Il Tribunale di Hong Kong ha condannato i cinque principali attivisti che nel 2020 hanno organizzato delle elezioni primarie, con l’obiettivo di fornire a candidati pro-democrazia migliori possibilità di ottenere un seggio nel parlamento cittadino nelle consultazioni che si sarebbero dovute tenere nel settembre dello stesso anno. Le elezioni vennero poi rinviate a causa della pandemia da Covid-19.
L’azione degli attivisti è stata giudicata sovversiva. Il primo di loro, Benny Tai, noto giurista e professore di diritto presso l’Università di Hong Kong, strenuo attivista, ha subìto la condanna più pesante, 10 anni di carcere. A seguire Au Nok-hin, Andrew Chiu, Ben Chung e Gordon Ng, che hanno tutti sperimentato sulla propria pelle gli effetti della “legge sulla sicurezza”, misura imposta da Pechino in conseguenza dei movimenti popolari che nel 2019 portarono in strada, sempre ad Hong Kong, milioni di persone a sostegno della democrazia.
Le proteste nacquero come risposta ad un controverso disegno di legge proposto dal governo della città, guidato all’epoca da Carrie Lam, in merito all’estradizione di sospetti criminali verso la Cina. Il provvedimento venne ritenuto una minaccia all’indipendenza giudiziaria di Hong Kong, che esponeva i suoi abitanti (e visitatori) al sistema giudiziario cinese, considerato meno trasparente e utilizzato anche a fini politici.
Tali proteste ebbero un significativo impatto sulla città e sul rapporto tra la ex colonia britannica e la Cina continentale. Dopo cortei e scontri di piazza, che trasformarono le originali manifestazioni in un vero e proprio fronte pro-democrazia, il disegno di legge in questione fu ritirato ma Pechino, nel successivo 2020, introdusse una “legge sulla sicurezza”, che criminalizzava diversi comportamenti, tra i quali quelli delle proteste del 2019-2020. Il provvedimento, con lo scopo dichiarato di salvaguardare la sicurezza nazionale nella regione, ha di fatto bypassato il parlamento di Hong Kong, prevedendo per i colpevoli pene molto severe, sino all’ergastolo.
Il processo degli attivisti è durato quasi 1 anno e, a parte due assoluzioni, tutti gli imputati sono stati condannati. Oltre ai cinque, infatti, altre 40 persone sono state giudicate colpevoli a vario titolo, con la conseguenza di aver sollevato diverse critiche a livello internazionale. “Gli Stati Uniti condannano con fermezza le pene annunciate contro 45 sostenitori della democrazia ed ex deputati”, ha dichiarato un portavoce del consolato generale americano. “Gli imputati sono stati perseguiti in modo aggressivo e incarcerati per aver partecipato in modo pacifico a normali attività politiche protette dalla Basic Law di Hong Kong”, ha proseguito.
Londra parla invece di “criminalizzazione del dissenso politico”, secondo una nota del ministero degli Affari Esteri, che ritiene la legge sulla sicurezza nazionale “imposta” ad Hong Kong erosiva dei “diritti e delle libertà”.
Non si è fatta attendere la replica cinese, che ha stigmatizzato l’atteggiamento di Stati Uniti e alleati, accusandoli di “profanare e calpestare seriamente lo stato di diritto”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha dichiarato che alcuni Paesi occidentali “ignorano il fatto che usano procedure giudiziarie pertinenti per sostenere la propria sicurezza nazionale, mentre condannano arbitrariamente i tribunali di Hong Kong che applicano la legge sulla sicurezza nazionale”, concludendo che “nessuno può impegnarsi in attività illegali con il pretesto della democrazia e tentare di sfuggire alla punizione”.
Anche Taiwan ha commentato la decisione del tribunale con lo slogan “la democrazia non è un crimine”, condannando “con fermezza l’uso da parte del governo cinese di misure giudiziarie e di procedure ingiuste per sopprimere la partecipazione politica e la libertà di parola degli attivisti pro-democrazia di Hong Kong”.