Colpisce il cuore della comunità di Taormina la notizia del suicidio di una ragazza di 18 anni. Ieri, domenica 11 febbraio, in mattinata la giovane si è buttata dal quarto piano di un’abitazione. Il pronto intervento ha tentato di rianimarla ma ogni tentativo è stato vano. La procura di Messina ha aperto un’indagine per accertare l’accaduto.
E’ cronaca di alcuni giorni fa, giovedì per l’esattezza, anche la morte di un bimbo di 8 anni in provincia di Brescia. Si è chiuso in cameretta dopo un rimprovero dei genitori e ha trovato la morte stringendosi una sciarpa al collo, chiuso in un armadio. Trovato in fin di vita dalla madre, è stato trasportato in ospedale dove si è spento poche ore dopo. Ore di speranza e di preghiera, che hanno poi lasciato spazio a dubbi e perplessità.
A Forlì è in corso il processo ai genitori di una ragazza di 16 anni che nel 2014 si è gettata dal tetto del suo liceo, suscitando una polemica tra il mondo della scuola e il giudice. Quest’ultimo, con una lettera aperta, accusa i docenti di non essere stati in grado di percepire i segnali di allarme della giovane. Pare tuttavia che la responsabilità sia dei genitori, i quali l’avevano maltrattata fino a spingerla al gesto estremo.
Sono solo alcuni casi di suicidio di giovani che, proprio in merito alla loro età, ci fanno riflettere sul motivo per cui interrompano il loro divenire lasciando nello sconforto le famiglie e gli amici. Un numero sempre più crescente di ragazzi compie questo gesto estremo. Le motivazioni sono molteplici ma quasi sempre ci sono campanelli d’allarme che l’ambiente familiare e la scuola non devono sottovalutare. Si fanno largo nuove forme di malessere tra i giovani incompresi e delusi.
Pericoloso quasi quanto il suicidio è il nuovo male dell’animo che viene dal Giappone, l’Hikikomori: i ragazzi tagliano i ponti con il mondo esterno rinchiudendosi nella loro stanza, comunicando solo attraverso la Rete. Internet costituisce oggi la loro unica fonte di “alimentazione sociale” ma, a differenza di quanto si potrebbe pensare, non è l’unica causa del loro disagio. Il fenomeno, di cui si sa ancora troppo poco, è nato infatti prima che i computer e gli altri dispositivi tecnologici riscuotessero la popolarità di cui godono oggi. I ragazzi colpiti da questo male invisibile risentono delle pressioni esercitate dalla società, a partire dagli stereotipi diffusi fino alle aspettative di familiari e amici. Per sfuggire alla gabbia invisibile che li cattura non appena mettono piede fuori di casa, si rifugiano e si auto-recludono nella loro stanza. Quelle quattro mura diventano l’essenza del loro mondo, segreta abitazione della loro profonda e silenziosa sofferenza.