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I SOCIAL COME UNA TRAPPOLA – I pericoli delle piattaforme

Topi in gabbia. È la metafora scelta da Serena Mazzini nel suo libro Il lato oscuro dei social network. Come la rete ci controlla e ci manipola, un testo in cui la scrittrice ed esperta di social network, spiega con toni poco rassicuranti, come le piattaforme condizionino le nostre vite e la nostra identità. La tendenza molto diffusa in tanti scrittori, esperti, studiosi di interpretare criticamente le tendenze a cui ci porta la comunicazione digitale, è una disamina che spesso e volentieri porta sul banco degli imputati i social e i loro padroni, accusandoli di manipolare le nostre vite e di propagare disinformazione. Le proposizioni della Mazzini sotto questo aspetto sono dunque allineate con la maggioranza degli altri esperti e studiosi, tutti uniti nel sottolineare come “la Rete (ma sarebbe stato forse più preciso indicare invece i social) ha finito per essere una trappola i cui pericoli sono la perenne visibilità, la rincorsa ai “like”, e la riduzione e l’indifferenziazione tra pubblico e privato”. Eccoci dunque alla metafora dell’essere tutti come “topi in gabbia”, ovvero vittime di una “manipolazione emotiva” ad opera degli algoritmi dei social media in grado di “influenzare, orientare e controllare le emozioni degli utenti, spesso in modo sottile e inconsapevole, con lo scopo di modificarne i comportamenti, le scelte e di indurci a desideri di consumo”.

Gli utenti finirebbero, sempre secondo la Mazzini, per raggiungere uno snaturamento identitario che li porterebbe ad adeguarsi alle regole non scritte ma imposte dalle piattaforme. Canoni estetici inarrivabili e sofferti da raggiungere, omologazione e standardizzazione dei linguaggi sono la diretta e inevitabile conseguenza di una folle rincorsa verso la monetizzazione dell’individuo e della sua originalità emotiva. Secondo la Mazzini il problema alla base di tale comportamento e di una tale manipolazione sarebbe da ricercare in una mancanza di eticità delle piattaforme e del progetto alla loro base; il fine, ovvero con cui i social sono stati creati è nel corso del tempo mutato ed è oggi diventato un mezzo per imbrigliare l’utente il maggior tempo possibile in uno spazio nel quale poi trarre profitto dai dati trasmessi. A farne le spese e, allo stesso tempo, a diventare opportunità di sfruttamento emotivo, sono gli stessi utenti, i quali, soggiogati da qualcosa di più grande di loro, perdono ogni residuo spazio di difesa, trasformandosi in soggetti vulnerabili da monetizzare. I meccanismi nascosti e per molti oscuri, rappresenterebbero delle armi di seduzione di massa in grado di estrarre valore d’uso da ognuno in modo inconsapevole, andando a sfruttare “bisogno di approvazione, confronto sociale costante e timore di essere esclusi”, già presenti nella psicologia di ognuno di noi.

Se i vari aspetti elencati dalla studiosa sono stati già affrontati ed esaminati più volte da decine di esperti, un aspetto interessante affrontato nel libro è quello di come molti aspetti della nostra quotidianità siano stati “normalizzati” e, forse, banalizzati per essere invece usati come ricerca di consenso a tutti i costi. Morte, sofferenza, sharenting non sono più situazioni che andrebbero trattate privatamente attraverso un giusto momento di riservatezza personale, ma sono arrivati a essere, nel mondo dei social, merce da visibilità e da alti numeri di visualizzazioni. La soluzione per la studiosa è una presenza maggior dei genitori nella vita dei propri figli (attraverso i buoni esempi e le buone pratiche d’uso), non cadere nella tentazione del divieto assoluto (come per esempio stanno facendo alcuni Paesi nel mondo), proporre una educazione digitale in grado di fornire consapevolezza grazie all’azione collettiva “da parte di famiglie, mondo scolastico e istituzioni. L’obiettivo è far sì che si usino i social, senza essere usati dai social stessi”. Danah Boyd nel suo famoso libro “It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web”, sottolineava molto efficacemente come sia «facile fare della tecnologia il bersaglio delle nostre speranze e delle nostre ansie […]. Come ha detto l’informatico Vint Cerf “Internet riflette la nostra società e quello specchio rifletterà ciò che vediamo. Se non ci piace ciò che vediamo in quello specchio, il problema non è riparare lo specchio, ma riparare la società”».

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Data:

23 Marzo 2025