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IL MISTERO DI GIOACHINO ROSSINI – Intervista al Dott. Giuseppe Piccinni – II^ Parte

  • Ma chi era veramente Rossini?

E’ difficile dire chi fosse veramente il “Cigno di Pesaro”, come affettuosamente lo chiamavano gli amici. Tante sono le battute. Tanti gli episodi e gli aneddoti giunti fino a noi, ma nulla di veramente chiaro sulla sua immagine autentica, sulla sua vera personalità. Chi fosse veramente Rossini non lo dicono nemmeno le sue numerose lettere, spesso piuttosto banali, o di gran circostanza, né le cronache esaltanti di scrittori-amici come Stendhal. Conosciamo, se mai, le mille maschere che indossava, i vari tratti personologici: il Pigro, il Gaudente, il Disimpegnato, Il Rubacuori, il Battutista, il Dandy, l’Uomo di mondo, il Conservatore, il Tiepido, il Gourmet… Rossini fu questo ed altro….

  • Dunque, personalità complessa e poliedrica con tratti, almeno in parte, disfunzionali…

Ma nessuna di tali caratterizzazioni ci potrà spiegare pienamente l’oppressione che gli veniva dalle cose del mondo e dal proprio genio, dalla propria intelligenza, dalla fatica creativa, dalla solitudine, della sua fragilità nervosa: “Oh, Dio come descrivere quel vuoto attorno a te stesso, quell’infinita solitudine, abissale senso di vuoto e di inutilità che ti dà la malattia nervosa?”

Rossini faceva battute piene d’ironia dalla cadenza mezza marchigiana e mezza romagnola: “Faremo un pranzo splendido, mangeremo un tacchino. Saremo solamente in due. Io e il tacchino”; discettava di mortadella e gorgonzola, partecipava agli scherzi di carnevale più esilaranti, come quella volta, a Roma, in cui, insieme a Paganini e Massimo D’Azeglio, si finse musicante cieco e mendicante e se ne andò girando per le vie di Roma strimpellando la chitarra e cantando delle canzonacce da lui stesso musicate.  Amava vestirsi in maniera elegante, anche eccessiva, un Lord Brummel delle Marche, frequentava i salotti delle Corti d’Europa, invitato da principi e monarchi, perfino da Metternich, l’uomo più potente del momento, che lo volle per celebrare il più sfarzoso dei congressi europei, a Verona.  Ma  tutto  ciò  non  fu  sufficiente:  “……. Anche volendo  non  potrei più  scrivere, sono martirizzato da tredici mesi di crisi nervosa che mi ha tolto sonno, palato, alterato l’udito e la vista e gettato in tale prostrazione di forze che non posso né vestirmi, né spogliarmi senza aiuto”.

Il musicologo francese Francois Fètis, che era andato a rendergli visita descrive la sua repulsione nei confronti del pianoforte che si trovava nella sala dove si erano intrattenuti. “Lo vidi scoppiare in un accesso di collera, come se la vista di quel pianoforte fosse insostenibile per lui , come se avesse chiuso per sempre e da tempo la porta della musica e ora quel maledetto strumento gliela richiamasse alla mente”.

•   Come trascorse gli ultimi anni della sua esistenza?

Le sofferenze psichiatriche si attenuarono   fin quasi a scomparire; fece ritorno il suo celebre senso dell’umorismo e riprese a comporre sia pur per se stesso ed i frequentatori della sua casa.

Passò il resto dei giorni a ricevere conoscenti, ammiratori ed amici nella sua villa di Passy vicino Parigini dove si era definitivamente stabilito, mangiando e bevendo, ciarlando, o, suonando e serate memorabili, cene luculliane, a base di micidiali menu. Fra gli altri, ci andarono Verdi, Liszt, Paganini Meyerbeer, Gounod, il pittore Delacroix. Gustavo Dorè, ecc. Aveva acquisito un’esperienza gastronomica invidiabile e nella vinificazione era addirittura un esperto.

I suoi menù prevedevano dieci portate e sei diversi vini. Specialità della casa: uova strapazzate e filetti rosolati al burro e conditi con tartufo e scaglie di formaggio e una fetta di fegato d’ oca spessa anche un centimetro. Il musicista, già con qualche chilo di troppo, continuava ad aumentare di peso, non solo perché mangiava troppo ma anche perché da buon golosone, si nutriva prevalentemente di ghiottonerie, dolciume e leccornie varie. Né poteva eccedere oltre il lecito dal momento che già intorno ai 40 anni era praticamente edentulo, handicap che gli rendeva le guance già floride, flaccide e cadenti E così veniva sollecitato dal pensiero di “certi soavi stracchini che mi sono più cari delle croci, placche e cordoni che mi vengono offerti dai Sovrani D’ Europa.

•   Ritornando al Mistero di Rossini possiamo aggiungere altro?

Teso ad affermarsi ed emergere, proporsi   per essere adulato ed applaudito: di personalità fragile ed insicura egli oscillò tra una eccessiva ostentazione di sicurezza e voglia di fare con una partecipazione sintonica con l’ambiente circostante, ad un ripiegamento su se stesso tratteggiato dall’ insicurezza e dalla melanconia fino a cadere nell’ abisso della disperazione… Detto questo io aggiungerei anche ragioni strettamente musicali. Egli  ha rappresentato,  l’ estrema  sintesi e  massima espressione  dell’ esperienza operistica settecentesca,  modulandola  e valorizzandola  come  nessun altro.

Portò strumenti fino ad allora considerati umili e comprimari (come l’oboe ed il corno) all’ esibizione solistica ed all’ esaltazione del protagonismo orchestrale.

