Alfonso Guida e Francesco D’Angiò, pur appartenendo alla stessa generazione, offrono due visioni poeticamente diverse ma complementari nel loro approccio all’esistenza e alla condizione umana. In questo confronto, emergono affinità e differenze significative nelle loro modalità di esplorazione del dolore, della solitudine e della ricerca di un significato in un mondo complesso.
La poesia di Alfonso Guida si caratterizza per un’intensa introspezione psicologica, con una scrittura che esplora la fragilità umana, il dolore e la psiche in modo viscerale e simbolico. La sua poetica è attraversata da una riflessione sull’esistenza che va oltre il quotidiano, toccando temi come la malattia mentale, la spiritualità e il conflitto tra vita e morte. Guida si distingue per l’uso di immagini potenti e di un linguaggio che mescola il concreto e il visionario, offrendo al lettore un’esperienza poetica carica di tensione e di interrogativi esistenziali.
La poesia di Francesco D’Angiò, pur affrontando temi simili di solitudine e di attesa, si concentra maggiormente sul vissuto quotidiano, con un linguaggio che esprime l’asfissia dell’esistenza e il desiderio di liberazione dalle convenzioni sociali. La sua scrittura si distacca da quella di Guida per una maggiore concretezza, ma allo stesso tempo, come Guida, è intrisa di una profonda inquietudine. D’Angiò riflette sulla realtà presente, cercando significati nascosti nelle pieghe della quotidianità, e invita alla consapevolezza e a una visione che va oltre l’apparenza.
Mettendo a confronto i due poeti, possiamo osservare che, seppur entrambi affrontino la condizione umana in modo profondo, Guida si muove maggiormente su un piano simbolico e visionario, mentre D’Angiò adotta un approccio più radicato nella realtà, pur non rinunciando a una riflessione esistenziale profonda. Entrambi, però, utilizzano la poesia come mezzo di resistenza, per affermare una ricerca di senso in un mondo che sembra sfuggire alla comprensione e che, nelle loro opere, viene esplorato con una tensione continua verso la comprensione del proprio essere e della propria realtà.
Alfonso Guida
Alfonso Guida è un poeta italiano nato nel 1967 a San Mauro Forte, in provincia di Matera, dove attualmente vive. La sua poetica si distingue per un’intensità viscerale e complessa, che trae ispirazione dalle sue esperienze personali, spesso legate alla fragilità umana e alla malattia mentale. Guida ha trascorso lunghi periodi in istituti psichiatrici, un vissuto che ha lasciato un segno profondo nella sua scrittura, rendendola autentica e caratterizzata da immagini visionarie e potenti. La sua produzione poetica si concentra su temi fondamentali come il dolore, l’esistenza, la psicanalisi e la spiritualità, trattati con un linguaggio ricco di simbolismi e una sensibilità straordinaria verso le dimensioni più intime e universali dell’essere umano.
Ha pubblicato: Il dono dell’occhio (Poiesis, 2011), Irpinia (Poiesis, 2012), Ad ogni passo del sempre (Aragno, 2013), L’acqua al cervello è una foglia (Lietocolle, 2014), Poesie per Tiziana (Il Ponte del Sale, 2015), Luogo del sigillo (Fallone, 2016), Conversari (Round Midnight Edizioni, 2021), I Penati (Gattogrigio, 2021), Il tassidermista (Terra d’Ulivi, 2022), Anfora clandestina (Dante&Descartes, 2024).
La scelta
La poesia proposta, tratta dal volume Luogo del sigillo, Fallone editore 2017, ci immerge in un paesaggio interiore profondo e struggente, in cui il poeta invita a riflettere sul valore della solitudine e della rinuncia, come se attraverso la privazione si potesse raggiungere una condizione di purificazione o di riscoperta dell’essenziale. La scrittura si distingue per una forza evocativa che, pur nella sua durezza, affonda le radici in una visione di esistenza che interroga continuamente il lettore. Un’esistenza ridotta all’indispensabile, quasi ridotta alla sua essenza più cruda, ma allo stesso tempo sollevata dal peso del superfluo.
Questa poesia si conclude con un interrogativo che provoca e scuote il lettore. Il Nulla, il silenzio, la solitudine sembrano circondare il protagonista, ma c’è una domanda di fondo: la vita può davvero essere ridotta a questo? Il poeta non cerca di fornire risposte facili, ma piuttosto di invitare a una riflessione sul significato delle nostre scelte e sulla possibilità di vivere intensamente, anche nella rinuncia e nella solitudine. C’è, infatti, una sfida implicita nel testo: è possibile vivere una vita vera senza cedere alle lusinghe del mondo, o la solitudine ci conduce inevitabilmente verso l’annullamento? La poesia ci lascia con questa domanda, come un eco che si riflette in noi stessi.
Francesco D’Angiò
Francesco D’Angiò, nato nel 1968 a San Vitaliano (Napoli), vive da anni a Matera. Il suo esordio letterario avviene nel 1997 con la vittoria di un concorso per esordienti organizzato da Alea Editrice Bari, che premiava con la pubblicazione di un racconto.
Dopo una pausa prolungata, riprende l’attività narrativa nel 2020 con il romanzo breve Lo sconosciuto, pubblicato da Planet Book. Nel giugno 2021 pubblica la sua prima raccolta poetica, Clessidre orizzontali, per le Edizioni Tripla EEE, seguita, nel marzo 2022, da Verranno a perderci in trionfo, edita da G.C.L. Edizioni, che nasce dopo essere stato finalista alla prima edizione del “Torneo dei Poeti” nel 2021.
Ad ottobre 2022 amplia la sua produzione letteraria con Siamo tutti normali, una raccolta di due racconti edita da Dialoghi Edizioni.
La poetica di D’Angiò si distingue per un’attenzione particolare ai dettagli della vita quotidiana, che diventano metafore di questioni universali. Attraverso un linguaggio diretto e immagini suggestive, l’autore indaga la complessità dell’animo umano, alternando introspezione e una visione critica del mondo contemporaneo.
La scelta
In questa poesia, tratta dal volume L’equilibrio degli scarti G. C. L. Edizioni 2024, l’autore affronta il tema dell’attesa e della condizione umana in un modo sorprendente e al contempo disincantato. Con uno stile che oscilla tra il lirico e il disincantato, la poesia esplora il conflitto tra il desiderio di liberazione e la prigionia mentale ed emotiva che spesso costruiamo noi stessi. La dimensione del tempo e dell’attesa è affrontata come una sorta di limbo esistenziale, una “soglia” tra il “presente e il nulla”, in cui l’individuo sembra essere costretto a lottare contro un destino che non sembra offrire soluzioni facili. È una riflessione che invita alla rinuncia consapevole e alla ricerca di un nuovo equilibrio, fuori dai vincoli della quotidianità.
La poesia si conclude con un’immagine di speranza, sebbene velata da un’amara consapevolezza. Il “giardino orlato di sterpi” suggerisce la bellezza che si nasconde dietro le difficoltà e le sofferenze, e la “prigione è fuori” si fa simbolo di una libertà che si conquista attraverso il distacco dalle convenzioni e dalle attese imposte dal mondo esterno. La prigione, che sembrava essere dentro di noi, è rivelata essere una costruzione sociale, e l’autore ci invita a guardarla con occhi nuovi, a cercare il senso del nostro essere fuori dalle gabbie mentali. Con l’“ora d’aria”, l’autore sembra voler suggerire che la libertà è, in fondo, una questione di percezione e di consapevolezza.