Ultimamente sono molto indaffarata per revisionare e controllare un mio romanzo da tempo nel cassetto, rimasto là quasi dimenticato perché mi aveva sfinito, quasi nauseato, il titolo provvisorio è “Il volo del gruccione”, nel libro vi è una sezione tutta incentrata sulla simbologia dei volatili lungo i tempi, vi assicuro che esiste una lunga mitologia scritta e orale sui pennuti e forse ancora più lunga è quella esistente sui gatti.
Francisco Goya- ritratto di Manuel Osorio-177-88- Metropolitan Museum of Art
Il bell’articolo di Andrea Giuseppe Fadini, apparso su Web International Post qualche giorno fa, sulla ‘veggenza’ di Francisco Goya riferita al ritratto di Manuel Osorio accompagnato da gatti, uccellini e uccellacci, è stato come il drin drin di un campanellino, una strana coincidenza che mi ha fatto decidere di scrivere un articolo assai faticoso per me in questo momento, ma che mi dava pure la possibilità di lasciar uscire un’idea che covava da tempo nella mia mente e di mettere mano a una serie di appunti che stavano in una cartella sul mio computer. Così ora vi presento la mia ipotesi su questo sfortunato bambino raffigurato mentre gioca con una gazza addomesticata (l’uccellaccio?) una gabbia di uccellini e tre gatti (o forse gatte?), che rende la ‘profezia’ di Goya attendibile e ragionevole, una tesi formata dai tasselli di un bizzarro puzzle che alla fine si incastrano, che rimane comunque solo una possibile ipotetica verità.
Louis Léopold Boilly- L’oiseau privé, dit Le couple et l’oiseau envolé- 1790- Louvre
“Il termine uccello a che fare con l’organo maschile per eccellenza, secondo i linguisti questo accoppiamento accade perché con l’erezione il pene si alza, come un uccello in volo o forse perché la sua forma può ricordare la testa di un pennuto; da tempo immemorabile, dalle poesie di Catullo dedicate a Lesbia sino ad oggi, la coppia della gatta e dell’uccello ha un connotato a doppio senso, veniva sovente rappresentata nei dipinti dove ragazze curiose osservano o prendono in mano un uccellino, mentre una gatta si presenta all’attacco e cerca di mangiarselo in un solo boccone, con significati allegorici evidenti…”. Questo è lo stralcio del mio romanzo da cui parte l’idea che nel ritratto di Manuel Osorio sia raffigurato una faida di amori malati, d’intrighi, di cattiveria e di stupidità. Le due opere qui inserite, testimoniano quale fosse il simbolo del pennuto e quali erano i costumi nell’epoca settecentesca, più che erotiche sono immagini sciocche e offensive per le donne, ma la corte di Versailles voluta cento anni prima da Luigi XIV per tenere l’aristocrazia in una specie di parco giochi in modo da neutralizzarli e avere campo libero negli affari di Stato, aveva portato una gran dose di imbecillità che alla fine procurò la Rivoluzione: la corte spagnola seguiva a ruota i brillanti cugini, sempre però un passo indietro nella moda licenziosa essendo gli iberici i paladini della Chiesa, ma poi morto Carlo III, anche in Spagna tutto degenerò e poi crollò. Il pittore francese Louis-Léopold Boilly col dipinto dal titolo allusivo ma esplicito nella scena, in cui una ragazza fa la finta ritrosa, fu accusato di oscenità e minacciato di incriminazione davanti al Comitato di Salute Pubblica; per discolparsi, e non entrare in un tritacarne da cui era difficile uscire, dipinse il Trionfo di Marat.
