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IL MISTERO DI GIOACHINO ROSSINI -Intervista al Dott. Giuseppe Piccinni di Leonardo Bianchi – 1^Parte

(Prima parte)

In passato abbiamo già avuto modo di intervistare  Giuseppe Piccinni  che, ricordiamo,  oltre ad essere  medico psichiatra,  annovera  nel  suo  curriculum  anche  studi  musicali  di tutto  rispetto (Diploma in Composizione Principale, Direzione e Strumentazione per Banda, Direzione di Coro e Musica Corale, Corso per Direzione di Orchestra di Fiati). Poliedrico negli interessi, dal temperamento empatico e diretto, senza formalismi nelle relazioni, per cui partiamo subito con l’intervista…

•    Il nostro precedente incontro aveva per tema “Il magico connubio tra Musica e Cervello”,oggi, invece, parliamo di Gioachino Rossini. Come mai?

Il mio interesse è studiare Rossini dal punto di vista dello psichiatra…. chi era Rossini dal punto di vista personologico?   Di quali psicopatologie era affetto? E, soprattutto, incuriosisce il cosiddetto “Mistero di Rossini”.

•    Di   cosa si tratta?

Consiste in questo: dopo aver composto musica eccezionale per circa vent’ anni, con una media di tre opere l’anno ad una velocità mai vista, all’età di 37 anni, giusto a metà della sua esistenza, smise quasi del tutto di comporre senza fornire troppe spiegazioni.

    Non scrisse proprio niente?

L’ unica opera fu lo Stabat Mater, che comunque ebbe una storia creativa alquanto tormentata (a dir poco). Egli cedette alle ripetute insistenze del frate spagnolo don Manuel Fernandez Varela, desideroso di possedere un manoscritto del Maestro. Pertanto, si trattava di un dono e questo può spiegare il perché non sia mai stato trovato un atto di compravendita. Del resto, i due concordarono che la partitura non sarebbe mai stata pubblicata, trattandosi di un dono personale.  Ma la stesura si fermò a causa di “dolori di lombaggine” sofferti in quel periodo dal musicista, ma è da ritenere che vi fosse anche (se non soprattutto) una scarsa motivazione nell’affrontare e portare a temine l’impegno. Tanto che la partitura venne ceduta all’amico musicista Giovanni Tadolini, il quale completò l’opera ad insaputa di Valera. Venne eseguita a Madrid il 5 luglio 1833. A quattro anni da tale rappresentazione, con il frate ormai deceduto, la partitura venne ritrovata dall’ editore francese Aulagnier che chiese a Rossini il permesso di poterla pubblicare, ma egli si oppose sia alla pubblicazione che all’esecuzione. Alla fine Rossini mise fine a questo “strazio” rimaneggiando e completando l’opera che diede alle stampe con l’Editore Troupenas. La prima esecuzione avvenne a Parigi il  7 gennaio 1842. Se consideriamo che iniziò nel 1831, siano ben lontani dall’impeto compositivo degli anni giovanili….

•           Qual è il motivo di tale “Mistero”?

Per l’appunto……è un mistero …. Come si può immaginare furono in tanti a chiederglielo, ma era un argomento che evitava e, se qualcuno insisteva, si arrabbiava o si chiudeva in un completo mutismo. Anni dopo, alle insistenti richieste di Andrea Maffei (scrittore e librettista) ebbe a dire: “……. O non lo sapete che io sono un grande infingardo? Scrivevo opere, quando le melodie venivano a cercarmi e a sedurmi: ma quando capii che toccava a me andarle a cercare, nella mia qualità di scansafatiche rinunziai al viaggio e non volli più scrivere…” …Oppure, in un’altra occasione: “Ho esercitato troppo la fantasia, e per la mia sensibilità così fragile…”. Ciò diceva ridendo, ma probabilmente il vero motivo non lo rivelò mai a nessuno.

•      Proviamo a conoscere il personaggio. Da dove iniziamo?

…Innanzitutto è da dire che Rossini non è stato un “enfant prodige” come Mozart, ne’ esercitò quella precisione meticolosa, quasi maniacale del Verdi nello studiare e controllare minuziosamente più volte i vari passaggi dallo studio del libretto (che rimaneggiava ampiamente con buona pace e disappunto dell’autore) fino alla rappresentazione teatrale…. passando per i cantanti, gli orchestrali, gli operai del teatro addetti alla scenografia…fino ad un secondo dall’ inizio dell’opera…

Rossini e Verdi…entrambi molto fecondi, solo che Rossini scrive quaranta opere teatrali in diciannove anni, il Verdi, molto più riflessivo, ne compone ventisei in oltre 50 anni, dal 1839 al 1892 (l’ultima, il Falstaff, Verdi aveva 80 anni!).

