Nazik al Mala’ika ci invita a intraprendere un viaggio carico di significati ancestrali e di esplorazione interiore, scavando nelle profondità esistenziali e percorrendo un cammino che oscilla tra il finito e l’infinito. Con il ritmo dei suoi versi, sembra trasportarci nel cuore della notte, in un silenzio che non è solo vuoto ma custode di una ribellione. La notte, figura archetipica, diventa lo specchio dell’anima insonne, ribelle e insondabile. La struttura dialogica, arricchita da elementi naturali e cosmici – la notte, il vento, il destino e il sé – evoca antiche saggezze e richiami a divinità e forze invisibili, come se l’io lirico cercasse un’eco di risposte dall’universo. Ogni verso scava nell’ombra, come se la poetessa fosse guidata da una forza primordiale che la spinge a cercare oltre la superficie delle parole, oltre la percezione del tempo. Il suo spirito inquieto, “rinnegato dal tempo”, richiama il mito dell’eterno ritorno: un’anima senza luogo, destinata a vagare, perpetuamente interrogante.
Centrale è la figura del destino, che non è visto come mera fatalità, ma come forza creatrice e distruttrice: il destino, in questo caso, si piega alla volontà della poetessa, che “piega le epoche” e “crea il passato più remoto”. La sua poesia esprime un desiderio profondo di riappropriazione della propria essenza, una volontà di forgiare il proprio cammino, anche se questa creazione è destinata a ripetersi in un ciclo di speranza e oblio. La tensione verso l’eternità dell’essere ci riporta agli antichi poemi epici, dove l’eroe cerca di affermare sé stesso di fronte al vasto ignoto; e il suo tentativo, pur consapevole della finitudine, assume comunque un valore sacro. Il dialogo con il sé, che si conclude con l’immagine del miraggio – che si avvicina e poi si dissolve – rappresenta l’inesauribile ricerca dell’identità, come in un antico mito in cui l’eroe si confronta con l’abisso e ne esce rinnovato, pur senza una risposta definitiva. Il miraggio, come un ingannevole orizzonte, simboleggia la meta irraggiungibile, come se la risposta alla domanda “chi sono?” fosse eternamente oltre la portata, sempre sul punto di rivelarsi eppure sempre sfuggente. Nazik al Mala’ika esplora l’identità individuale e interroga la stessa essenza umana, che si rinnova e si dissolve nei secoli, in una continua ricerca che non trova mai fine; la sua voce poetica, quella di un’antica oratrice, pur trattando temi universali, conserva un’intimità moderna, offrendoci un frammento del mistero dell’essere, nascosto ma tangibile, che risuona attraverso le epoche, oltre il tempo e il silenzio.
Vincenza Pellegrino