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I “MINATORI NINJA” DELLA MONGOLIA

Praterie ondeggianti si srotololano verso l’orizzonte. Nessun albero, nessun cespuglio in vista. Solamente una serie di buchi intacca la perfezione del paesaggio, come piccoli crateri sulla superficie lunare. Sopra alcuni, si alza del fumo denso, proveniente dai falò di letame appiccati per sciogliere gli strati di terra perennemente ghiacciati. Ogni fossa è scavata da un piccolo gruppo di persone indipendente, che lavora senza licenza e senza equipaggiamento per più di dieci ore al giorno. Illuminati dalla fioca luce di una candela, scavano e setacciano il sottosuolo con pale e mazze di ferro, in cerca di piccoli granelli d’oro da vendere per qualche dollaro al mercato nero della capitale.

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In Mongolia, sono più di 100 mila i “minatori ninja” (denominati così perché, a causa delle bacinelle verdi che portano sulla schiena, ricordano le tartarughe mutanti dei cartoni animati) e rappresentano circa il 20 per cento della forza lavoro rurale. In anni recenti, infatti, gravi siccità e rigidissimi inverni (chiamati Zud in lingua mongola) hanno devastato il Paese, uccidendo interi allevamenti di bestiame e lasciando quasi metà della popolazione in condizione di estrema povertà. L’attività estrattiva illegale è diventata così l’unico mezzo di sostentamento per migliaia di persone, che improvvisamente si sono dovute trasformare da pastori nomadi in minatori nomadi. I “ninja” si spostano da un posto all’altro, s’intrufolano nei siti abbandonati dalle grandi compagnie minerarie ed estraggono l’oro rimasto. Secondo i dati pubblicati da Wired, nel solo 2013, i minatori illegali hanno “rubato” dal sottosuolo nazionale circa 5 tonnellate d’oro.

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I “ninja”, tuttavia, sono solamente all’ultimo gradino del business minerario, che attualmente sta fruttando al governo miliardi di dollari l’anno. La Mongolia, infatti, è una terra ricca di risorse naturali – con vasti depositi d’oro, rame, carbone e altri minerali – e, grazie al recente sviluppo del settore estrattivo, la sua economia vanta uno dei tassi di crescita più alti al mondo (12,3 per cento nel 2013). Il principale partner commerciale non a caso è la Cina: secondo un rapporto dell’Associated Press, nel 2012, il 90 per cento delle esportazioni era indirizzato al gigante asiatico e il 75 per cento dell’intera economia mongola si basava sugli scambi commerciali con Pechino. In Mongolia, tuttavia, questo fiorente business sta favorendo solamente una piccola élite, mentre più di un milione di persone (circa il 40 per cento della popolazione nazionale) lottano ogni giorno per sopravvivere.

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Nella sua cieca corsa all’oro, l‘industria mineraria ha profondamente alterato lo stile di vita millenario dei mongoli e il loro stretto legame con la terra, un tempo sacra e incontaminata. Oggi, invece, i fiumi vengono deviati, le praterie perforate e il sottosuolo sfruttato a un ritmo sempre crescente con conseguenze irreparabili per l’ambiente e la salute umana. I metodi d’estrazione utilizzati – come il dragaggio e l’uso di cannoni d’acqua ad alta pressione per radere al suolo le zone collinari – hanno devastato interi paesaggi e in molte parti del Paese i fiumi sono completamente asciutti, rendendo sempre più difficile ai pastori trovare acqua per dissetare il bestiame. Inoltre, nelle zone minerarie, le fonti alternative d’acqua (come le falde acquifere) sono spesso contaminate dal mercurio, utilizzato dai minatori per separare l’oro dal terreno e dalle rocce. Questo metallo è altamente tossico e, una volta rilasciato nell’ambiente, può facilmente entrare nella catena alimentare mettendo a serio rischio la salute degli animali ed esseri umani.

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Nonostante una legge del 2008 abbia vietato l’uso del mercurio nell’attività estrattiva, la maggior parte dei minatori non ha alternativa. Dal canto suo, il governo mongolo fa il suo gioco: chiude un occhio di fronte al fenomeno dei “ninja”, grazie a cui le casse del mercato nero si gonfiano sempre più d’oro, ma non concede ai minatori indipendenti le licenze per lavorare legalmente, accusandoli di danneggiare l’ambiente con i loro metodi rudimentali. Nel frattempo, le grandi multinazionali continuano a agire indisturbate nella loro opera di trasformazione della Mongolia in una gigantesca miniera d’oro da sfruttare fino all’ultimo granello.

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Data:

5 Dicembre 2015