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IL MISTERO CANEPA

Antonio Canepa nacque a Palermo il 25 ottobre 1908 e, ufficialmente, morì a Randazzo il 17 giugno 1945. Leader del movimento per l’indipendenza della Sicilia (MIS), pare essere stato ucciso a Murazzu Ruttu, nei pressi, appunto, della cittadina ai piedi dell’Etna, nel corso di un conflitto a fuoco con i Carabinieri del Regno d’Italia. Sul luogo, è eretto un monumento alla memoria.

Come scrisse “La Repubblica” dell’11 gennaio 2009, Canepa, sul finire degli anni Trenta, progettò nientemeno che un attentato contro Mussolini. Il piano prevedeva di raggiungere il Duce nel suo studio di Palazzo Venezia attraverso un passaggio sotterraneo. Non riuscì nell’intento, visto che Mussolini trovò altra fine in altro luogo, nel 1945, ed ebbe modo di trascinare l’Italia in una guerra al fianco di Hitler.

L’antifascismo di Canepa sembra essere divenuto collaborazione con l’intelligence britannica. Successivamente, nell’idea che – fascista o meno – lo Stato italiano costituisse sempre un’oppressione per la Trinacria, il suo pensiero sfociò nel più radicale autonomismo.

Fu un indipendentista sfortunato, visto che ci rimise la vita senza vedere sventolare la bandiera con la trinacria e le strisce orizzontali giallorosse.

15 settembre 1996. Nella città di Venezia, decenni dopo e in un contesto completamente diverso, Umberto Bossi, leader della Lega Nord, di fronte a migliaia di persone, proclamava la secessione delle terre denominate Padania. Non c’erano armi, quelle che invece pullulavano nelle tragiche epoche della Sicilia di Canepa.

Bossi non ha ottenuto la secessione, ci mancherebbe! Ma, tutto sommato, gli è andata meglio. Reputato grande leader, è ancora oggi un mito per i leghisti. Con delle aggiunte interessantissime: è stato più volte Ministro e parlamentare della Repubblica Italiana, quella “una e indivisibile”.

Due storie diverse, due contesti diversi, due economie diverse, due territori diversi, due popoli diversi. Due persone diverse.

cms_21257/2.jpgLa Padania è scomparsa, nelle rivendicazioni politiche. L’antico indipendentismo siciliano, sussistente da secoli, è latente, ancorché la dimensione euro-unitaria dovrebbe prevalere. Non si può dimenticare che l’Europa è scaturita dai primi colloqui internazionali di Messina, nel 1955. Insomma, una Sicilia che si vorrebbe isolare ma rivolge lo sguardo oltre lo Stretto, persino oltre i mari e le Alpi. La stessa Sicilia che ha accolto i Garibaldini nel 1860 e che, con suoi figli in camicia rossa, ha contribuito a creare l’Italia. Addirittura, gli storici narrano come sia stato proprio il siciliano Francesco Crispi, riconosciuto cervello politico della spedizione, a convincere il titubante Garibaldi a cominciare l’azione dalla Sicilia, con sbarco a Marsala.

Da notare che Crispi era comunque su posizioni federaliste e si oppose al plebiscito per l’annessione, poi avvenuto il 21 ottobre del 1860.

Canepa visse nel periodo monarchico, nel ventennio fascista. La prima guerra mondiale lo vide bambino di buona famiglia; la seconda, lo trovò professore universitario, ideologo e guerrigliero in lotta per l’indipendenza della Sicilia. Si mosse in un periodo storico in cui la Sicilia non era ben vista dal Continente. Nel 1945, Sebastiano Aglianò, letterato e docente siracusano che trascorse gran parte della sua esistenza in Toscana, in un suo saggio così descriveva il rapporto tra la Sicilia e il “Continente” (saggio ristampato da Sellerio, nel 1996, col titolo “Che cos’è questa Sicilia?”): “… La Sicilia ha ottenuto l’autonomia, ha ottenuto l’assegnazione di cospicue somme per lavori pubblici o altro; ma non ha ottenuto ciò che l’era più necessario o urgente; la comprensione effettiva degli altri italiani, e nei suoi stessi figli, le condizioni morali e sociali indispensabili per un nuovo avviamento storico… Nell’Italia del nord, la più progredita, come si dice, la più evoluta, ogni avvenimento che abbia luogo nel meridione e in Sicilia non viene considerato nella sua giusta luce, e ogni sforzo che venga dal sud non è neppure compreso e tanto meno incoraggiato. Resiste anzi, e non accenna a scomparire, la nota e stupidissima polemica antimeridionale, che urta contro la suscettibilità ritrosa specialmente dei siciliani, e non è l’ultima delle ragioni che impediscono ad essi di collocare le proprie aspirazioni entro i più vasti orizzonti dati dalla vita nazionale: che impediscono cioè un effettivo miglioramento”.

