Quando si parla di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, sono pochi coloro che sanno realmente di cosa si stia parlando. DSA, dietro questo acronimo si nasconde l’infelice infanzia di tanti bimbi, con una sensibilità alle stelle ed un’autostima sotto le scarpe. Si tratta di un classico che prende le mosse quando il fanciullo inizia a misurarsi con il primo anello della società, la Scuola.
Sino ad allora egli non aveva mai potuto guardare dritto negli occhi le proprie difficoltà, tantomeno con il pungente commento dei suoi coetanei. Questo è il momento del silenzioso crollo delle aspettative future del nostro ragazzo. La lettura di un semplice brano diventa un tormento, scatenando l’ilarità generale della classe.
La scrittura comporta uno sforzo notevole, con errori grossolani da far perdere la pazienza a chiunque. Doppie inesistenti, inversioni di “d”e “b”, come se una folata di vento avesse confuso tutte le lettere. Moltiplicazioni che diventano addizioni, tabelline studiate per una settimana intera e dimenticate in men che non si dica. Situazioni insormontabili, per quell’età, che sussurrano al piccolo la sua incapacità, sino a convincerlo completamente. “Un ragazzo svogliato, pigro, non portato per lo studio, destinato ai lavori manuali”, si sarebbe detto qualche decennio fa. Anni in cui ai mancini si legava il braccio per obbligarli a scrivere con la destra, la “mano giusta”. Oggi, per fortuna, non è più così, in linea di massima. Diamo un’occhiata al panorama normativo internazionale ed al livello di consapevolezza in ambito scolastico in giro per gli Stati.
Ci sono leggi che tutelano il diritto allo studio di queste persone, che, in molti casi, hanno un coefficiente intellettivo superiore alla media, ma hanno bisogno di maggiore tempo e di mezzi compensativi e dispensativi ed anche di una maggiore preparazione, oltre che attenzione, da parte del corpo docente. In Italia la percentuale dei ragazzi dislessici oscilla tra il 3 ed il 5%, mentre nei paesi anglofoni, anche per la particolare irregolarità propria della lingua, la percentuale sale al 17% e coinvolge maggiormente il sesso maschile. Per dirla tutta, nei paesi anglosassoni, anche per l’avanzata struttura economica, la società ha visto, prima di altri Paesi, l’incremento della domanda di personale specializzato dovuto proprio al notevole sviluppo industriale che ha caratterizzato, con forte anticipo, queste regioni.
Con richieste sempre crescenti delle competenze linguistiche. E, probabilmente, da ciò deriva l’antica attenzione di questo popolo alla dislessia. Per la legislazione che tutela i Dislessici possono essere considerati “Paesi campione” Regno Unito e USA. Quest’ultimo ha una legislazione di tipo nettamente più esaustivo, tanto da rendere possibile un maggior numero di ricorsi e controversie legali, che trovano maggior appiglio nella complessità normativa. Purtroppo, pur trattandosi di Paesi di lingua inglese, l’Australia e la Nuova Zelanda, nella loro giurisprudenza non fanno cenno alcuno a nessun tipo di Disturbo Specifico dell’Apprendimento. Anche se, di fatto, una qualche attenzione in ambito scolastico viene posta verso questi soggetti, senza una vera e propria tutela giuridica.
Tornando nel vecchio continente, nei paesi nordici prendiamo la Danimarca. In questo paese la dislessia è conosciuta come “cecità alla parola” (ordblindhed) e viene tutelata con specifiche leggi che li considera disabili. In Norvegia la situazione è simile, ma con minor tutela nel percorso universitario e nessuna in ambito lavorativo. In Svezia non esiste alcuna legge che tuteli i soggetti con questi tipi di disturbi e che sancisca il diritto ad un controllo in età scolastica. La Finlandia presenta una situazione meno vantaggiosa degli altri paesi nordici per i dislessici. Non esiste alcuna normativa a tutela ed è tutto relegato alle iniziative a carattere privato.
Nell’Europa continentale la grande sorpresa negativa arriva dalla Francia. Paese noto per la particolare attenzione al Welfare. Quello che risulta più grave non è la totale mancanza di tutela giuridica verso le persone affette da DSA, ma è la mancanza di consapevolezza ad ogni livello. Al massimo, a giudizio dell’insegnante, si può chiedere aiuto al RASED, la rete di sostegno all’insegnamento. Detto aiuto, non avviene all’interno della classe (mainstreaming), ma il soggetto viene seguito in un altro ambiente separato. Tutto avviene senza un vero e proprio programma didattico specifico, dedicato agli studenti dislessici. In Germania la frammentazione del sistema scolastico, dovuto alla suddivisione nei singoli Lander ed alla relativa autonomia, complica non poco la situazione, che di per sé non è alquanto uniforme. Però vi è una alta consapevolezza del problema della dislessia a livello scolastico. Ma vi è una notevole differenza tra Lander e Lander, con solo in alcuni casi percorsi calibrati e integrati nel normale percorso scolastico. E’ lasciato molto alla iniziativa del singolo insegnante o genitore.
In Italia la normativa è proprio recente, si parla della Legge 170 del 2010, i cui decreti attuativi sono del 2011. Quella nostrana è una normativa “leggera”, ma eloquente. Si tratta, forse, dell’unico caso nel panorama europeo, se non mondiale, indirizzata specificatamente a garantire equità di diritti agli studenti affetti da DSA. Può sembrare un’inezia, ma il fatto che nella Legge italiana si faccia esplicito riferimento ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, che tali disturbi vengano specificati in forma chiara ed inequivocabile, è un precedente notevole nel panorama normativo di tutti i Paesi. In base alla norma, la Scuola, ad inizio anno scolastico, deve concordare e sottoscrivere con i genitori dei ragazzi dislessici il Piano Didattico Personalizzato (PDP), obbligando la Scuola ad attuare tutti i metodi dispensativi e compensativi necessari. Nella tanto vituperata Scuola del Belpaese, tutte queste azioni vanno poste in essere all’interno della normale classe frequentata dal soggetto affetto da DSA (mainstreaming), con una maggiore integrazione scolastica. Detta normativa estende la sua tutela sino a tutto il percorso universitario, prevedendo adeguate modalità e tempistiche per gli esami. Questa piccola panoramica ci aiuta a capire che la nostra normativa, pur se recente, ha posto, nel migliore dei modi, una prima pietra nella costruzione delle tutele al diritto allo studio che ci porterà alla maturazione del nostro futuro capitale umano. Si spera che presto la normativa possa essere integrata contemplando anche la tutela nel mondo del lavoro, prendendo esempio dall’esperienza dei Paesi anglosassoni.