Il cardinale Pell è in carcere
Condannato per abusi sessuali su minori, prima notte in cella a Melbourne
Il cardinale George Pell, condannato per abusi sessuali su minori, è stato condotto nel carcere di Melbourne, dove trascorrerà la sua prima notte in cella. Il giudice Peter Kidd del tribunale di Victoria ha revocato il provvedimento di libertà provvisoria concesso a Pell al termine di una breve udienza. Il cardinale aveva goduto dei benefici della llibertà provvisoria per tutta la durata del processo. Dopo il verdetto di condanna, la sentenza a carico di Pell verrà pronunciata il 13 marzo, ha detto il giudice Kidd.
Il portavoce ’ad interim’ del Vaticano, Alessandro Gisotti, ha fatto sapere poi che Pell “non è più il Prefetto della Segreteria per l’Economia”. “Posso inoltre chiarire – ha spiegato ancora Gisotti – che, dopo la sentenza di condanna di primo grado” la “Congregazione per la Dottrina della Fede si occuperà ora del caso nei modi e con i tempi stabiliti dalla normativa canonica”.
Da oggi Pell è detenuto nella Assessment Prison di Melbourne, in attesa della sentenza prevista per il 13 marzo. Durante l’udienza di oggi è stato confermato che i cinque reati di cui il cardinale è stato dichiarato colpevole comportano una condanna massima di 10 anni ciascuno. Al porporato australiano era stata accordata la libertà su cauzione, dopo la sua incriminazione lo scorso dicembre, perché richiedeva un intervento chirurgico alle ginocchia. “Il porporato continua a dichiararsi innocente e il suo avvocato ricorrerà in appello. Appello – la cui data non è stata ancora fissata – nel quale il card. Pell non sarà ascoltato da una giuria ma da un Collegio di tre giudici; questo – ricorda Vatican News – significa che il caso non si chiuderà finché il ricorso non sarà esaminato e non sarà stata presa una decisione definitiva”.
L’ambasciatore tedesco: “Roma-Berlino relazione strategica”
“La relazione tra Italia e Germania è strategica”. A dirsene convinto è l’ambasciatore della Repubblica Federale di Germania a Roma, Viktor Elbling, ospite di ’AdnKronos Live’. “Gli incontri tra i due capi di governo sono molto fitti, sono vicini, si comprendono bene” aggiunge commentando il colloquio a Davos tra Angela Merkel e Giuseppe Conte.
I conti pubblici italiani? “Non preoccupano, sono un tema italiano” dice l’ambasciatore. “Abbiamo delle regole che tutti in Europa seguiamo e ognuno deve vedere come mantenersi dentro queste regole” aggiunge, sottolineando che “serve più crescita in Europa” ma anche tenere “sotto controllo i conti pubblici”.
L’Italia farà ancora parte del gruppo di testa? “Senza triangolo Italia, Francia e Germania, l’Europa non andrà avanti” dice Elbling per il quale proprio l’Europa deve essere “molto più coesa e solidale su come distribuire i migranti che arrivano”.
MIGRANTI – “La Germania è il Paese che ha accolto più migranti in Europa e per l’Italia c’è il tema del primo approdo” dice l’ambasciatore. “Quello della distribuzione solidale è un tema essenziale” ed è necessario che “l’Europa trovi nuove regole per questa distribuzione”. Serve, sottolinea Elbling, “più solidarietà verso l’Italia”.
RAZZISMO – “Non parlerei di Italia razzista, per quello che vedo e percepisco” dice l’ambasciatore, riguardo al tema dell’immigrazione. “L’Italia – aggiunge il diplomatico – è sempre stata il Paese dell’accoglienza, aperto e tollerante”.
UNITA’ – “Penso che l’Europa ha una salute migliore di quello che si pensi” dice ancora l’ambasciatore. “Quando siamo uniti, siamo molto forti”. Sul tema della difesa, della politica estera comune “abbiamo bisogno di trovare più unità” ma “siamo i Paesi che spendono di più sul tema del welfare e dei temi sociali”. E’ “una delle grandi forze che abbiamo” e “siamo molto lontani dalla fine dell’Europa”.
GLOBAL – Inoltre, dice Elbling, “non bisogna credere che le preoccupazioni nostre siano solo nostre, ma bisogna comprendere che gli Stati sono tutti piccoli in questo mondo globalizzato” e “credere che possiamo competere contro Stati con un’economia di molto peso è un errore madornale. Dobbiamo capire che siamo una famiglia – conclude – e risolvere le differenze, che sono piccole comparate rispetto a tutto quello che ci unisce”.
E’ di almeno 20 morti e 43 feriti il bilancio dell’incendio, scoppiato nella stazione ferroviaria ’Ramses’ al Cairo in Egitto. L’autorità ferroviaria ha sospeso qualsiasi collegamento da e per la Capitale. Il bilancio è stato confermato dal ministro egiziano della Salute, dopo l’incidente alla stazione Ramses, nel centro del Cairo. Lo riferisce il portale di notizie Ahram Online. Tra i feriti diverse persone versano in gravi condizioni, come ha detto il ministro Hala Zayed, precisando che molte delle vittime non sono state identificate.
