Il “tempo che resta” rappresenta una riflessione sulla finitezza della vita umana e sulla necessità di vivere in modo consapevole. Come Severino sottolinea, se il passato non esiste più, il presente è inafferrabile e il futuro è incerto, ciò non deve portarci alla disperazione, ma piuttosto a una valorizzazione del momento presente. La consapevolezza della nostra condizione finita ci invita a cercare significato e autenticità nella nostra esistenza.
La legna sta bruciando. Dapprima appaiono i suoi contorni nella luce del fuoco; poi essi scompaiono e appare l’incandescenza delle braci; a sua volta, poi, questa incandescenza scompare e appare la cenere.
La legna spenta, la legna accesa, le braci, la cenere e il vento che la disperde si sono avvicendati nel cerchio luminoso dell’apparire. Al subentrare di ognuno di questi eventi, il precedente esce dall’apparire. Il cerchio dell’apparire non attesta che la legna si trasforma in cenere: appunto perché non attesta che la legna si annienta come legna. Per “trasformarsi”, o “diventare” cenere è infatti necessario che la legna si annienti come legna. Ma se l’annientamento della legna non appare, non può apparire nemmeno il suo “diventare” cenere.
All’interno di quel cerchio, la cenere non è la sorte toccata alla legna; essa non grida, ma tace la sorte della legna. In quel cerchio, la legna non diventa cenere, così come gli uomini non diventano polvere: la cenere è il successore della legna; la polvere dell’uomo. Ma l’annientamento di ciò che muore non appare. (Emanuele Severino, La strada)
Emanuele Severino, filosofo italiano attivo nel XX e XXI secolo, ha affrontato temi come: l’essere e il divenire, il nichilismo, la tecnica e la sua influenza sulla società, la verità e la sua natura storica, la relazione tra la poesia e il nulla. Severino, noto per la sua capacità di affrontare questioni complesse con uno stile rigoroso e una profonda conoscenza della tradizione filosofica, riflette sull’illusione del tempo e sull’eternità, ponendo l’accento su come il nostro approccio al tempo influisca sulla nostra comprensione della vita. Severino esplora anche la condizione dell’uomo nel contesto della verità e dell’errore. Sottolinea come l’uomo sia sospeso tra la consapevolezza della propria mortalità e la verità dell’essere eterno.
Il concetto di “tempo che resta” nella filosofia di Emanuele Severino è centrale per comprendere la sua visione dell’esistenza e dell’essere. Il concetto di “tempo che resta” non è solo una riflessione sul tempo, ma un richiamo a una vita piena e significativa, in cui si riconosce l’eternità dell’essere oltre l’illusione del divenire. Severino critica l’interpretazione tradizionale del divenire, sostenendo che affermare che una cosa diventi un’altra implica un annientamento dell’essenza originale.
Attraverso la metafora della “legna e la cenere”, Severino esplora concetti fondamentali riguardanti l’essere e la trasformazione. Secondo lui, il processo di trasformazione osservato nella legna che brucia è solo un’illusione: ciò che accade è un cambiamento apparente all’interno di un cerchio di esistenza in cui ogni stato è eterno. La cenere non è quindi il risultato finale della legna, piuttosto, è il successore della legna in un ciclo eterno. Questa metafora serve a illustrare il suo rifiuto dell’idea che le cose possano realmente “diventare” altro da ciò che sono, un tema centrale nella sua ontologia.
Nella metafora della “legna e la cenere” Emanuele Severino sostiene che la legna, quando brucia, non si annienta, piuttosto, le sue diverse forme -legna spenta, legna accesa, braci, cenere- rappresentano un susseguirsi di stati eterni. Ogni fase della legna è eterna e immutabile, e il passaggio da una forma all’altra non implica un reale “diventare” qualcosa di diverso. La frase “tutte le cose, nel nostro modo di pensare, sono legna che diventa cenere” evidenzia l’idea che, sebbene le cose appaiano in costante cambiamento, esse non perdono mai la loro essenza.
La metafora della “legna e la cenere” è cruciale per comprendere il pensiero di Severino: essa rappresenta una visione del mondo in cui ogni cosa è eterna e immutabile nella sua essenza. La trasformazione apparente non deve indurre a pensare a un annientamento, piuttosto, ogni fase dell’esistenza è parte di un continuum eterno. Questo approccio invita a riflettere sulla natura dell’essere e sul significato del cambiamento nella nostra esperienza quotidiana
Così scrive Severino ne “La strada”: Alle teorie resta dunque affidato il compito di stabilire a quale sorte va incontro ciò che esce dal cerchio delle cose che appaiono.
