Ore 3,38 del 24 Agosto 2016: la terra trema e porta con sé l’inferno, la distruzione, il panico. Solo attimi, sufficienti a sbriciolare paesi come castelli di sabbia e sterminare la vita di intere famiglie. E’ la follia imprevedibile della natura, che spiazza, sorprende e trasforma le città in terre di sfollati e di morti. Siamo di nuovo a piangere per l’immane tragedia che ha toccato la nostra bella Italia. Lacrime amare dei sopravvissuti che sono stati privati di tutto. Perché il terremoto toglie tutto, se sei fortunato, lascia solo i ricordi. E’ proprio grazie a quei ricordi che vogliamo tornare nel passato, con gli occhi di chi l’ha visto e combattuto.
Erano le ore 5,20 del 28 Dicembre del 1908, la durata della scossa tellurica fu di 38 secondi, valore di magnitudo 7.1, fu catastrofico. La scossa fu prima ondulatoria, poi sussultoria e infine rotatoria e distrusse completamente il tessuto urbano di Messina e Reggio Calabria. In quei 38 secondi il terremoto cancellò l’eredità storica delle due città e di centinaia di altri centri urbani circostanti. Dopo 5/10 minuti il maremoto, finì quel poco che ancora era rimasto in piedi. Onde di altezza compresa fra i 3-11 metri fecero altre vittime tra le persone scampate ai crolli. I primi aiuti arrivarono il giorno dopo, i paesi erano irraggiungibili, senza elettricità. Si scavò per giorni a mani nude con il cuore pieno di speranza e gli occhi dilaniati dalla visione di tanta morte, persone che si aggiravano affamate, con ferite incancrenite alla ricerca dei propri cari. Uomini imprigionati vivi sotto le macerie che si disperavano, ma speravano. Morte e distruzione abitarono per settimane in quelle macerie. Molti sostenevano che era necessario bombardare quello che era rimasto e coprire tutto con una pioggia di disinfettante, onde evitare epidemie e ricostruire le città in un altro luogo. Ma a mente fredda si decise di ricostruire li, dove erano sempre state quelle città.
Era però indispensabile interrompere le ricerche e guardare avanti, uscire da quello stato di agonia lacerante. Vennero fatti cadere i muri pericolanti con la dinamite, cominciò l’opera di spianamento di cumuli che nascondevano nelle loro viscere migliaia di esseri umani. Si stima che i morti siano stati circa 80.000. L’epidemia fu bloccata. Messina e Reggio pian piano ricostruite, ma erano oramai due città morte. Una bambina di 5 mesi Angelina Caminiti, venne salvata dopo 4 giorni nella frazione di Sesto San Giovanni. Era perfettamente incolume, ancora attaccata al seno della madre, spirata poche ore prima che giungessero i soccorsi. L’aveva alimentata con la sua vita. Tutti furono profondamente toccati da quell’evento che colpì le già povere ed emarginate terre del Sud. In tutta Italia e poi in tutta Europa, negli Stati Uniti e in molti paesi d’oltremare, la gente rimase scioccata nel vedere pubblicate in prima pagina le foto di quella immane tragedia. L’Italia tutta era in lutto, furono annullati veglioni e festeggiamenti di fine anno, tranne in alcune città del Nord che decisero di soprassedere e divertirsi. Lo scrittore siciliano Sandro Attanasio scrisse: “La sera del 30 Dicembre, in piena tragedia nazionale, si manifestò l’altra faccia dell’Italia, quella vile ed egoista, tronfia per il troppo denaro. La grassa borghesia milanese. L’aristocrazia dei quattrini, quella sera non volle rinunciare al divertimento. Si riunì in quel “tempio dell’arte” che è la Scala di Milano per godersi il famoso ballo Excelsior. Quella sera l’elegante pubblico rutilante di gioielli che affollava i palchi e le sale del teatro più famoso del mondo si è divertito, ha passato un’ora e mezzo fra ridenti visioni di un elegante caleidoscopio”.
Circa cento anni dopo, altre pagine di dolore, altro inchiostro tinto di sangue. “Caro Gesù visto che sono con te potresti salutarmi mamma e papà. Senza di loro, mi sento sola, per favore trattali bene, dai un abbraccio da parte mia alla mamma e dille che non vedo l’ora di poterla riabbracciare. Qui è crollato tutto, anche la mia stanza con i giochi, dove c’era la fortezza che papà aveva costruito, anche se aveva detto che era indistruttibile. Per favore digli a mamma e papà che li aspetto, che sono stanca di stare con le maestre, anche se mi trattano bene e mi vogliono bene”.
Questa è la lettera di una bambina di 7 anni che è sopravvissuta al terremoto di Amatrice ed è rimasta orfana. Una volta che sei stato dentro un terremoto, anche se sopravvivi senza lesioni, il tuo cuore rimarrà colpito per sempre e quelle cicatrici non si rimargineranno mai più. I terremoti sono tutti uguali, lasciano addosso la disperazione, l’impotenza davanti alla furia. Evidenziano forze e debolezze. La forza nella partecipazione dei volontari, impegnati a sollevare pietre per salvare vite, la solidarietà, il rispetto al dolore. La debolezza nella rassegnazione di accettare la tragedia come una fatalità, la passività di accettare ricostruzioni sempre più lente. Il comune desiderio di ritorno alla normalità, che non avverrà mai.
“…A tutti gli Italiani e le Italiane, in questi casi non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana. Tutti devono mobilitarsi per aiutare questi fratelli colpiti da questa immane sciagura. Perché credetemi, il modo migliore per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Dal discorso di Sandro Pertini alla Nazione dopo il terremoto del 1980 in Irpinia.