Rossini  è  stato  ingegno  compositivo  puro  ‘’… le  sue  composizioni non  ammettono riflessioni, meditazioni, ripensamenti, ma sono il prodotto di improvvisi impeti, un naturale  e direi inevitabile scorrere di note, melodie, arie,,,di getto,,,si potrebbe dire quasi inconsapevole” (cfr. Eugenio Checchi. Rossini; FME).

•          Era veramente scansafatiche come ebbe a dire lui stesso?

Non è il termine esatto… diciamo che, negli anni fecondi, ha un metodo di lavoro ed una verve che gli permette di non “dannarsi” nell’ esercizio della composizione. Della differenza con Verdi, già si è detto…ma anche con Beethoven o Weber che scrissero musica frutto di lunghe riflessioni….

Rossini accetta l’impegno a comporre anche quattro opere in un anno, ma inizia a scrivere quando mancano pochi giorni al termine della consegna inducendo sconforto fra i cantanti, gli orchestrali, e soprattutto all’ impresario di turno, che, in alcuni casi in preda ad autentica disperazione lo implora insistentemente di provvedere alla consegna… ma egli non si scompone…rassicura tutti che a momento debito il lavoro sarà pronto… Le preoccupazioni dell’ impresario erano giustificate poiché anche nelle settimane precedenti egli continua tranquillamente la sua vita spensierata con gli amici con i quali si occupa soprattutto di pranzi e cene, immancabilmente corteggia le belle donne e  se qualcuno gli ricorda  gli impegni presi e l’avvicinarsi della scadenza, ne riceve  risposta non sempre in modo gentile…Giunto quasi alla fine, si chiude in casa, specie  la notte ….rilegge  attentamente il libretto che era stato posato distrattamente da qualche parte, studia i personaggi dandone fisionomia e vita, ne definisce il temperamento e le passioni .… e quindi inizia a scrivere…… d’istinto, di getto, quasi d’impeto…. Come detto, lavora per lo più la notte poiché anche in quegli ultimi giorni (alla scadenza   della consegna) non è che resiste del tutto agli inviti della buona tavola e dei salotti ….. e quando, alle due/tre di notte, gli amici lo accompagnano sulla porta di casa, rimasto solo, lascia libero sfogo all’ ingegno ed alla fantasia…  ed anche con una certa fretta poiché, data l’ora, sopraggiunge il desiderio di dormire …. Del resto non è previsto che vi siano ripensamenti o cancellature… Non vi è tempo per la riflessione …. finito di comporre, lascia i fogli sul tavolo… prima di mettersi a letto non chiude a chiave la porta di ingresso poiché è già d’accordo con il copista, che dopo poche ore, entrerà in casa e, senza svegliarlo, raccolti i manoscritti provvederà a copiare le parti per i cantanti e gli orchestrali e portarli in teatro Eugenio Checci (letterato e critico di chiara fama1838-1932) così si esprime: “…. sa di essere signore dispotico della melodia, che e’ sempre pronta al suo cenno, e semina melodie dappertutto.:”  “Le sue opere, tranne due/tre (soprattutto il Guglielmo Tell n.d.a.), sono il frutto di una felice improvvisazione”.

•          Ma… era pur sempre un uomo…avrà avuto momenti di stanca…di  arida ispirazione!

Certo… poteva accadere, ma non si disperava a perdere tempo… in quei casi frugava fra i suoi vecchi spartiti e diventava   ladro di se stesso!

•          OK, ma ad un certo punto  si ammalò  di Depressione e c’è chi ha ipotizzato  la diagnosi di Disturbo Bipolare…

Sì, ho letto qualcosa del genere… L’ ipotesi del Disturbo Bipolare è che fino all’ età di 37 anni egli sia stato affetto da un episodio euforico/maniacale e i successivi 37, di un lungo episodio depressivo…ma a mio avviso non è proponibile una diagnosi di Disturbo Bipolare caratterizzata da due singoli episodi di polarità opposta ciascuno dei quali della durata di 37 anni…almeno secondo i criteri diagnostici attuali…

•          Quindi cosa accadde dopo i 37 anni?