Philibert Louis Debucourt – Incisione del 1796
In questa incisione del pittore e incisore francese Debucourt, la donna si abbandona in modo languido tenendo la gabbia con l’uccello appoggiata sul ventre, mentre la gatta mostra l’eccitazione derivante dall’imminente papparsi del pennuto. Raccontare ciò che voleva rappresentare Goya col ritratto di Manuel Osorio è impossibile, sia perché non conosco bene la storia spagnola, sia perché ciò che ci arriva dai posteri non è mai esattamente la verità, ci provo perché ritengo che ciò di cui non si può scrivere possa essere raffigurato tramite i simboli e che contestualizzandoli si possa pervenire a qualcosa, proverò così a raccontare le vicende della famiglia del conte di Altamira, lo chiamerò confidenzialmente così, visto che gli aristocratici spagnoli hanno la pessima abitudine di affibbiarsi all’incirca 40 o più titoli, tenete a mente la data del dipinto che è estremamente importante: il 1788, l’anno in cui morì Carlo III.
Francisco Goya-Ritratto di Carlo III cacciatore-1786
Carlo III prima di salire al trono di Spagna, fu re di Napoli dove governò con dispotismo illuminato lasciandovi un ottimo ricordo, si racconta che prima di partire si tolse l’anello che aveva trovato agli scavi di Pompei, non volendo impadronirsi di nessun bene partenopeo; dal 1734 al 1759 fu re di Sicilia. Nel 1759 arrivato in Spagna si circondò di validi collaboratori, alcuni dei quali apertamente illuministi. Fra di loro il più importante fu il duca d’Altamira che era Sumiller de Corps ovvero era la persona che si occupava del re e delle sue stanze, la posizione più ambita paragonabile a quella di Richelieu o di Mazzarino in Francia. Carlo III consapevole del cambiamento dei tempi attuò un piano di riforme inteso a modernizzare le strutture antiquate di Spagna: riorganizzò l’esercito e la marina, fondò scuole e accademie, rimodernò l’agricoltura, diede impulso all’industria e al commercio, ammodernò il sistema fiscale, creò la Compagnia delle Filippine e la Banca di San Carlo, oggi Banca di Spagna. Nonostante fosse un fervente religioso si scontrò con la Chiesa di Roma per contenere il potere dell’inquisizione ed espulse i gesuiti. Questo quadro roseo finì con l’ascesa al trono del figlio Carlo IV e della nuora nel 1788.
Francisco Goya-La famiglia di Carlo IV- Museo del Prado-Madrid
L’opera del 1801, fu eseguita da Goya, ritrae la famiglia di Carlo IV di Borbone. Notevole è la perizia tecnica del dipinto, i personaggi sono riccamente abbigliati, Carlo IV ha il petto inondato di medaglie, è nella posa del canone dell’arte greca, la ponderazione policletea, la posa di Augusto, dell’eroe, della divinità, eppure su di lui tale canone lo fa sembrare un tacchino impettito. Carlo, fu considerato un sovrano incompetente, giudicato dalla stessa corte come un re sciocco e incapace e succube della moglie Maria Luisa di Borbone-Parma, nel ritratto il re ha la faccia di un babbeo; mi sono sempre chiesta perché dopo un dipinto del genere il pittore non sia stato impiccato, incarcerato o almeno allontanato, la risposta non può essere che una sola: gli occhi vedono ciò che vuole il cervello, così nella sua mente Carlo si vedeva un dio e niente lo avrebbe convinto del contrario, ma continuiamo: al centro del quadro tra i due figli minori, vi è, come è giusto dato che è lei che comanda, Maria Luisa, anche lei appare sgradevole e caricaturale, Goya al centro del centro colloca un bambino vestito di rosso (tenete a mente il colore) che sembra avere uno sguardo velenoso, è bardato di medaglie e onorificenze, sembra essere lui l’erede al trono, ma non lo è in quanto ha fratelli più grandi, rappresentatati a sinistra, tra cui in azzurro, con la faccia da volpone, il futuro re, Ferdinando VII, allora chi è? Il figlio più piccolo di Carlo IV? La voce del popolo e non solo, attribuiva la paternità del bimbo a Manuel Godoy, questo strano personaggio che intrallazzava appoggiandosi alle donne e che fu causa di tanto male per il popolo spagnolo e anche per quello di Napoli, una specie di Napoleone spagnolo senza le qualità del Corso, ma ci fermiamo qui perché altrimenti mi allargo a dismisura.