IL CIBO NELL’ARTE - XIII^ Parte - International Web Post

Alla fine del Bassomedioevo, la mensa della plebe non era troppo distante da quella del feudatario o del monaco, certo le differenze c’erano, il signore e il monaco mangiavano pane bianco di frumento, il contadino pane scuro e polenta, tuttavia nell’arte, soprattutto della miniatura sono rare le scene di banchetti, mentre abbondano le scene agricole legate ai mesi: la mietitura del grano, la macinatura della farina e poi la panificazione, la raccolta dell’uva, la pigiatura e il vino, ecc.; il cibo era considerato frutto di duro lavoro e dono di Dio, tutti rispettavano il calendario liturgico, con i giorni di digiuno e la Quaresima… la vera discrepanza fra la mensa del povero e quella del ricco era la quantità e non la qualità.

Arazzo di Bayeux- Scena di banchetto- Fine XI secolo- Il re Guglielmo I siede ad un banchetto con i suoi nobili e il vescovo Odone benedice il pasto

Lo stacco che differenzia la mensa del ricco e del povero per qualità, si ha in epoca carolingia, attorno al IX secolo, coi disboscamenti realizzati per aumentare gli spazi coltivati; il bosco ridimensionato che sino ad allora tutti usavano per cacciare o pascolare animali e per trarne importanti risorse alimentari divenne riservato solo all’uso dei potenti; vi furono scontri e liti giudiziarie ma ormai il privilegio dell’uso del bosco fu per pochi e la selvaggina diventò un’esclusiva delle mense dei signori, un vero e proprio status symbol, non solo il gusto e il piacere di un cibo esclusivo, ma l’esibizione del proprio valore di guerriero-cacciatore, di uno stato di classe privilegiato che era solo per i feudatari.

Questa divisione netta fra la mensa della plebe e quella del nobile si approfondì in epoca comunale, con la diversificazione dell’alimentazione cittadina da quella contadina: chi si cibava solo di cipolla, fagioli, aglio, fava lessata, ovvero la plebe, chi aveva cibi elaborati e ricercati cioè l’aristocrazia, la rozzezza del villano in opposizione alla raffinatezza dei modi ‘cortesi’ dei nobili; i medici del tempo lo ribadivano, lo stomaco dei villici non era come quello dei ricchi, non era in grado di percepire il gusto del piacere ma in modo grossolano trangugiava stimolato solo dalla fame.

Miniatura- Battuta di caccia al cervo- XV secolo- Bibliothèque Nationale- Parigi

Per i signori feudali il mangiare molto era sinonimo di esclusività e di ricchezza, il povero in primavera, molto spesso era alla fame non aveva più niente da mangiare sino ai nuovi raccolti, vi erano delle normative che disponevano per i vescovi, gli abati e i feudatari di effettuare opere di carità, dando cibo ai poveri che erano definiti famelici, alimenti e vivande per i poveri non solo perché erano affamati come branchi di lupi ma per obbligo morale, gli indigenti da nutrire erano visti come l’immagine di Cristo e degli apostoli.