Il grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, nel teorizzare il concetto di ” società liquida “, fa riferimento ai rapporti ormai rarefatti che caratterizzano l’uomo nel macro e nel micro cosmo da lui occupati nel corso della sua esistenza. C’è un sostanziale sentimento di timore, di paura, che nasce fondamentalmente dall’incertezza e dalla incompleta conoscenza dell’altro da sé, percepito come diverso piuttosto che differente, depauperante piuttosto che fonte di arricchimento culturale. Chi meglio di lui, emigrato alla fine degli anni trenta dal suo paese, la Polonia, nella vicina Russia, può in prima persona offrire una testimonianza dei fenomeni migratori contemporanei a cui si ricollegano il disorientamento delle civiltà occidentali ed i quotidiani episodi di terrorismo di matrice islamica e non. Bauman, ospite lo scorso anno a Bari in occasione della presentazione del suo libro sulle disuguaglianze sociali e successivamente a Taranto per una lectio magistralis sui giovani e i new media, è uno studioso da sempre attento alle tematiche interculturali. Egli riconosce nel l’isolamento e nella marginalità, due delle cause che favoriscono la formazione di un humus fertile su cui attecchisce l’integralismo alla base del terrorismo islamico. Ne consegue che, proprio come avviene in un processo di interculturalità, l’impegno dovrebbe essere reciproco: al paese ospitante il compito di avviare politiche inclusive di integrazione, ai ” musulmani non integralisti ” – per riprendere la definizione di Massimo Gramellini – l’impegno di riconoscere ed estirpare il ” cancro ” al proprio interno, denunciando e collaborando con i sistemi di sicurezza messi in atto dal paese ospitante.