Essere un’isola, d’altronde, spinge al reputarsi disgiunti e distanti dagli altri. Tra vittimismi e superbie. “Iddio le stese d’ogni intorno i mari per separarla da tutt’altra terra e difenderla dai suoi nemici”, scrisse Michele Amari nel suo “Catechismo Siciliano”, quando ancora la Trinacria era parte del borbonico Regno delle Due Sicilie.

Questo spiega, almeno in parte, il successo che ebbe il movimento indipendentista in Sicilia. L’ avventura separatista finì male, anche a causa dell’uccisione di Canepa, ma, probabilmente, pure a lui va ricondotta la concessione dell’Autonomia Speciale alla Sicilia, nel quadro dell’Unità Nazionale.

Cosa abbia saputo fare la Sicilia dell’essere una regione a statuto speciale, è altra questione. Tema dolentissimo.

cms_21257/3.jpgFiglio di Pietro, avvocato e professore universitario, e di Teresa, sorella dell’onorevole Antonino Pecoraro, deputato del Partito Popolare: di certo, nessuno avrebbe immaginato, per Antonio Canepa, nato in una agiata famiglia borghese, una vita da rivoluzionario.

Laureatosi nel 1930 in giurisprudenza, di lì a pochi anni, nel 1933, progettò un colpo di mano – fallito – nella San Marino solidale con il fascismo e, al colmo del vissuto antifascismo, ideò il suddetto attentato nei confronti del dittatore. Scoperto, evitò il carcere ma non il manicomio, uscendone con un incarico di docente universitario quasi in tasca. Lette così, sono dinamiche sorprendenti. Occorrerebbe scandagliare, approfondire, comprendere. Sta di fatto che, da docente, scrisse tra le righe contro il fascismo e, nell’imminenza delle vicende belliche e dell’operazione Husky del 1943, realizzò contatti con l’intelligence britannica, creando nuclei di supporto pro Alleati capaci di incidere sul sistema difensivo italo-tedesco. Da tale esperienza e dal “Gruppo Etna” da lui guidato – nonché dal successivo periodo passato in Toscana nel pieno dell’azione partigiana, sconosciuta nell’isola – trasse linfa e rafforzamento il presupposto indipendentista che, a varie tappe, giungerà alla realtà del Movimento Indipendentista Siciliana, MIS, e al braccio armato, l’EVIS – Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia –, quando intanto per la Trinacria, con la presa di Messina del 17 agosto 1943, la Seconda Guerra Mondiale era reputabile territorialmente terminata. L’indipendentismo, da leggersi nel senso dell’autonomia assoluta da Roma, era stato da Canepa condensato in un manifesto, firmato con lo pseudonimo Mario Turri. Parole di fuoco, stravolgimento di antichi e consolidati assetti, autentico terrore per le classi dominanti, imbarazzo per chi, all’interno di istanze autonomiste, agiva a braccetto con i poteri forti consueti. “La Sicilia ai Siciliani!”, più che un proclama, fu un colpo di frusta. Presumibilmente, non pochi ritennero che occorreva strappargliela di mano, più che schivarne i colpi.

Personaggio controverso, è rammentato in Sicilia ma senza tanti clamori. È sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, accanto a Giovanni Verga e Angelo Musco. Ciò, se consideriamo anche le strade e i saggi dedicatigli, fa comprendere come non si possa sbrigativamente etichettarlo come un “volgare bandito o terrorista”.

