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HERBERT MARCUSE E I RAPPORTI TRA CAPITALISMO E TOTALITARISMO (Seconda Parte)

QUALI SONO I TRATTI DISTINTIVI CHE CARATTERIZZANO LO STATO TOTALITARIO?

cms_26623/HERBERT_MARCUSE.jpgTrasformando i rapporti economici in rapporti politici, lo Stato monopolizza l’economia, strumentalizzandola per i propri interessi. Il nazionalsocialismo sopprime i tratti distintivi che hanno caratterizzato lo Stato moderno.

Esso tende ad abolire ogni separazione tra Stato e società attraverso il trasferimento delle funzioni politiche ai gruppi sociali al potere […] (il nazismo tende così) all’autogoverno diretto e immediato dei gruppi sociali dominanti sul resto della popolazione. (Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo).

Se tale impostazione porta evidenti vantaggi per i grandi cartelli industriali, a causa dell’identificazione immediata dei loro interessi con quelli statali, dall’altro lato richiede alle industrie l’abolizione d’ogni forma d’indipendenza: nello Stato totalitario non esiste nessuno scarto tra la politica e la società, tutte le relazioni sociali si traducono in relazioni politiche.

Le relazioni economiche si trasformano in relazioni politiche; l’espansione e il dominio di tipo economico non solo devono essere integrati, ma anche superati dall’espansione e dal dominio di tipo politico […] nella misura in cui le forze economiche diventavano direttamente forze politiche, esse perdono il loro carattere indipendente. (Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo).

L’attenzione di Marcuse non è però rivolta solo ai meccanismi politico-economici che garantiscono l’esistenza del nazionalsocialismo, ma anche al suo impatto sociale, da cui si sviluppa un nuovo tipo di razionalità: la razionalità tecnica. Essa rappresenta l’uso della razionalità come strumento di dominio di massa, e deriva

dall’applicazione a tutte le relazioni umane dei meccanismi tipici del processo tecnologico: nello Stato nazista tutte le relazioni sociali sono all’insegna dei criteri della velocità, della produttività e dell’efficienza.

Questa razionalità funziona secondo criteri di efficienza e precisione, ma nello stesso tempo è separata da tutto ciò che la lega ai bisogni umani e ai desideri individuali, ed è interamente adattata ai bisogni di un dominio onnicomprensivo. I soggetti umani e il loro lavoro organizzato in modo burocratico sono solo mezzi per un fine oggettivo: il mantenimento dell’apparato con un grado sempre crescente d’efficienza. Lo Stato funziona, quindi, come una grande impresa, come un gigantesco cartello monopolistico che è riuscito a controllare la competizione interna e a sottomettere la masse dei lavoratori. (Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo)

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Il fatto che il nazionalsocialismo faccia ricorso a dei principi mitici – che per Marcuse costituiscono il livello mitologico della nuova mentalità tedesca – che si contrappongono ai principi fondamentali della civiltà occidentale, non significa che il nazismo sia l’inevitabile risultato delle radici culturali irrazionali del mondo germanico, espressi da Martin Lutero, Johann G. Herder e Friedrich Nietzsche; al contrario, il livello mitologico della nuova mentalità tedesca svolge il ruolo di comunità linguistica sovra-tecnica, mascherando l’avvento della razionalità tecnica.

Secondo Marcuse, la nuova mentalità tedesca ha quindi poco in comune con quella precedente, di cui si spaccia come restaurazione, ed è invece simile a quella delle moderne democrazie occidentali. L’abbattimento delle barriere che separano l’individuo dalla società richiede la conquista di una nuova frontiera del dominio: la sfera privata. Anch’essa deve infatti essere politicizzata facendo sì che il tempo libero sia, da un lato, asservito all’incremento della produttività e, dall’altro, costantemente controllato dal Reich, che previene così la formazione di ogni pensiero critico.

Il superamento della forma mentis nazista sarebbe avvenuto solo proponendo, in alternativa a quella nazista, una società altrettanto efficiente ma in grado di conservare le libertà politiche liberali, che il nazismo aveva abolito, prevedendo l’insorgere della società consumistica, che Marcuse avrebbe descritto ne L’uomo a una dimensione.

CENNI SUL DIBATTITO FRANCOFORTESE

cms_26623/3.jpgMentre è probabile che le diverse interpretazioni del nazismo abbiano segnato la fine della Scuola di Francoforte come orientamento unitario di pensiero, vale la pena sottolineare alcune differenze teoriche dei vari intellettuali orbitanti attorno all’Istituto per la Ricerca Sociale.

Negli anni Quaranta Friedrich Pollock definiva il nazismo come la versione totalitaria del capitalismo di Stato, il quale rappresenta il nuovo ordinamento sociale del capitalismo monopolistico, a sua volta derivante dall’economia liberale del laissez faire.

cms_26623/4.jpgIl tratto fondamentale del capitalismo di Stato risiede nell’avere eliminato la causa decisiva delle crisi economiche, sopprimendo l’autonomia del mercato e creando così una forma duratura di organizzazione sociale. È per questa ragione che, per Pollock, il nazismo non sarebbe mai crollato dall’interno, ma solo a causa di un fattore esogeno come la sconfitta militare.

(H. Marcuse, Stato e individuo sotto il nazionalsocialismo, in Davanti al nazismo, Laterza, Roma-Bari 2001, questo saggio nasce dalla rielaborazione del testo di una conferenza tenuta nel 1941 presso la Columbia University di New York, all’interno di un ciclo di conferenze organizzate dall’Institute of Social Research, cui seguirono, F. Neumann (The New Rulers in Germany) e F. Pollock (Is National Socialism a New Social and Economic System?).

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Stimolato dall’ipotesi di Pollock sul capitalismo di Stato, Max Horkheimer contribuisce al dibattito con l’articolo Lo Stato autoritario (inizialmente avente come titolo Il capitalismo di Stato), in cui specifica come la stabilizzazione economica statale avvenga tramite una trasformazione dei rapporti fra politica

ed economia. Il potere politico si fonde con quello economico, dando vita ad una nuova forma di potere non controllato né dai politici, né dagli imprenditori, ma dalla nuova figura sociale del manager, che diventa così l’emblema di una nuova era e di una nuova classe dominante.

In disaccordo con la tesi del capitalismo di Stato si pone Franz Neumann, per il quale il capitalismo non ha risolto le sue contraddizioni interne, ma le contraddizioni sono state semplicemente spostate ad un livello più alto, e coperte da un imponente apparato burocratico e dall’ideologia völkisch, o come si direbbe oggi, populista. Esse, in verità, non solo permangono, ma vengono perfino accentuate dal processo di monopolizzazione capitalistica, che rafforza il potere dei grandi “capitani d’industria” ed indebolisce i ceti medi e bassi.

Secondo Neumann, il nazismo riesce a mantenersi economicamente dinamico e produttivo non perché abbia eliminato l’autonomia del mercato, ma nonostante abbia eliminato i meccanismi del mercato:

esso impone un potere politico totalitario che alimenta l’economia unicamente per soddisfare in maniera diretta ed immediata le proprie esigenze. Per Neumann il nazismo non è una forma di capitalismo di Stato, per il semplice fatto che il nazismo è un non-Stato, ma costituisce una forma di società in cui i gruppi dominanti controllano il resto della popolazione in modo diretto, senza la mediazione di quell’apparato coercitivo, ancorché razionale, fino ad oggi conosciuto come Stato. (F.Neumann, Behemoth).

Fine

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Data:

1 Luglio 2022