Smise di scrivere, ma ciò nonostante “sopravvisse “, per quasi quarant’anni, elogiato, adulato, ricercato, da alcuni anche biasimato, da altri esortato e supplicato a comporre, ma come detto, l’unica eccezione fu lo Stabat Mater.  Ad un certo punto, la sua stessa musica divenne la sua ossessione, strutturando un rapporto nevrotico ed ambivalente con le sue stesse opere … arrivò a definirle “vecchie baldracche”, augurandosi    che non fossero più eseguite …Non poteva ascoltare la sua musica, non percependo più se stesso in esse. Arrivò al punto di non tollerare che nel suo salotto si cantassero le sue Arie più celebri.

•          Ritorniamo  alla   domanda  iniziale.   Cosa   si  nasconde   dietro  questo   improvviso inaridimento della vena compositiva?

Possiamo fare solo delle ipotesi. A mio avviso, una è quella strettamente economica.

Rossini nasce a Pesaro il 29 febbraio 1792 da una famiglia povera. Il padre, di nome Giuseppe, era suonatore di corno, uomo ingenuo e chiacchierone che i compaesani avevano soprannominato “Vivazza”. Non andò mai oltre l’abilità di un suonatore mediocre. La madre, Anna, è descritta da Gioacchino come “.. slanciata e ben proporzionata, con una carnagione fresca  e piuttosto pallida, dentatura perfetta, magnifici capelli neri  ricciuti, sempre allegra e di buon umore, con un eterno sorriso sulle labbra e sul viso un’espressione di angelica dolcezza”.

Cantava bene, anche senza aver studiato musica, ma lo Stato Pontificio proibiva alle donne di esibirsi, per cui si guadagnava da vivere come cucitrice. Si mise anche a recitare in una compagnia melodrammatica di terzo ordine interpretando la parti di seconda donna. Il padre aveva 32 anni, la madre 19, quando restò incinta di Gioacchino (primo di quattro figli). I due non erano ancora sposati e Anna salì all’altare di cinque mesi. Una sua sorella, Annunziata, si prostituiva.

Gioacchino, che pure ebbe per la madre una venerazione, fu sempre tormentato dal sospetto di non essere figlio di Giuseppe, vivendo la cosa con un forte senso di colpa. Da bambino soffrì moltissimo per le condizioni di miseria in cui viveva la famiglia. I soldi non bastavano mai per cui i due genitori si misero a viaggiare esibendosi per i paesi delle Marche e dell’Emilia. Il bambino restava a casa con la nonna, soffrendo di nostalgia per l’assenza dei genitori e sviluppando il terrore di essere abbandonato o di non essere amato abbastanza. A sei anni si mise a lavorare pure lui: faceva il listaro della banda musicale, cioè suonava il triangolo. A dieci anni si mise a cantare e a dodici componeva sonate per quartetto d’ archi.

•          Dunque un’infanzia di disagio familiare ed economico.  Quale fu il percorso di studi?

In età scolare visse non fra i banchi di scuola, ma sugli sgabelli di improbabili orchestre e dietro le quinte di teatrucoli di provincia. Imparò, a sbalzi, a leggere e scrivere con varie ed estese lacune, intercalando viaggi faticosi su carrette sgangherate.  Il padre si era entusiasmato di idee bonapartiste e repubblicane. Appena cambiò il regime, fu arrestato e passò il resto della sua vita a entrare e uscire di prigione. Questo significava che tutta la famiglia dipendeva economicamente da Gioacchino, una pressione enorme per il suo già gracile senso di sicurezza. Negli anni successivi all’infanzia, fra contrasti e litigi in famiglia, con la madre che lo incoraggiava ed il padre che non voleva assottigliare i pochi proventi familiari, Gioacchino poté andare a Bologna e studiò composizione prima come privatista da padre Mattei, e successivamente nel Conservatorio Musicale di quella città  dal quale uscì diplomato,  certamente non con il massimo dei voti. Ma forte era la determinazione di poter essere un giorno, un affermato compositore melodrammatico.

  • Non impiegò molto a realizzare tale ambizione!

Proprio così! A 21 anni era celeberrimo ( e non aveva  ancora  scritto il Barbiere) anche se ancora non sufficientemente ricco, divenendo  “Maestro di Cartello”. Le sue opere ben presto fecero il giro del mondo, ricercatissimo dai viennesi, gli inglesi lo coprirono di soldi. I francesi gli affidarono la direzione delle loro Istituzioni Musicali e Stendale scrisse di lui “Da quando e’ morto Napoleone si e’ trovato un altro uomo di cui si parla ogni giorno a Mosca come a Napoli, a Londra come a Vienna, a Parigi come a Calcutta ed ha solo 32 anni”.

