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IL FUTURO DELL’ECUADOR

Il 2 aprile i cittadini dell’Ecuador si recheranno ai seggi per scegliere il loro presidente. Dopo le elezioni del 19 febbraio, dove il movimento di sinistra Alianza Paìs ha ottenuto più della metà dei seggi in Parlamento, vedendo approvare il referendum sui Paradisi fiscali, non è arrivato ad ottenere la vittoria al primo turno alle presidenziali per appena l’1%.Lenin Moreno, che non è quindi arrivato al 40%, sfiderà al ballottaggio il suo avversario della destra Gulliermo Lasso.Durante gli ultimi quarantacinque giorni tutti i cittadini si sono attivati in una campagna elettorale molto intensa, sia all’interno che all’esterno del paese. Tante le iniziative dei migranti ecuadoregni a Milano, soprattutto in favore di Alianza País. Diverse le manifestazioni che, sotto lo slogan “Retorno atrás nunca más”, hanno visto la proiezione di pellicole anni ’90, epoca in cui il paese ha vissuto, in una successione sfrenata di presidenti, la bancarotta che ha costretto intere famiglie ad emigrare per sopravvivere. Quegli anni difficili ce li hanno raccontati alcune donne immigrate nelle serate di conversazione “Tra donne migranti”.

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Un’iniziativa culturale importante, nel corso della quale mi è capitato di moderare un incontro. Anche se sono albanese e loro ecuadoregne, ci accomuna il dolore della separazione dalla nostra famiglia, i tanti perché che non ci facevano dormire, la rabbia e il sentimento dell’abbandono che provavamo da parte di chi, sopra di noi, non ha fatto nulla per aiutarci a rimanere a casa. Mi rivedo nei loro ricordi e nelle esperienze migratorie che le hanno portate fino a Milano. Chi meglio di una donna sa esprimere le emozioni, il dolore, il suo vissuto?
Sono immigrate in Italia tra il ’98 e inizi del 2000 perché hanno perso il posto di lavoro, i loro risparmi, la loro casa. In un attimo tutto è cambiato. I sogni, le certezze, la famiglia, tutto in frantumi. In quegli anni dal paese sono uscite 600.000 persone, per cercare fortuna negli Stati Uniti e in Europa, Spagna soprattutto. Oggi in Italia se ne contano circa 87.472, di cui la maggior parte donne.

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“Non dimenticherò mai – aveva detto il Presidente Raffael Correa, in uno dei suoi tanti incontri con i migranti a Milano – il dolore e la delusione che vedevo negli occhi dei miei connazionali arrivati per la prima volta in Belgio, cercavamo in tutti i modi noi ecuadoregni di ospitare nelle nostre case da studenti i nostri connazionali, di dare una mano anche con le poche possibilità che si avevano”.
Rafael Correa giurò in quel momento che se un giorno fosse diventato qualcuno, quel qualcuno sarebbe stato al totale servizio della sua gente. Il Chicago boy diventò qualcuno e creò il più grande movimento cittadino mai visto nella storia del Paese e con la sua Rivolución Ciudadana divenne esempio per tutta la politica mondiale. Ha riformato il sistema scolastico dove tutti i bambini anche quelli delle famiglie povere hanno diritto gratuito all’istruzione, ha riformato la sanità, ridotto il debito pubblico che vedeva l’Ecuador ai primi posti nella lista del Fondo Monetario, portato ai minimi la disoccupazione e, la cosa più importante, ha lanciato le basi di un movimento solido e onesto dove tutti hanno diritto ad essere rappresentati, potendo dire la loro, dove si cerca insieme di trovare le soluzioni e dove l’unico obiettivo e il Buen Vivir dei suoi cittadini, che fa invidia a molti. Ricordo in Correa la storia del nostro eroe nazionale Gjergj Kastriot Skenderbe, strappato da piccolo alla sua famiglia. Addestrato in Turchia dove era diventato il più bravo condottiero dell’esercito, fu rimandato in Albania a combattere il nemico. Allora richiamò tutti i suoi amici, dicendo loro: “Voi e io siamo tutti albanesi. Chi dobbiamo combattere oggi i nostri fratelli albanesi o i turchi che ci vogliono invadere?”

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Questa è anche la storia di Raffael Correa, il Chicago Boy che ha deciso di mettersi a servizio del suo popolo. L’Ecuador domenica voterà e dovrà decidere se confermare Correa.La strada sembra tracciata.

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1 Aprile 2017