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IL DISCERNIMENTO SPIRITUALE – Seconda parte

Nell’articolo precedente ci siamo posti la domanda: “Cosa significa vivere secondo lo Spirito”?.

Ci siamo soffermati sul concetto di discernimento spirituale, scoprendo che non si tratta di una tecnica che si impara sui libri ma di un processo di formazione del giudizio che richiede tempo e lavoro costante.

Oggi proseguiamo il nostro percorso, illustrando le tappe di tale discernimento.

Nella visione cristiana, il criterio supremo del discernimento è il ricorso alla Chiesa e il riferimento alla comunione ecclesiale, intese – e lo preciso subito – non come gerarchia o magistero dottrinale. Ce ne dà uno spaccato il capitolo 15 degli Atti degli Apostoli dove si evince che tutta la comunità (Apostoli, Anziani e credenti) sono parte attiva del discernimento.

La Chiesa, così intesa, non si riduce al Vaticano, a Roma, ma assume i mille volti delle comunità sparse in tutto il mondo. Del resto la parola Chiesa – dal greco ECCLESIA – significa proprio convocazione,  designando le assemblee del popolo.

Approfondiamo ulteriormente alcune condizioni previe del discernimento comunitario. 

Prima fra tutte il DIALOGO. 

Con dialogo non si intende qui il dibattito, dove ognuno porta le proprie idee cercando di farle prevalere su quelle degli altri; tale atteggiamento potrebbe degenerare in scontro. Non si intende nemmeno un incontro a livello di informazione, perché si rimarrebbe alla superficie della questione, apportando solo elementi vuoti, inutili alla crescita spirituale.

Ciò che si intende qui è l’ascolto, tanto delle orecchio che del cuore, ovvero la capacità di percepire nell’altro un frammento della Volontà di Dio che si manifesta. 

Un’altra condizione importante è che la comunità deve avere una VEDUTA COMUNE della vocazione. È chiaro che se non si parte da questo presupposto non si arriverà mai ad un discernimento comune del progetto. Inoltre, è necessario che vi sia un accordo sulla volontà di cercare insieme: il singolo non deve prevalere sull’insieme né, al contrario, deve delegare alla comunità. Ognuno è parte attiva del processo e, senza il contributo di tutti, la decisione finale rimarrà squilibrata. Tale atteggiamento si chiama corresponsabilità. 

Infine è necessario essere veri, autentici, disposti anche ad essere criticati e contestati. La critica è mal vista perché non se ne conosce il vero significato. Dal greco κρίvω, “distinguo”, essa è un’attività di analisi e valutazione di una data situazione nel dato contesto. Niente di più. Dobbiamo imparare a conoscere il significato autentico delle parole se vogliamo progredire come esseri umani. La critica – quando non volge a denigrazione – è utile e fruttuosa, perché permette di scavare a fondo e di arrivare al miglior risultato possibile. Senza dramma. Diversamente, si rimarrà chiusi nella propria piccola idea, ma non vi sarà vero discernimento spirituale.

Tutto ciò premesso, è necessario mantenere, in ogni fase del discernimento, un atteggiamento umile e caritatevole. Nessuno è il solo a possedere lo Spirito Santo. Affermazione ovvia, ma quante volte ci scontriamo col prossimo pretendendo di avere ragione? Eppure l’insegnamento del Maestro è chiaro: “Là dove due o tre sono riuniti nel mio nome, ci sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20)

Ciò ci porta ad un altro punto essenziale: la DIFFERENZA.

Siamo tutti diversi, lo sappiamo, ma ci viene difficile accettarlo perché siamo convinti che la nostra visione sia migliore delle altre. Mi piace citare un testo della poetessa francese Marie-Noël, che recita: “Se un santo avesse creato il mondo, avrebbe creato la colomba, ma non il serpente; tutti i fiori sarebbero stati candidi, e poi non ci avrebbe creati uomini e donne, perché questo avrebbe suscitato troppi problemi.”  E aggiunge: “Fortunatamente il Creatore non era un santo!”

Cosa ha voluto dire? Che dobbiamo imparare dal nostro Creatore a far coesistere e ad amare le nostre differenze. Non è perché siamo diversi che non possiamo vivere nello Spirito di Cristo. Al contrario, la differenza è arricchimento, così come la santità è capacità di accogliere e di abbracciare la colomba e il serpente.

E se, per questo motivo, insorgono delle tensioni, bisogna perseverare ed entrare in un processo di PURIFICAZIONE. È necessario ed è normale. Il fatto di avere un progetto comune, non implica necessariamente che si sia subito tutti d’accordo.

Il conflitto fa parte del processo, e come tale deve essere accolto. Questo vale tanto in ambito comunitario che personale. La tendenza attuale a voler spegnere il conflitto interiore, porta inevitabilmente alla schizofrenia, perché questa forza dirompente deve essere riconosciuta ed espressa. Ed anche qui, sottolineiamo il significato etimologico del termine conflitto.

Dal latino conflictus -us, esso significa da un lato “urtare, contrastare, combattere”, ma dall’altro “incontrare, mettere a confronto”. Ecco, questo è il vero senso del conflitto: comprendere cosa sta cozzando dentro di noi e parlarne affinché il processo si chiarisca.

È importante accettare il malessere e il disagio che questo confronto produce perché fa parte del processo di maturazione e di crescita. Anche nel Nuovo Testamento, a più riprese, è sottolineata la necessità che avvengano tali scontri affinché si manifesti il bene supremo. E ciò che si scoprirà poi sarà più bello, più vero e più grande di ciò che si era lasciato per entrare in questa speranza.

A seguire

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Data:

16 Marzo 2025