Informazione di massa o massa di informazioni? La cattiva informazione rischia di scacciare la buona informazione? La rete nel suo trionfale accaparramento delle simpatie globali, ha invischiato l’intera popolazione mondiale in un inestricabile bandolo all’interno del quale le informazioni hanno perso la loro aura di autorevolezza e status privilegiato datole da un supporto, la carta stampata, che avvolgeva dati, cose, immagini e persone in un insieme coerente chiamato notizia grazie alla firma dei professionisti della stessa informazione giornalistica.
I punti interrogativi e i tanti dubbi sollevati dopo i recenti scandali legati in particolar modo nella gestione dei nostri dati personali sui social network, e dunque di quell’enorme capitale di informazioni che nasce all’interno delle nostre vite, fanno emergere la necessità di chiedersi se non sia opportuno tornare ai grandi classici dell’informazione, ovvero i giornali.
Internet offre una massa di informazioni in gran parte gratuite, per un pubblico indistinto e nella gran parte dei casi superficiale, poco attento alla realtà effettiva della cosa pubblica, interessato alla velocità e alla logica del mordi e fuggi. Esiste certo un altro pubblico, sempre in rete, che è invece disposto a sborsare del denaro per leggere articoli e pubblicazioni, un pubblico cioè attento desideroso di avere qualità attraverso l’approfondimento di notizie selezionate e spesso ben scritte in quanto autorevoli.
La ricerca della qualità dell’informazione deve fuggire la falsa pretesa di considerare la rete una minaccia, ma al contrario deve rivolgersi a (ri)costruire attraverso un’informazione (ancora una volta) di qualità, quell’esempio virtuoso ereditato e ancora presente della stampa e delle sue peculiarità di mezzo e di messaggio. Per giungere a un aumento e a una condivisa ricerca della qualità informativa, bisogna insomma cominciare a setacciare il percorso, correggendo le cause che hanno creato un intoppo in questa direzione, come per esempio le fake news e l’instant articles proposti da Facebook e da cui gli editori pensavano di trarre qualche beneficio ma sui quali si potrebbe sollevare il dubbio sulla loro reale consistenza di un’informazione sì gratuita ma non accurata.
Il discorso è rivolto in questo senso ai giovani lettori, la generazione z facente parte di un pubblico sempre più disaffezionato alla lettura, e anche a coloro che si avvicinano per la prima volta all’informazione, la generazione nata nel nuovo millennio, affinché smettano di fare affidamento al solo onnipresente e invasivo mainstream videocratico; sono principalmente loro che devono sapere che non è possibile misurare la qualità giornalistica in termini quantitativi, assumendo la logica perversa e tipicamente di rete del click baiting, ma è possibile farlo solo con un approccio di tipo qualitativo. Solo con quest’approccio si può comprendere sia l’esigenza di capire il perché delle cose, delle notizie, sia la necessità di spiegare i fatti e non di riportarli meramente su carta ripetendo all’infinito ciò che la rete, per sua natura, ha già diffuso. Recuperare la preziosa e indispensabile funzione di filtro qualitativo di epoca analogica oggi in età digitale appare doveroso e possibile solo se si affronta l’entusiasmo acritico e generalizzato per i fatti partoriti in rete arricchendolo di un pensiero che non viva sulla rendita di posizioni dominanti, ma risieda sull’esperienza, sulla credibilità e sullo spirito di servizio.