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IL CIBO NELL’ARTE – XI^ Parte

Apicio, il più noto chef dell’antica Roma, che visse nel I secolo, al tempo di Tiberio, scrisse un ricettario chiamato “De re coquinaria”, da cui possiamo trarre molte informazioni sulla cucina dei romani.

Di Apicio non conosciamo neanche il nome per intero, anche se ci è noto un aneddoto, si narra che egli spese tutte le sue ricchezze nella ricerca di alimenti raffinati e nelle invenzioni culinarie e quando restò senza soldi piuttosto che mangiare cibo povero, preferì ingerire un veleno.

La maggior parte delle sue ricette sono assai lontane dal nostro gusto, ma altre sono ancora presenti sulla nostra tavola.

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Affresco romano-Scena di banchetto – Casa dei Casti Amanti- Pompei

Nel suo ricettario ci sono diversi piatti con alimenti che non usiamo più, ad esempio la gru cucinata con contorno di rape oppure i fenicotteri lessati con porri e coriandolo oppure il ghiro farcito; le spezie sono sovrabbondanti, i meloni, per esempio, venivano insaporiti con pepe, miele, aceto e silfio, quest’ultima spezia non esiste più ma al tempo era considerata preziosa come l’oro; i cocomeri venivano lessati: “Lesserai i cocomeri sbucciati con cervella già scottate, cumino e poco miele oppure con semi di sedano, salsa e olio. Condenserai con amido, cospargerai di pepe e porterai in tavola”, queste ricette di Apicio certo non ci allettano, ma al tempo piacevano assai. Il “gustum” per esempio, era molto apprezzato dalle famiglie patrizie: “Dovete portare ad ebollizione le albicocche, aggiungere pepe macinato e menta, salsa di pesce, vino passito, aceto, olio e cuocere per 20 minuti”.

Il “defrutum” era un condimento a base di mosto di vino cotto e ridotto, una specie di marmellata sciropposa che piaceva molto, era molto sostanziosa e dava alle pietanze un sapore delicato e intenso. Si otteneva dal mosto di uve bianche o rosse e immediatamente cotto.

Quella del mosto d’uva cotto, è una pratica antica, descritta non solo da Apicio ma anche nei trattati di agronomia di Plinio il Vecchio e citata anche nel “De Re Rustica” di Columella; non è altro che la saba o sapa odierna che in Romagna si usa per inzuppare i sabadoni, che sono tortelli dolci, farciti con un composto a base di castagne, una tradizione tipica romagnola, ma anche di altre regioni.

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Thermopolium di Vetutius Placidus con le grandi giare, incassate nel bancone e in fondo l’edicola coi Lari

I romani amavano il vino, che accompagnava ogni pasto, lo importavano anche dalla Grecia, vi aggiungevano spezie o miele e spesso veniva diluito con acqua fredda o calda, era sinonimo di convivialità era un tirami su per ogni ceto sociale.

Tabernae fa pensare a una taverna o un’osteria, in realtà era il nome dato a piccole botteghe artigianali come panifici, lavanderie, calzolai e altro dove si facevano gli acquisti quotidiani; “caupona” invece significava osteria, nell’antica Pompei pare ve ne fossero più di ottanta, qui si consumavano cibi e non mancava il vino, qui era possibile trovare delle camere da affittare anche per poche ore, spesso erano dei lupanari, dove con poca spesa, all’incirca due sesterzi che equivalgono a quattro-cinque euro odierni, si offrivano anche servizi sessuali.

Al tempo si pranzava spesso fuori casa, il thermopolium era un luogo di ristoro una sorta di fast food, dove si servivano bevande e cibi caldi, conservati in grandi giare, incassate nel bancone per uno spuntino veloce magari prima di un bagno alle terme, noto è il thermopolium di Asellina a Pompei che prende il nome dalla fanciulla che, insieme alle sue compagne, Aegle, Maria e Zmyrina servivano nel locale e i cui nomi sono tuttora dipinti sulla facciata, questo fa pensare che le ragazze probabilmente oltre a servire il vino offrissero anche il loro corpo. Il bancone è intonacato di rosso e da una parte vi è un forno e vi sono murate quattro giare, furono ritrovate anche le suppellettili, anfore, un imbuto, una pentola ecc.

Ben conservato è il thermopolium di Vetutius Placidus dove sul muro di fondo, in un’edicola, sono dipinti i Lari, divinità della casa, i Geni protettori “dell’imprenditore”, Mercurio dio del commercio e Dioniso dio del vino, qui è stata ritrovata una giara di terracotta con l’incasso dell’oste, quasi tre chili di monete… un’attività assai redditizia.

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Cassata di Oplontis – Villa di Poppea- Oplontis- Alzata d’argento con un dolce farcito di ciliegie

In epoca imperiale il banchetto aveva una funzione sociale e di potere economico e politico, si ostentava allegria, molto spesso finta e un lusso scenografico ed esagerato, celebre è la cena di Trimalcione, un liberto divenuto ricchissimo, narrata nel Satyricon di Petronio: “Tornando all’antipasto, su un grande vassoio era sistemato un asinello, di bronzo corinzio, che portava una bisaccia a due tasche, delle quali l’una conteneva olive chiare, l’altra scure[…] piccoli sostegni, poi, saldati al piano del vassoio, sorreggevano dei ghiri spalmati di miele e cosparsi di polvere di papavero. Non mancavano anche delle salsicce che friggevano sopra una griglia d’argento e sotto la griglia prugne siriane con chicchi di melograno […] un vassoio, sul quale era sistemato un cinghiale di grande mole, e per giunta fornito di un cappello, dalle cui zanne pendevano due cestini, fatti di foglie di palma intrecciate, ripieni l’uno di datteri freschi, l’altro di datteri secchi. Intorno al cinghiale, poi, dei porcellini fatti di pasta biscottata, dando l’impressione di stare attaccati alle mammelle, indicavano che il cinghiale era femmina”.

(Continua)

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https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_CIBO_NELL%E2%80%99ARTE_(I%5E_Parte)_32186.html

https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_CIBO_NELL%E2%80%99ARTE_(II%5E_Parte)_32282.html

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Data:

1 Gennaio 2024