L’isola di Hispaniola, paradiso caraibico situato in America Centrale, è spesso immaginata come una meta turistica da sogno. In realtà, le due nazioni che la condividono vivono situazioni diametralmente opposte, segnate da profonde divisioni politiche, economiche e sociali.

Da un lato, Haiti, con la sua capitale Port-au-Prince, sprofonda in una crisi umanitaria senza precedenti: povertà estrema, instabilità politica, violenza diffusa e ampie zone nelle mani di bande armate e gruppi mafiosi. Dall’altro, la Repubblica Dominicana, governata dalla capitale Santo Domingo, gode di un’economia solida, un turismo fiorente e un’immagine internazionale molto più positiva.
Entrambi i paesi contano circa 10 milioni di abitanti, ma conducono vite profondamente diverse. A marcare ulteriormente questa divisione, non solo simbolica ma anche fisica, è un muro. Fortemente voluto dal presidente dominicano Luis Abinader, in carica dal 2020 e rieletto nel 2024, il muro (non ancora ultimato) è stato giustificato come barriera contro la diffusione della violenza e del traffico di droga provenienti da Haiti. Come spesso accade con barriere di questo tipo, l’effetto principale è stato quello di inasprire il razzismo da una parte e la disperazione dall’altra. La Repubblica Dominicana, che occupa i due terzi dell’isola, è da sempre meta di migrazione per gli haitiani in cerca di condizioni di vita migliori. Gli immigrati trovano impiego soprattutto nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia, ovvero in quei lavori rifiutati da gran parte della popolazione dominicana. Secondo dati ufficiali, quasi mezzo milione di haitiani vivono oggi in Repubblica Dominicana, una buona parte dei quali in condizioni di irregolarità.
Nel 2024, il governo dominicano ha intensificato le deportazioni, espellendo oltre 275.000 persone e annunciando la volontà di aumentare il ritmo fino a 10.000 espulsioni a settimana. Le misure hanno sollevato forti critiche da parte di organizzazioni per i diritti umani, che accusano il governo di violazioni sistemiche dei diritti fondamentali e di promuovere politiche discriminatorie e razziste. Contemporaneamente, mentre si annuncia la costruzione di una nuova sezione del muro, Haiti sprofonda nel caos più assoluto. L’ultimo presidente legittimo, Jovenel Moïse, è stato assassinato nel 2021 nella sua residenza da un commando armato. Dopo le dimissioni del primo ministro Claude Joseph, il potere è passato nelle mani delle bande criminali che controllano anche la capitale, con il Consiglio Presidenziale di Transizione che cerca faticosamente di ripristinare una parvenza di ordine istituzionale.
Negli ultimi 20 anni, Haiti è stata colpita da una lunga serie di disastri naturali, dall’uragano Jeanne al devastante terremoto del 2010 – il secondo più distruttivo della storia moderna – fino all’uragano Matthew. La povertà spinge migliaia di haitiani a tentare la fuga verso est, ma trovano davanti a sé un’accoglienza politicamente sempre più ostile.
Nonostante la Repubblica Dominicana abbia bisogno della manodopera haitiana, fondamentale per la sua economia, il governo Abinader ha adottato una linea sempre più dura anche in campo sanitario. Secondo alcuni dati, negli ospedali dominicani, l’80% delle nascite avviene da madri haitiane, che rappresentano il 36,3% del totale dei parti. Una percentuale che ha spinto il governo a stabilire che le cure mediche ricevute da cittadini stranieri irregolari saranno da ora a carico dei degenti stessi. Inoltre, chi riceverà cure senza poter dimostrare la propria regolarità sul territorio sarà espulso, mettendo così le persone di fronte al dilemma tra ricevere assistenza sanitaria o rischiare la deportazione.
In un’isola che ospita due popoli separati da una recente storia di disuguaglianze e violenze, il futuro resta incerto, sospeso tra necessità economiche, crisi umanitarie e un muro sempre più alto.
(Foto interna: Isola Hispaniola, credits: digi.to.it)