Mazzini lo definì “…. un titano di potenza ed audacia. Il Napoleone di un’epoca musicale…”

Dunque in giovane età divenne ricco e per vivere non aveva certamente bisogno di scrivere opere… peraltro in quei tempi, nell’assoluta mancanza di una chiara legge sui diritti d’ autore, le opere erano pagate poco e male. Gli bastava frequentare i salotti buoni dell’aristocrazia, dare (poche) lezioni, esprimere il proprio parere a velleitari compositori, anche semplici (diremmo oggi) ospitate…”

•          Ma possiamo comunque  affermare che ad un certo punto si ammalò di depressione?

Gaia Servadio ha esaminato per la prima volta carte mediche e 250 lettere inedite al padre, alla madre e alla prima moglie Isabella. Gli specialisti consultati dalla Servadio e, successivamente da Dell’ Atti, (in particolare la dottoressa Luciana Burchi Boneschi) hanno confermato: che il male oscuro di Rossini fosse quello che già in giovane età soffrisse di una grave forma di depressione, confermata anche dallo psichiatra inglese Simon Wessley. In realtà, a mio avviso, a volere esprime un giudizio clinico con l’ottica moderna, il quadro psicopatologico era alquanto complesso associandosi oltre ad un evidente disturbo depressivo, anche episodi di DAP, disturbo d’ansia somatizzata, stati fobici nonché una marcata sensibilità a tematiche persecutorie, benché non raggiungesse la profondità e la strutturazione dell’ideazione delirante.

Alcuni dati anamnestici confermano tale diagnosi:

–     E’ noto come la “prima” del Barbiere, fu un fiasco, vittima di un complotto essendovi fra il pubblico persone pagate per fischiare. Rossini aveva solo 24 anni, già famoso, ma ancora assillato da problemi familiari ed economici. La sera dopo, quando un pubblico non prevenuto decretò il trionfo dell’opera e andò in corteo fino all’albergo del musicista per rendergli omaggio,  si  barricò  in  camera  tremante,  in  preda  a  una  crisi  d’ ansia  e,  nonostante  le acclamazioni, rifiutò di affacciarsi.

     A Pesaro non era più voluto tornare per paura della principessa di Galles che, offesa per un affronto (con delle scuse banali ed improponibili non aveva accettato un invito a cena da parte della stessa principessa), alla “prima” della Gazza Ladra (1817) gli aveva mandato dei suoi scagnozzi a fischiarlo.

–     Nel 1822, Metternich lo invitò al Congresso di Verona per dirigere l’orchestra. Ma il palco del direttore stava sotto la statua della Concordia e Rossini (che aveva in quel momento 30 anni) si mise in testa che quella statua gli sarebbe caduta addosso. Diresse quindi il concerto tutto tremante e in preda ai sudori.

–     In quello stesso anno andò a Parigi, dove gli era stata affidata la direzione del Théâtre des Italiens. Ma i lavori per l’apertura procedevano a rilento ed ebbe una “crisi di nervi”: trascorse tre settimane a letto in preda alle febbri e senza potersi alzare.

–     L’anno successivo, 1823, salì per la prima volta su una nave a vapore per attraversare la Manica e andare in Inghilterra. All’arrivo si mise a letto e ci rimase per una settimana, rifiutandosi persino di incontrare il re Giorgio IV. Spiegò che la velocità, il rumore, la sensazione di perdere il controllo – tutti sentimenti patiti sulla nave – lo avevano terrorizzato.

–     Nel ’27, altra crisi violentissima: il 20 febbraio era morta la madre e Rossini non si dava pace per non esser corso da lei. A quel tempo era ancora sposato con Isabella Colbran, un famoso contralto, più vecchia di lui di sette anni. Matrimonio reso tempestoso dal fatto che lui le aveva passato la gonorrea e che lei lo accusava di non scrivere più musica per la sua voce. Gioacchino si era innamorato in quel momento di Olympe Pellissier, mantenuta d’alto bordo, e proprio per questo non era tornato in Italia a visitare la madre. Sensi di colpa a non finire.

–    Infine, con il Guglielmo Tell, la crisi definitiva. Rossini, ora trentasettenne, ci mette più di un anno per comporre l’opera: studiata apposta per i francesi, doveva essere nuova, romantica e maestosa. Quando poi va in scena (3 agosto 1829) il pubblico parigino la accoglie freddamente. Rossini ne resta profondamente deluso ma, come d’abitudine, finge indifferenza e torna in Italia prendendo accordi per l’impegno successivo. Nel frattempo, il Guglielmo Tell trionfava, ma intorno alla fine del 1830, dopo aver sciolto il contratto con l’Opéra, stanco e malandato, s’abbandona al suo mal di vivere.