Questo risultato è decisivo. Nei miei scritti si mostra che la follia essenziale si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente. Il mortale è appunto questa volontà che le cose siano un oscillare tra l’essere e il niente.
Al di fuori della follia essenziale, di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte sono eterne. Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto a esse.
Se questo discorso viene equivocato oltre un certo limite, si può allora pensare che il vero folle è chi questo discorso propone, giacché esso sembra smentito nel modo più perentorio dal divenire del mondo.
Ebbene, proprio questo si è qui incominciato a chiarire: che se il divenire del mondo è inteso come l’annientamento delle cose, allora il divenire non appare: l’apparire del mondo (l’“esperienza”) non smentisce il discorso affermante l’eternità del tutto; e dunque se in questa affermazione si volesse per forza trovare la follia, essa andrebbe cercata altrove che nella presunta contraddizione tra questa affermazione e ciò che resta attestato dall’apparire del mondo.
Intanto, se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.
Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che la disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che, “nella valle ove fresca era la fonte / ed il giovane verde dei cespugli / giocava al fianco delle calme rocce / e l’etere tra i rami traluceva / e quando intorno i fiori traboccavano” (Hölderlin), hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco. Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente.
Appunto per questo essi – tutti – possono ritornare.
Severino critica la concezione tradizionale del tempo come un flusso continuo in cui gli eventi si susseguono. Secondo lui, questa visione è un’illusione che porta a considerare l’essere come qualcosa di transitorio e destinato a svanire nel nulla. Il pensiero di Severino si concentra su una visione filosofica radicale che sfida le convenzioni tradizionali riguardo all’essere, al cambiamento e alla condizione umana, proponendo una riflessione profonda sull’eternità e sull’illusorietà del divenire.
Egli afferma che ogni essente è eterno e che il vero pensiero deve riconoscere l’opposizione tra essere e niente, piuttosto che tra essere e non essere. Severino considera che l’essente si colloca “al di fuori dell’illusione del tempo”, suggerendo che la filosofia futura deve esplorare un “senso del tempo” radicalmente diverso da quello tradizionale.
L’eternità diventa allora la condizione fondamentale dell’essere, dove ogni attimo è eterno e non semplicemente un momento transitorio. In questo contesto, il “tempo che resta” diventa un invito a riconoscere la nostra eternità intrinseca e a vivere in modo autentico.
Il pensiero di Severino è caratterizzato da una profonda riflessione sul concetto di essere. Severino pone al centro del suo pensiero la questione dell’essere, sostenendo che ogni ente è eterno e immutabile. Questa tesi è espressa in opere come La struttura originaria e Ritornare a Parmenide, dove afferma che l’essere non può mai diventare nulla, e quindi ogni essente esiste eternamente, indipendentemente dalla sua apparizione o scomparsa.
Severino critica la tradizione filosofica occidentale per aver abbandonato l’essere parmenideo a favore del divenire, generando così una crisi esistenziale e una nostalgia per l’essere. Contrariamente alla concezione tradizionale del divenire come elemento fondamentale della realtà, Severino sostiene che il cambiamento è illusorio. Ogni ente, anche se appare in forme diverse nel tempo, rimane eternamente ciò che è. Questa idea si riflette nella sua metafora del “cerchio dell’apparire”, dove gli enti entrano ed escono dalla vista ma non dalla loro esistenza.
In questo modo, Severino si distacca sia dalla tradizione occidentale sia da quella orientale nel suo approccio. La sua visione ricorda alcune idee del Buddhismo Zen, come quelle espresse da Eihei Dōgen, dove si sottolinea che la legna non ritorna mai a essere legna dopo essere diventata cenere, tuttavia, Severino va oltre, affermando che nulla realmente “scompare” o “diventa nulla” nel senso tradizionale.
La tecnica e il nihilismo
In questo contesto, la tecnica rappresenta una risposta alla paura del nulla e all’angoscia del divenire, ma anche una forma di alienazione. Esplorando gli effetti della tecnica nella società contemporanea, Severino critica il modo in cui il pensiero moderno affronta la questione dell’essere. La sua critica si estende a diverse correnti di pensiero che, secondo lui, hanno contribuito a questa visione decadente della realtà.
