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IL DIRITTO ALLA FELICITA’ COME VALORE

La sapienza antica era consapevole che l’esistenza umana equivalesse all’altalenarsi della gioia e del dolore. In tempi lontanissimi, era vietato il pensiero e l’uso della parola felicità; oggi, invece, la continua ricerca di questo diritto ci rende infelici. L’uomo moderno ambisce ossessivamente al bene – anzi, al meglio – ed ha cucito su di sé la veste scomoda dell’infelicità, con un colletto stretto, il cui modello è ormai esportato nell’intero universo mondiale.

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Nel periodo del suo mandato di presidente d’America, Bush ha scritto una sorta di Vangelo della globalizzazione, che incita e promette una battaglia sulle idee e sui valori laddove si accettano altre culture nella misura in cui si avrà la capacità di omologarsi alle diversità mondiali del mondo occidentale. Il fatto è che noi occidentali tendiamo a colonizzare il Pianeta e crediamo che il nostro modello sia il migliore. Non esiste oggi un pensiero, una filosofia e non ci sarà domani alcuna guerra capace di migliorarci perché, grazie alla speranza di una equalizzazione del Pianeta, si opera verso il bene realizzando il male, entrambe facce di una stessa medaglia.

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Il vero potere di ogni uomo per raggiungere la felicità sta nel saper guardare verso il domani oltre gli interessi del prepotente di turno, oltre i confini della narrazione della storia di ogni tempo, per focalizzarsi su un futuro roseo. Per conseguire il diritto alla felicità, è necessario perseguire la pedagogia della condivisione e usare il potere solo per promettere un mondo di armonia e di riconciliazione. Necessario è conservare la memoria storica, senza la quale non sarebbe possibile affacciarsi al presente, e infine opporsi all’esasperato protagonismo degli uomini che fanno della nostra dimensione un giardino sempreverde, ma quotidianamente innaffiato da un’abbondante pioggia di lacrime amare.

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Data:

17 Febbraio 2018