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Il modello circolare a sostegno della crescita sostenibile

In una congiuntura segnata dalla recessione, a sentire parlare di perdita di materiali preziosi verrebbe la pelle d’oca a chiunque. Perché tutto si vorrebbe fuorché sprecare. Sempre più famiglie risparmiano, tagliando beni e servizi ritenuti superflui. Eppure quella che crediamo una giusta economia domestica, farebbe impallidire le nostre nonne, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza.Se è vero che dalla rivoluzione industriale lo sviluppo delle nostre economie è avvenuto all’insegna del “prendi, produci, usa e getta”, secondo un modello di crescita fondato sul presupposto dell’abbondanza delle risorse, è altrettanto vero che in Italia prima che si diffondesse ricchezza, si è conosciuta la povertà.

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Al riciclo e al riutilizzo si era abituati per necessità e non si trovava nulla di strano nel passarsi i vestiti di fratello in fratello. Era cultura. La convinzione che le materie prime siano largamente disponibili, accessibili ed eliminabili a basso costo, sta compromettendo la competitività. Occorre tornare a un’economia circolare. Quel sistema che conserva al suo interno i prodotti esausti affinché possano essere riutilizzati ai fini produttivi, creando cioè nuovo valore. Quando le nonne realizzavano ottime torte col pane raffermo e portavano le scarpe dal calzolaio affinché fossero riparate, di rifiuti ce n’erano molti di meno. E se la Natura offre un magnifico esempio di economia circolare che gli avi spontaneamente imitavano, il dubbio che sia la nostra generazione ad essersi allontanata dall’ambiente in cui interagisce, viene…Ma quando macro e microcosmo sono in disequilibrio il ciclo impazzisce, fino a sfociare nel caos.

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Per salvare il Pianeta e noi stessi occorre ripristinare un ciclo economico che rispetti e tuteli la Vita. Occorre riprogettare imprese e consumi, implementare la ricerca per trasformare sempre più rifiuti in risorse. Un uso più efficiente lungo l’intera catena di valore potrebbe infatti a ridurre il fabbisogno di fattori produttivi del 17%-24% entro il 2030, con recuperi per l’industria europea pari a circa 630 miliardi di euro l’anno. Il riutilizzo dei rifiuti nel ciclo produttivo comporterebbe un risparmio notevole nei processi di reperimento delle materie prime e di smaltimento, oltre a una considerevole riduzione dell’inquinamento. Le materie prime, utilizzate per produrre energia, rappresentano infatti per la maggior parte delle imprese, le principali voci di costo tra i fattori della produzione. Impiegare i rifiuti, reperibili sul mercato, unitamente a un’opera di prevenzione nella produzione degli stessi, porterebbe quindi le aziende europee alla possibilità di investire il denaro non speso nell’implementazione delle tecnologie.

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Una progettazione ecocompatibile ridurrebbe le emissioni annue di gas serra in atmosfera e creerebbe posti di lavoro, laddove la politica predisponesse seri interventi a sostegno dell’ecologia per le piccole e medie imprese, che costituiscono il 90% del tessuto produttivo italiano. Il riscatto dell’economia italiana deve passare per l’alleggerimento fiscale, traslando comunque da un modello attuale lineare a uno circolare.

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Le infrastrutture e gli schemi produttivi, unitamente ai comportamenti errati basati sullo spreco, ci tengono “legati” al lineare. Le imprese e i privati non sono incentivati a cambiare abitudini. La recessione induce a percepire come rischioso qualsiasi investimento nell’innovazione e nelle new technologies.

cms_3962/foto_6.jpegIn una nuova logica, i prodotti dovrebbero essere progettati affinché una volta divenuti rifiuti, se ne possa prevedere il riciclo o il riutilizzo.Abbattere dunque le sostanze inquinanti a monte, allungare la durata del prodotto in fase di creazione, concependo la possibilità che lo stesso sia soggetto a riparazione o ammodernamento, creare mercati di plastica, vetro, metalli, carta, legno, gomma e altri materiali riciclabili affinché siano reimmessi nel ciclo come materie prime secondarie a prezzi concorrenziali.

cms_3962/foto7.jpegPuntare concretamente sulle energie alternative e predisporre un modello di corretta separazione a monte dei rifiuti, sostenendo sistemi di raccolta differenziata che riducano al minimo i costi di riciclaggio e riutilizzo. È chiaro che il primo passo da avanzare sia quello di incentivare le imprese alla riconversione. L’obiettivo dell’economia circolare è quello di non far uscire dal circolo la materia, attuando, come fa la Natura, la trasformazione in luogo della distruzione.

Il modello “rifiuti zero” che prevede l’abbattimento della discarica e dell’inceneritore, non è impossibile da raggiungere, nonostante appaia oggi molto distante.

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Il rispetto per l’ambiente inizia con la spesa: sono le scelte del consumatore a guidare la produzione aziendale. La preferenza di prodotti ecologici può escludere dal mercato quelli più inquinanti, spingendo le aziende verso scelte produttive più etiche.Dovremmo riabituarci allo sfuso, conservando e riutilizzando i contenitori in vetro, nei quali i principi attivi di alimenti e prodotti estetici si conservano anche meglio. Acquistiamo carta ecologica.

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Poniamo insomma più attenzione al valore sociale delle imprese.Le aziende intenzionate a muovere i primi passi nel mondo circolare, possono seguire gli esempi di Barikamà che raccoglie e riusa i barattoli di vetro contenenti yogurt biologico, distribuiti in bicicletta ai clienti o del colosso Caterpillar che vanta una business unit da un miliardo di dollari l’anno, attiva nella riparazione delle sue vecchie macchine utensili, avvalendosi per l’80% di materiali riciclati.

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In alcuni paesi europei si sono registrati notevoli progressi nella trasformazione dei rifiuti in risorse e nella promozione di modalità sostenibili di gestione del rifiuti, come il riciclaggio. Già da qualche anno. Nei casi più virtuosi la messa in discarica dei rifiuti urbani è di fatto già abolita, con percentuali scese nell’ultimo ventennio dal 90% a meno del 5% e un tasso di riciclaggio che sfiora l’85%; mentre in altri paesi oltre il 90% dei rifiuti è ancora collocato in discarica e il riciclato raggiunge a malapena il 5%.

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L’Italia deve fare i conti con gli sprechi alimentari, prevedendo la redistribuzione del surplus, magari alle fasce di popolazione più deboli. Con l’incidenza dei rifiuti pericolosi. Agire con biotecnologie in grado di abbattere la frazione tossica è sicuramente una via da percorrere ai fini della risoluzione. Sembra inverosimile, ma ancora oggi la percentuale di plastica riciclata non supera il 25%.

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Occorre operare a monte attraverso la separazione in casa, abituandoci altresì all’uso delle borse di stoffa per fare la spesa. Dividiamo accuratamente l’organico, consapevoli che diverrà compost, andando a nutrire gli ortaggi dei quali ci ciberemo. Si tratta di piccoli, ma preziosi gesti che possono, se compiuti da intere comunità, fare la differenza.

Data:

21 Maggio 2016