Severino critica sia il capitalismo che il comunismo, vedendoli come espressioni di una “vita inautentica” dominata dalla tecnica. Egli avverte dei pericoli insiti in una società che perde di vista il significato profondo dell’essere a favore di un’esistenza superficiale e tecnocratica.
Severino considera la tecnica come espressione della volontà di potenza, non solo come un insieme di strumenti, ma come un’espressione della volontà umana di dominare e trasformare la realtà. La tecnica diventa il principale mezzo attraverso cui l’umanità cerca di affermare il proprio potere sul mondo, ma al contempo rappresenta una perdita di controllo, poiché l’uomo finisce per diventare schiavo della propria creazione.
Severino sostiene che la tecnica ha assunto un ruolo così predominante da diventare il vero destino dell’umanità. Essa non è più semplicemente un mezzo per raggiungere fini, ma è diventata un fine in sé, trasformando radicalmente l’essenza dell’agire umano. Questo cambiamento implica che l’umanità non riesca a concepire un’esistenza al di fuori della dimensione tecnica.
Secondo Severino, il dominio della tecnica è intrinsecamente legato al nichilismo, che egli definisce come la grande contraddizione che muove l’Occidente. Questo nichilismo si manifesta nella convinzione che gli enti oscillino tra l’essere e il non essere, portando a una visione del mondo in cui la tecnica diventa l’unico principio di riferimento per l’agire umano. La tecnica, quindi, è vista come il culmine della fede nel divenire, un’idea che Severino critica profondamente.
Severino sostiene che la storia della filosofia occidentale è segnata dal nichilismo, poiché molte correnti filosofiche tendono a ridurre l’essere al nulla. Egli analizza il nichilismo come una delle principali problematiche della filosofia occidentale, ritenendo che molte tradizioni filosofiche abbiano erroneamente accettato l’idea che l’essere possa divenire nulla.
Severino avverte che la tecnica avanza senza incontrare limiti invalicabili, liberata dalla filosofia contemporanea che le consente di procedere all’infinito. Questo aspetto solleva interrogativi etici e filosofici riguardo al futuro dell’umanità e alla direzione in cui ci sta portando il dominio della tecnica.
In sintesi, per Severino, il dominio della tecnica è una manifestazione complessa della condizione umana contemporanea, caratterizzata da una tensione tra desiderio di controllo e perdita di libertà, con profonde implicazioni filosofiche e sociali.
Concentrato su una visione filosofica radicale che sfida le convenzioni tradizionali riguardo all’essere, al cambia-mento e alla condizione umana, Severino propone una riflessione profonda sull’eternità e sull’illusorietà del divenire. La sua filosofia invita a superare la percezione di caducità per riconoscere l’eternità intrinseca in ogni ente.
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Bibliografia ragionata
Le opere di Emanuele Severino affrontano diversi temi centrali della filosofia, con un focus particolare sull’essere, il nichilismo e la condizione umana. Le opere principali di Emanuele Severino includono titoli come Essenza del nichilismo (1972), La struttura originaria (1958) e Il destino della tecnica (2009), che riflettono la sua visione critica della tradizione metafisica.
Ecco alcune delle sue principali opere:
–La struttura originaria (1958): Un testo fondamentale che esplora il concetto di essere e la sua relazione con il pensiero.
–Essenza del nichilismo (1972): In questo libro, Severino analizza il nichilismo e la sua influenza sulla cultura occidentale.
–Il destino della tecnica (1988): Un’opera che discute le implicazioni filosofiche e sociali della tecnica nella vita contemporanea.
–Il nulla e la poesia (1990): Un saggio che riflette sul tema del nulla in relazione all’arte poetica.
–La filosofia dai Greci al nostro tempo (diverse edizioni): Un’opera che esamina l’evoluzione del pensiero filosofico dall’antichità fino ai giorni nostri.
–Fondamento della contraddizione (2004): Un’analisi approfondita del principio di non contraddizione nella filosofia.
-Antologia filosofica. Dai greci al nostro tempo (2006): Una raccolta delle opere più significative dei filosofi occidentali.
–La gloria (2001): Un’opera che esplora il concetto di gloria attraverso una lente filosofica.