–     Ormai ricco, senza la necessità di accettare nuove commissioni, resta chiuso in casa e vede pochi amici (specie Balzac, con cui parla di musica, donne e crisi nervose). Tenta pure di vincere questo stato abulico viaggiando. Ma non serve a nulla. Quando, alla morte della Colbran (1845), Gioacchino e Olympe si sposano, quelli che li vanno a trovare incontrano un uomo e una donna grassi, tristi, che hanno tra di loro lo stesso rapporto che c’è tra un’infermiera e il suo paziente, un rapporto tutto casto, dove lei passa il suo tempo a confortarlo e dargli le medicine e lui vuole sempre che la luce sia spenta per poter singhiozzare senza essere visto.

–     Un vero e proprio   collezionismo patologico era l’interesse   per le parrucche che indossava per nascondere la calvizie: ne aveva a decine, di ogni tipo e colore e per ogni circostanza: per i pasti ed in maniera differente (colazione, pranzo e cena) ed a seconda i commensali presenti (amici, semplici conoscenti o persone di riguardo), per il passeggio, per i concerti, per i funerali ecc. ecc.

  • Quale fu il periodo peggiore?

Gli anni fiorentini (dal ’50 al ’54): sobbalza a ogni rumore, non dorme, non mangia, piange al solo sentir parlare di musica. Al tenore Donzelli, che gli chiede un pezzo nuovo da far cantare alla figlia, risponde di trovarsi in uno stato di «impotenza mentale». Suona di rado (e sempre al buio), indossa strane parrucche da giovanotto, mangia in continuazione, non riesce a vestirsi da sé: “Mi chiamano professore, anzi maestro, e sono già quasi vent’anni che di su, di giù, per diritto e per traverso io meno il mio pubblico per il naso; e vedo che proprio nulla ci è dato di sapere! Per poco non ne avrò consunto il cuore! E’ vero che ho più senno di tutti gli scipiti musicisti, professori, compositori e funzionari: io non sono tormentato da scrupoli e da dubbi, non ho paura del diavolo e dell’inferno. Ma in cambio mi è tolta ogni gioia: io non m’illudo di sapere qualcosa di vero, io non m’illudo di poter insegnare qualcosa per migliorare e cambiare gli uomini”. Detestava i fanatici, le esagerazioni, le ridondanze celebrative, e questi pensieri lo attraversavano continuamente …. Di lui dicevano: dopo Rossini sarà impossibile tornare al melodramma. Rossini incarna tutta la musica operistica del nostro secolo…… E lui rideva: sciocchezze, pure sciocchezze.

•            Che diagnosi psichiatrica gli venne fatta?

Gli fu diagnosticata una nevrastenia estrema. All’epoca vi era poco interesse alle malattie psichiatriche, che secondo l’etica cristiana appartenevano al regno di Dio. Rossini, che non era credente, aveva rifiutato le cure tradizionali italiane: i vari santuari della Madonna di Loreto, di Lourdes,  di  Pompei,  le  offerte  ai  santi  protettori.  Ebbe  paura  di  prender l’oppio  che  i  medici prescrivevano per farlo dormire, ma provò tutto il resto: impiastri vari, bagni termali e persino il mesmerismo (confidando nei benefici del ‘’magnetismo animale”). Quando ormai non seppe più cosa fare seguì il consiglio di un amico (‘’Buona tavola, buona compagnia e buona musica”) e nel 1855 tornò a Parigi. Il viaggio durò due mesi perché non volle prendere il treno.

•          Oltre alle patologie psichiatriche soffriva d’altro?

Intanto, c’è da dire che prima che un depresso, Rossini fu un grande infermo.

Da giovane si ammalò di gonorrea (contratta da una prostituta), da cui non si guariva, che ben presto si complicò con un’uretrite associandosi a calcoli vescicali ed emorroidi.

Gli venne anche una psoriasi allo scroto e certo furono queste malattie ad alimentare la voce – non vera – che la crisi dei 37 anni fosse stata determinata dall’impotenza. Soffriva poi di ipertensione, bronchite cronica enfisematosa (proverbiale la sua passione per i sigari) diarrea cronica, insufficienza cardiaca. Aveva problemi di circolazione specie agli arti inferiori con conseguente claudicatio. Non mancavano l’insonnia ostinata, il calo della vista ed in giovane età un fastidioso disturbo dell’udito, una sorta di paracusia, per cui avvertiva i suoni un’armonica sopra il loro tono, verosimilmente dovuta ad una qualche alterazione del microcircolo dell’apparato uditivo. Morì nel 1868 (a 74 anni), per un cancro al retto.

(continua)

Data:

23 Novembre 2024

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