprio datore di lavoro.

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In un Paese come il Qatar, dove il 90 per cento della manodopera è costituito da lavoratori stranieri, si può parlare a tutti gli effetti di un moderno sistema di schiavitù, attuato attraverso un oscuro meccanismo di contratti, sponsor e visti. Incredibilmente, di fronte a tutto ciò, la FIFA, la comunità internazionale e i media continuano a tacere.

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21 Febbraio 2015