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IL MISTERO DELLE BUSTE ESPLOSIVE A ROMA

Cifra tonda per il “caso delle buste esplosive”, com’è stata ribattezzata questa vicenda. L’ultimo arrivo, in ordine cronologico, aveva come destinataria una donna, raggiunta nella sua abitazione di Fara Sabina (in provincia di Rieti).

Già qui sorge una domanda: quale collegamento sussiste tra la professoressa di biochimica della Cattolica, l’impiegata in pensione della Tor Vergata, l’ex militante di Casa Pound condannato, l’avvocato di Erich Priebke, il parrucchiere di Fabbrica di Roma e il pasticcere di Castel Madama (Tivoli)? Nessuno, apparentemente. L’unica certezza che si ha al momento è che tutti i pacchi sono stati “confezionati” dalla stessa mano e riportano sempre lo stesso contenuto. Infatti, viene puntalmente rinvenuta una busta gialla di formato A4 con dentro una scatolina in legno. Quest’ultima contiene un innesco attivabile all’apertura.

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Obiezione, potrebbe gridare qualcuno. Chi può dire che la mano sia sempre la stessa? Facile provarlo: il meccanismo di chiusura di scatolina e busta è tutte le volte il medesimo, tanto che la polizia ha già potuto stilare l’identikit del malvivente. Per ora corrisponderebbe al nominativo Unabomber, ancora anonimo.

Si potrebbe portare all’attenzione, come suggeriscono il procuratore aggiunto Francesco Caporale e il PM Francesco Dell’Olio (coordinatori delle indagini), il fascicolo aperto per questi avvenimenti: esso contiene accuse di attentati con finalità terroristiche e lesioni personali.

C’è un dettaglio da non trascurare: la pista principale sarebbe quella di moventi anarchici e antimilitaristi, nonostante non ci siano rivendicazioni, è vero. Indizio: un filo sottile leghebbe l’impiegata di Tor Vergata con la docente della Cattolica. Traccia molto labile, ma è sempre meglio di niente, soprattutto nel buio in cui gioco-forza si brancola.

L’analisi delle buste, inoltre, ha rivelato che il dinamitardo misterioso è molto scrupoloso: ha avuto ogni volta cura di incollare due file di francobolli nello stesso modo. Quale? Due serie da tre sulla destra e poi le due etichette, con i nomi e gli indirizzi dei destinatari (quelli dei mittenti sono, ovviamente, falsi).

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L’anonimo colpevole ha studiato e ragionato nei minimi dettagli, molto probabilmente avvalendosi dei social network, le relazioni sociali delle sue vittime. Eppure sembrano scelte completamente a caso; unico dettaglio in comune consiste nel fatto che ciascuna vittima abbia apparentemente ricevuto il pacco da un ente a lei conosciuto (i “falsi mittenti” a cui si accennava poc’anzi).

L’intenzione del reale mandante era quella di ferire, non di uccidere, e questo già si era intuito. Ma se si dovesse considerare anche la cosiddetta “pista anarchica” (sentiero percorribile in virtù delle prime vittime, appartenenti all’ambito accademico e pubblico), nulla vieta di pensare che gli attacchi possano continuare.

Data:

18 Marzo 2020