Antonio Canepa, al di là delle ideologie di riferimento e del mutato contesto storico, è sicuramente una delle figure più significative della storia siciliana. Anzi, della storia italiana. “Uno nel quale si assemblarono le qualità e i difetti del siciliano è stato Antonio Canepa. Aveva un’intelligenza vulcanica. Uno sviscerato amore per la Sicilia lo portò a essere il capo dell’Evis. Voleva conquistare militarmente San Marino per lanciare un messaggio antifascista al mondo. Lo chiusero in manicomio e lui scrisse due trattati che gli valsero la cattedra di dottrina fascista a Catania, lui che era iscritto al Pci e non credeva affatto nel fascismo. C’era tutto, in quell’ uomo: lo agiti in uno shaker e vedi il siciliano”. Così Andrea Camilleri, nell’intervista pubblicata su “la Repubblica” il 21 febbraio 2010. Un giudizio lusinghiero che non tutti condividono. Sostenne, all’opposto, Leonardo Sciascia: “Mi aveva interessato la sua dimensione di sconfitto, che aveva in comune con altri miei personaggi. Studiandone più a fondo la vita e la presenza, il personaggio mi deluse” (intervista rilasciata a “Mondoperaio”, nel 1978).

cms_21257/4.jpgLa storia di Canepa è quella della Sicilia di quei convulsi, tragici e proteiformi anni. “Una storia ‘scomoda’ che presenta ancora tanti e tanti lati oscuri e che, probabilmente, non potrà mai essere raccontata nella sua interezza, là dove non c’è stata possibilità di rinvenire negli archivi pubblici documenti utili e di quelli che avrebbero potuto chiarire tanti eventi non c’è traccia, forse volutamente fatti scomparire”. A sostenerlo, è il giornalista siciliano Salvo Barbagallo – autore di più testi in argomento – nella nota a tre recentissimi volumi concernenti Canepa, per la Mare Nostrum Edizioni. Con lui, l’Istituto per la Cultura Siciliana del presidente Luigi Asero s’impegna nel fornire elementi.

È giusto che ognuno edifichi una propria opinione, su basi di conoscenza. Senza assoluzioni, senza mitizzazioni ma sempre rammentando i periodi storici e persino la violenza di quegli anni in cui, in tutto il mondo, la vita umana valeva pochissimo. Non può stupire che vi fossero bande e idee cruente, continuando – nel perseguire determinati obiettivi che oggi verrebbero qualificati irrazionali o discutibili – quell’attività di guerriglia sorta per contrastare il regime dittatoriale o sostenere l’azione bellica degli Alleati contro il nazi-fascismo.

Nel variegato panorama autonomista, Canepa si discostò dalla matrice patrizia, borghese e moderata di chi, senza esclusione di dinamiche gattopardesche, sperava in una Sicilia nelle mani di un “partito unico” che, in definitiva, enumerasse e beneficiasse i soliti reggitori dell’isola, poco propensi a pensare alle esigenze dei siciliani e non disdegnanti persino il vassallaggio nei confronti di “nordisti”. Lo scrittore catanese Alfio Caruso, nel suo “Quando la Sicilia fece guerra all’Italia” (ed. Longanesi), sottolinea che, con Canepa e il manifesto da lui concepito (“La Sicilia ai Siciliani!”), si ha “un’imprevista giravolta: nell’infuocato invito alla rivolta armata contro il governo centrale, la lotta per l’indipendentismo assume un’imprevista connotazione comunista”.

La scomodità di Canepa ha possibilmente molteplici radici. Non simpatico agli autonomisti “di tradizione” o in tanfo di mafia perché non in sintonia con loro, non simpatico a ricchi, nobili e moderati perché comunista, non simpatico ai comunisti perché giunse a creare un proprio movimento, non simpatico allo Stato italiano perché indipendentista, non simpatico agli ambienti clericali perché di estrema sinistra, non simpatico ai fascisti perché progettò azioni contro il regime e a danno dello stesso Mussolini, non simpatico agli antifascisti perché – per dinamiche non propriamente chiare – successivamente “graziato” dal dittatore, con tanto di cattedra universitaria di lì a non molto… . Uomo contro, in ogni caso.

Scrive sempre Alfio Caruso: “Anch’egli è però mal sopportato all’interno del movimento. Per chi d’abitudine si destreggia fra ambiziosi propositi e concreti interessi di bottega, un imprevedibile come Canepa sarebbe meglio perderlo che trafficarci. E per liberarsene può bastare una soffiata.”.