Dal punto di vista compositivo adottò tecniche audaci, lavorando molto sui contrasti strumentali ed espressivi fino al suo “crescendo rossiniano” che non è solo un abbellimento dinamico, ma anche  e soprattutto una tecnica strutturale   compositiva.

  • Con Rossini ormai siamo all’apice, ma inevitabilmente al tramonto, di un ciclo musicale e culturale

Il romanticismo è ormai alle porte e,  tra gli altri,   irrompe nel variegato panorama musicale, un giovane talento, Wagner,  che aprirà in maniera maestosa ed imponente  la musica al neoclassicismo: il pubblico chiede   utopie più forti, tragedie epiche, sentimenti forti ed apoteosici.

E’ certamente vero che, con il Guglielmo Tell,   Rossini dimostra di sapersi adeguare alle nuove  tendenze del gusto musicale e culturale …   ma non è la sua musica, rimane opera isolata ed atipica nel panorama del repertorio rossiniano… non fa altro… rimane legato all’ antico stile… pur finendo paradossalmente di anticipare concezioni romantiche e post-romantiche…

Donizetti più tardi dirà: “Rossini scrisse il primo e l’ultimo atto del Guglielmo Tell, Dio scrisse il secondo atto” ….

•    Per finire, ci aggiungi qualcosa circa la sua passione culinaria?

A tale proposito, le citazioni si sprecano ne riporto solo alcune “L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita e che svanisce come la schiuma d’una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto è un pazzo”: Sto cercando motivi musicali, ma non mi vengono in mente che pasticci, tartufi e cose simili” scrisse ad alcuni amici mentre era impegnato a redigere lo Stabat Mater. Ho pianto tre volte nella mia vita – confessò – quando mi fischiarono la prima opera, quando sentii suonare Paganini  e quando mi cadde in acqua, durante una gita in barca,  un tacchino farcito ai tartufi”.

  • Qual erano i suoi piatti preferiti?

Dal filetto alla passione per tacchino e cannelloni, fino all’amore sconfinato per il tartufo (probabilmente importato dalla marchigiana Acqualonga): amava inserire il tuber praticamente in ogni sua preparazione. Ma anche foie gras, carni, zamponi e rognoni tra gli amori gastronomici e nella sua cucina non mancava di certo il burro, usato spesso (da buona tradizione francese) al posto dell’olio di oliva. Ha ideato ricette, valorizzato abbinamenti cibo/vino, creato varianti alle preparazioni tradizionali (le cosiddette “alla Rossini”) costantemente alla ricerca di piatti sempre nuovi, in grado di soddisfare e sorprendere il suo esigente palato. Finendo col regalarci un lascito non solo musicale ma anche gourmand. In maniera sistematica, si faceva portare dall’Italia specialità locali (mortadelle, formaggi, salami, pandori) e non resisteva a lanciare più di qualche frecciatina alla cucina francese. “Gli amici gallici preferiscono la ricotta al formaggio, che equivale al preferire la romanza al pezzo concertato. Ah tempi! Ah miserie!”, racconta in una lettera indirizzata ad alcuni amici.

• Delle sue ricette ce ne descrive una in particolare?

Ve ne sono diverse, ma se prendete carta e penna vi descrivo i Maccheroni alla Rossini, secondo la ricetta originale del compositore, scritta addì 26 dicembre 1866….

«Per essere sicuri di poter fare dei buoni maccheroni, occorre innanzi tutto avere dei tegami adeguati. I piatti di cui io mi servo vengono da Napoli e si vendono sotto il nome di terre del Vesuvio. La preparazione dei maccheroni si divide in quattro parti».

a) La cottura della pasta La cottura è una delle operazioni più importanti e occorre riservarle la più grande cura. Si comincia col versare la pasta in un brodo in piena ebollizione precedentemente preparato; il brodo deve essere stato passato a filtrato; si fa allora cuocere la pasta su un fuoco basso dopo avervi aggiunto alcuni centilitri di panna  e un pizzico di arancia  amara.  Quando i maccheroni hanno preso un colore trasparente per il grado di cottura, vengono tolti immediatamente dal fuoco e scolati sino a quando non contengano più acqua; li si tiene da parte prima di essere sistemati a strati.

b) La preparazione della salsa

Sempre in un tegame di terracotta,  ecco come va eseguita. Per 200 g di maccheroni si metteranno: 50 g di burro; 50 g di parmigiano grattugiato; 5 dl di brodo; 10 g di funghi secchi; 2 tartufi tritati; 100 g di prosciutto magro tritato; 1 pizzico di quattro spezie; 1 mazzetto di odori; 1 pomodoro; 1dl di panna;  2 bicchieri di champagne. Lasciar cuocere a fuoco basso per un’ora circa;  passare  al colino cinese e serbare a bagnomaria.

c) La preparazione a strati

È a questo punto che si rende necessario il tegame in terra  del Vesuvio. Dopo aver leggermente ingrassato con burro chiarificato e raffreddato il tegame, vi si versa uno strato di salsa, poi uno di maccheroni, che va ricoperto da uno strato di parmigiano e di gruviera grattugiati e di burro; poi un altro strato di maccheroni che si ricopre nello stesso modo; il tutto bagnato dalla salsa; poi all’ultimo strato si aggiunge un po’ di pangrattato e di burro e si mette il tegame da parte per la gratinatura.

d)La gratinatura

Il difficile è far dorare il piatto per il momento in cui dovrà essere mangiato.

Una ricetta certamente non semplice. Se qualcuno dei lettori si vuole cimentare!

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Data:

24 Novembre 2024

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