Siamo in media. Il governo Letta è durato in carica meno di un anno, anzi, parecchio meno, visto che il giuramento risale al 28 aprile dell’anno scorso. È la conferma che gli esecutivi in Italia di rado riescono a espandersi temporalmente: quando un presidente del Consiglio compie un anno, ha di che essere soddisfatto. Se guardiano ai gabinetti succedutisi dallo Statuto albertino a oggi, si contano sulle dita di una mano, o poco più, quelli che hanno superato i tre anni, vale a dire una durata ragionevole, tale da consentire di varare provvedimenti duraturi, con una politica si presuppone non soggetta a eccessivi mutamenti, dotati di solidità parlamentare. In epoca liberale, il «ministero lungo» di Camillo Cavour resta quello più solido della nostra storia istituzionale: durò oltre quattro anni, fra il 1855 e il ’59. Giovanni Giolitti superò due volte il triennio, un livello doppiato pure da Giovanni Lanza. Ma più della metà degli esecutivi, fino a Benito Mussolini, visse meno di un anno. E sotto la repubblica? A girare la boa del triennio sono stati solo due governi presieduti da Silvio Berlusconi e uno da Bettino Craxi.
L’instabilità istituzionale è segnata anche dalla durata delle legislature: in età liberale, solo quella nella grande guerra rispettò il quinquennio statutario, e anzi lo superò per la proroga di emergenza bellica. Sotto la repubblica, dieci legislature su sedici hanno visto la chiusura anticipata. Attenzione: non è detto che i governi di lunga (relativamente intesa) durata governino davvero. Il gabinetto Craxi I dopo due anni era cotto. Al Berlusconi II e al Berlusconi IV può similmente assegnarsi solo il primo biennio di esistenza non crisaiola. Chi vanta i teorici vantaggi della stabilità e della governabilità impressi dalla seconda repubblica (specie dai sistemi elettorali) dovrebbe riflettere sulle due legislature appena biennali, e un’altra accorciata. Quanto ai governi, dal ’94 a oggi se ne conta una dozzina. È quindi vano richiamare il preteso voto di popolo dietro governi che nascono e muoiono con maggioranze che forzatamente si formano dopo le elezioni e che condizionano la vita degli esecutivi. I presidenti del consiglio hanno scarsi poteri (stupisce che il Cav, il quale da lustri ripete questa solfa, sia stato zitto di fronte alle richieste di riforme istituzionali avanzate da Matteo Renzi) e sono spesso fuscelli in balia dei venti dei partiti.