Joshua Wong è stato condannato a 4 mesi di carcere per una manifestazione non autorizzata tenuta a Hong Kong a ottobre 2019 e per la violazione della legge contro l’uso della maschera nelle proteste. L’attivista, dichiaratosi colpevole di entrambi i capi d’accusa, sta scontando una condanna a 13 mesi e mezzo di carcere, sempre a causa di una manifestazione illegale di giugno 2019, nell’ambito delle proteste anti-governative e pro-riforme. Si tratta dell’ennesimo atto di repressione operato dalle autorità di Hong Kong, comandate a bacchetta dal governo di Pechino, nell’ambito dell’operazione di riannessione totale della città-Stato alla Cina.
I parlamentari filo-cinesi dell’aula rappresentativa di Hong Kong, insieme alla governatrice Carrie Lam, i cui atti sono di fatto un’emanazione diretta della volontà di Xi Jinping, sarebbero stati quasi totalmente spazzati via se nel 2020 si fossero svolte le elezioni previste, dove tutti i sondaggi mostravano che il trend andava verso percentuali bulgare per i candidati democratici, e, di contro, risultati che in gergo si definirebbero “da prefisso telefonico” per gli adepti del Partito Comunista cinese.
Invece, con la scusa della pandemia (che ormai in Cina è più un brutto ricordo che una realtà presente, ndr), le elezioni erano state rimandate di un anno, permettendo così a Pechino di mantenere il controllo sul governo autonomo di Hong Kong. Nel mentre, a marzo, la Cina ha approvato la controversa riforma del sistema elettorale di Hong Kong, dando potere di veto a Pechino sulla scelta dei candidati allo scopo di assicurarsi che solo i candidati ritenuti idonei (i cosiddetti “patrioti”) governino la città, ed escludendo di fatto tutti i possibili rappresentanti pro-democrazia, tra cui c’era anche, per l’appunto, Joshua Wong, giovane leader-eroe che è diventato il volto delle richieste di libertà da parte popolazione dell’ex-colonia britannica, che sta venendo sconfitta da uno Stato troppo potente, il quale sta stracciando gli accordi che esso stesso aveva in passato siglato. Adesso, con questa nuova condanna, i mesi di carcere totali che Wong dovrà scontare salgono a 17.
Insieme al leader del movimento pro-democrazia chiamato Demosisto, altre 47 persone sono accusate di violazione della “legge sulla sicurezza nazionale” imposta dal governo di Xi Jinping sulla città-Stato che risulta tanto scomoda al dittatore in quanto è (o sarebbe meglio dire “era”, al passato) l’unica “zona franca” del territorio cinese in cui i cittadini avevano la possibilità di conoscere cosa fossero la libertà, i diritti, la democrazia, il pensiero autonomo: tutte cose che, si sa, tendono a diventare piuttosto popolari, una volta diffuse. La legge sulla sicurezza nazionale, approvata a giugno del 2020, è stata la vera pietra tombale sulla libertà di Hong Kong. La norma punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica. Va da sé che la polizia e i magistrati hanno totale carta bianca sull’interpretazione la più estensiva possibile delle suddette violazioni, il che rende questa legge, come disse proprio Joshua Wong il giorno in cui fu approvata, “la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno Stato di polizia segreta”. E così è stato. Quel giorno, tra l’altro, Wong lasciò la leadership ufficiale di Demosisto, perché temeva a ragione di poter essere uno dei primi bersagli della normativa liberticida.