Una soffiata e un soffio. Un cenno, un gesto, un pollice verso, per consegnare al passato chi rischiava di essere troppo presente nel futuro.

Allorché in Sicilia faremo la Repubblica Sociale, i feudatari ci dovranno dare le loro terre, se non vorranno darci le loro teste”. Dopo avere infiammato – lui, docente – il proprio ateneo con discorsi impregnati di spirito rivoluzionario e autonomista, non caddero le teste della tradizionale classe dominante in Trinacria, semmai la sua.

cms_21257/5.jpgIl sogno indipendentista siciliano del Professore Canepa si dissolse, con la sua vita, quel 17 giugno 1945 fatto di poche certezze e tanti dubbi. Lungo la strada che giungeva a Randazzo, Canepa era con i suoi “compagni”, gli studenti Carmelo Rosano (22 anni), Giuseppe Amato detto Pippo (21) Antonio Velis (21), Armando Romano detto Nando (21) e Giuseppe Lo Giudice (18). Tutti a bordo di un fatiscente furgone Guzzi 500, targato EN 234. Imbattutisi – così si sostiene – in un posto di blocco dei Carabinieri, ne nacque un conflitto a fuoco che determinò l’uccisione del professore, di Rosano e di Lo Giudice.

Nando Romano si salvò per puro caso. Lo considerarono cadavere e lo portarono al cimitero. Il custode, però, si accorse che respirava e lo salvò, evitandogli di essere calato nella tomba. L’incredibile caso del “vivo dato per morto” fu narrato nel film del 1969 “Il sasso in bocca”, del regista Giuseppe Ferrara.

Sull’evento – così come su tutto l’indipendentismo di quel periodo – sussistono molti lati oscuri o, perlomeno, oggetto di perplessità, tanto da indurre Barbagallo a sostenere: “Oggi siamo convinti che Antonio Canepa non sia stato ucciso nel luogo o con le modalità che le Autorità e diversi testimoni hanno voluto far credere. Una convinzione che si è maturata nel tempo e, soprattutto, tornando ad analizzare i documenti che siamo riusciti a reperire perigliosamente, pur essendo ufficiali” (così nel volume “Sicilia o morte”, 2020, ed. Mare Nostrum).

cms_21257/6.jpgSono state disposte approfondite ricerche d’archivio, tramite il prefetto di Catania e gli uffici del Dipartimento della pubblica sicurezza, per far luce sull’episodio, avvenuto a Randazzo il 17 giugno 1945, nel corso del quale, in un conflitto a fuoco con i carabinieri, persero la vita il professor Antonio Canepa, esponente dell’Esercito volontario per l’indipendenza siciliana, e due militanti. Il lungo tempo trascorso, tuttavia, non ha consentito di rinvenire alcun documento utile a ricostruire la vicenda. Ulteriori ricerche sono state svolte anche presso i comandi dell’Arma dei carabinieri e gli uffici giudiziari competenti, ma non sono emersi atti sulla vicenda.”. A dirlo, nel contesto della risposta a interrogazione parlamentare, è un esponente del Governo nazionale, nell’aprile 1999.

I misteri restano tali, allorquando gli elementi documentali scarseggiano o non sono mai esistiti, il trascorrere del tempo infiacchisce i ricordi, coloro che rammentavano passano a miglior vita, le articolazioni istituzionali non vedono perché mai interessarsi più di tanto di una vicenda ritenuta più morta e sepolta del suo principale esponente.

Per diradare le nubi, una volta ammessane la sussistenza, occorre impegnarsi sui fatti comprovati – nei limiti di quel che v’è – e analizzarli alla luce dei possibili interessati alla sua morte. Insomma, si dovrebbe andare oltre l’ordinarietà dell’uccisione di un fuorilegge da parte delle forze dell’ordine, nell’occasionalità di un posto di blocco. “A chi fa comodo l’uccisione di Canepa?”, si chiede Alfio Caruso (ancora in “Quando la Sicilia fece guerra all’Italia”). E aggiunge: “Canepa è l’unico suscitatore di passioni, il solo in grado di attrarre i ragazzi. Il suo esercito di studenti può risultare indigesto al vertice indipendentista e può costituire un problema per il governo. Con lui al cimitero tutti dormono sonni più tranquilli”.

Data:

13 Marzo 2021