Secondo la ricostruzione riportata dalla Bbc, una locomotiva non si sarebbe fermata alla fine di un affollato binario e lo schianto avrebbe provocato l’esplosione del serbatoio del locomotore. Le persone sulla banchina sono state travolte dalle fiamme.
Il ministro dei Trasporti, Hisham Arafat, si è dimesso e il governo ha promesso risarcimenti ai familiari delle vittime e ai feriti. Non si tratta del primo disastro ferroviario e, in passato, la mancanza di investimenti e la manutenzione carente sono state indicate come cause degli incidenti, che spesso hanno scatenato le proteste della popolazione.
L’incidente più grave nella storia dell’Egitto risale al 2002, quando oltre 370 persone sono rimaste uccise in un incendio scoppiato su un treno stracolmo di passeggeri in viaggio sulla linea che collega Il Cairo a Luxor. Tra i peggiori incidenti ferroviari c’è anche quello che nell’agosto del 2006 è costato la vita a 58 persone, morte per lo scontro tra due treni che viaggiavano sullo stesso binario a nord del Cairo. Più di recente, nell’agosto del 2017, due treni si sono scontrati nei pressi della città di Alessandria e il bilancio ha superato i 40 morti. Nel febbraio dello scorso anno, inoltre, almeno 15 persone sono morte per lo scontro tra due treni nella provincia di Beheira e a luglio 2018 un treno è deragliato a sud del Cairo, con un bilancio di 55 feriti.
PREMIER – Il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly si è recato sul luogo dell’incidente, spiegando che a chiarire le cause dell’incendio sarà un’inchiesta. ’’Ognuno deve sapere di essere molto prezioso per il Paese e che per questo riterremo responsabile chiunque ha trascurato il suo lavoro e che verrà riconosciuto colpevole’’, ha detto il premier all’emittente ’Nile Tv’. Madbouly ha quindi spiegato che il ministro della Salute Hala Zayed sta seguendo le condizioni dei feriti ricoverati all’ospedale di Al-Helal, in centro al Cairo. ’’Le vite di tutti gli egiziani sono per noi molto importanti – ha dichiarato il premier -. Una commissione condurrà un’indagine insieme al procuratore generale’’.
AL SISI – Ferma condanna da parte del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che promette “punizioni” per i responsabili della “catastrofe” alla stazione. “Ho dato istruzioni al governo affinché i responsabili di questa catastrofe siano individuati e puniti dopo un’inchiesta approfondita”.
Venezuela, ’anche per italiani è un inferno al confine col Brasile’
“Qui è un inferno per tutti, anche per i membri della comunità italiana”. Santa Elena de Uairen è una città di 30.000 abitanti al confine tra Venezuela e Brasile, nello stato di Bolivar. Da sabato, quando gli aiuti umanitari avrebbero dovuto entrare in territorio venezuelano, il capoluogo del comune di Gran Sabana è “in uno stato d’assedio”. Americo De Grazia, deputato dell’assemblea nazionale, descrive all’Adnkronos un quadro “infernale”.
“Secondo i nostri calcoli sono state uccise almeno 25 persone, a cominciare da alcuni indigeni Pemon, ma non ci sono stime precise. Alcune persone sono irreperibili, altre pensiamo siano state arrestate e portate via”, afferma.
“Il territorio è totalmente militarizzato. Le strade sono deserte, presidiate dagli uomini di Maduro. Non si tratta solo di soldati, c’è di tutto: esercito, guardia nazionale, polizia nazionale. E poi ci sono i ’colectivos’, bande paramilitari. E ci sono i delinquenti comuni -dice De Grazia-. Il sindaco si nasconde, la città è guidata da una sorta di sindaco ad interim che cerca di tenere in piedi i servizi basilari, ma è tutto estremamente complicato”.
“Abbiamo informazioni e motivi per ritenere che i cadaveri vengano trasferiti in una struttura militare. L’ospedale principale della città è blindato: chi cerca di entrare, per ricevere cure o visitare un parente, viene fermato, controllato, perquisito, seguito. C’è un agente o un soldato per ogni civile, non si può nemmeno parlare liberamente con un familiare malato -prosegue De Grazia-. Siamo in uno stato di militarizzazione assoluta, si punta a rendere tutto invisibile”.
“Santa Elena de Uairen, per la sua collocazione, è un centro cruciale per i rapporti economico con il Brasile. Il regime ha chiuso la frontiera e vuole arrivare a smantellare qualsiasi relazione con il paese vicino”, dice ancora.
Lo stato di Bolivar, come tutto il Venezuela, ospita cittadini ed aziende legati all’Italia. Anche chi vive e lavora nelle zone diTukemeno e Guasipati fa affidamento sui collegamenti con il Brasile. “L’economia locale dipende al 100% dai rapporti con il paese confinante e questo vale anche per la comunità italiana. Senza questo legame, per la regione non c’è nessun futuro”, sottolinea.