Vita privata e vita pubblica
La distinzione tra ambito privato e pubblico può servire a chiarire i motivi per i quali la concezione tradizionale della politica ha condotto l’esistenza umana sull’orlo del «deserto», ovvero in un’epoca di vita senza mondo, nella misura in cui ha misconosciuto la natura antinomica della condizione umana, entro la quale coesistono libertà e mancanza di sovranità.
La diagnosi espressa in Vita activa individua nell’imprevedibilità e nell’irreversibilità dell’azione, che non trova né limite né contesto nel mondo durevole della fabbricazione né nella natura, il disagio fondamentale che porterà infine al profilarsi – dopo lo scoppio della bomba nucleare – di un mondo acosmico. Ciò è dovuto, alla deriva patologica cui il fare è andato incontro: l’opera si è contaminata con l’azione da quando l’homo faber ha smesso di edificare il mondo in quanto opera e ha iniziato a manipolare i processi naturali.
Solo il mondo edificato dall’homo faber può tenere distinte queste sfere, quella naturale e quella artificiale; la politica procede alla stessa funzione nel mondo degli uomini, separando la vita privata da quella pubblica. Secondo l’autrice le sfere si autoalimentano in quanto eterogenee: proprio perché gli uomini sono mortali, sentono l’esigenza di trascendere la loro condizione naturale in uno spazio durevole e stabile; d’altra parte, proprio perché essi nascono assolutamente diversi, essi sentono l’esigenza di entrare in contatto l’uno con l’altro con l’azione e il discorso.
L’esperienza della libertà equivale a quello di liberazione dalla necessità, per tale motivo Arendt sostiene l’importanza di riattivare la distinzione tra sfera privata e sfera pubblica; l’esperienza del mondo come dimora costruita dall’homo faber, non può sussistere se viene eliminato lo spaesamento che connota l’esistenza in quanto primariamente legata-alla-terra. L’uomo non è gettato nel mondo; se siamo gettati, allora siamo gettati – non diversamente dagli animali – sulla Terra. Nel mondo, l’uomo non è gettato, perché proprio qui si stabilisce la sua continuità e si manifesta la sua appartenenza. La terra è il luogo apolitico della vita biologica, dimensione della caducità, facendo esperienza delle quali gli esseri umani alimentano il desiderio di erigere un mondo fatto da loro cioè durevole.
Nella sfera privata, gli uomini fanno esperienza della loro assoluta diversità e della necessità, che li spingono a agire tra loro. In Vita activa, Arendt espone le ragioni della formazione della polis; ancora una volta ella riporta i fatti alle esperienze umane cui danno forma, espressione fenomenica. In sintesi, ella afferma che i greci poterono elaborare una concezione della politica come spazio per l’azione perché, da un lato, facevano esperienza della mortalità in quanto fenomeno contrapposto a quello di un cosmo immortale, e, dall’altro lato, perché avevano riconosciuto, legalizzando la schiavitù, che la necessità improrogabile delle preoccupazioni della sopravvivenza non costituiva un carattere dell’umanità ma dell’animalità. Scrive Roberto Esposito: “L’agire è veramente libero non se si dilata infinitamente in un orizzonte che esclude la necessità, ma se cozza contro di essa con la massima potenza d’urto”.
Roberto Esposito
I fenomeni della modernità permettono ad Arendt di indagare a fondo la difficoltà del pensiero occidentale di definire correttamente non solo la dimensione pubblica, ma anche quella privata dell’esistenza degli uomini, nella quale ha trovato tradizionalmente spazio ciò che agli uomini è dato in concomitanza con la loro nascita nel mondo. Già ne “Le origini del totalitarismo” Arendt aveva scritto che, fin dal tempo dei greci, è ben noto che la vita politica evoluta nutre un profondo sospetto per questa sfera privata, una specie di astio contro il miracolo per cui ognuno di noi è fatto così com’è, unico, inimitabile, immutabile.
Questo settore del meramente dato, relegato nella società civile alla vita privata, rappresenta una costante minaccia per la sfera pubblica, che si basa sulla legge dell’eguaglianza, come quella della vita privata si basa sulla legge della diversità e dell’infinita differenziazione. Come emerso in Vita activa, la crisi attuale della sfera politica deriva dal passato, dal progressivo assottigliarsi della differenza tra dominio privato e pubblico: lo spazio deputato all’azione propriamente politica ha i tratti di una terza dimensione che dipende dalle prime due e le tiene distinte. Politico è dunque per Arendt lo spazio che sta tra la vita privata e la vita pubblica dell’individuo e che rende sopportabile l’antinomia tra necessità e libertà che altrimenti lacera l’essere-nel-mondo degli individui opponendoli l’uno contro l’altro in uno stato di natura. La sfera che dovrebbe restare nell’ombra, è invece il luogo dove avviene la nascita, un evento che assume una centralità inedita.
La politica tra natalità e mortalità concede un ripensamento della datità in quanto contingenza: nascere, commenta giustamente Papa, è “un moto circolare in cui l’umano politicamente è sempre salvo, ha sempre fiato. L’essere-nel-mondo promana da un venire-al-mondo che è dato e contingente nel senso che non è frutto di una scelta, ma può diventarlo, attualizzando l’essere nati come capacità di iniziare storie nuove attraverso l’azione”. Un elemento di azione è intrinseco in tutte le attività umane e poiché l’azione è l’attività politica per eccellenza, la natalità e non la mortalità, può essere la categoria centrale del pensiero politico in quanto si distingue da quello metafisico.
È legittimo considerare le innovative prospettive arendtiane sull’evento della nascita reinterpretato come radice della condizione umana espressa dalla natalità, al fine di prendere in esame la torsione analoga che assume la categoria di “terra” relativamente alla condizione della pluralità. In analogia con il carattere interstiziale della politica, anche il mondo degli uomini è reale, ovvero compreso come un fenomeno politico e non come una nozione metafisica – non più come immagine o ideale regolatore, bensì come fenomeno intrecciato all’esperienza esistenziale – nella misura in cui è edificato dagli umani per separare e tenere insieme la sfera della datità e quella della libertà, le quali determinano l’idiosincratica condizione umana.
La dimensione pubblica è complementare a quella privata e denota due fenomeni che insieme permettono di entrare nel vivo dell’argomentazione arendtiana circa la nozione di “mondo”. Le condizioni dell’esistenza umana – vita, natalità e mortalità, pluralità e terra – non esauriscono la definizione dell’uomo perché “la condizione umana è più ampia delle condizioni nelle quali l’uomo ha cominciato a vivere”. L’unica condizione che non è dato superare è proprio quella di essere condizionati dall’interazione con l’esterno: gli uomini hanno scoperto di essere “soggetti alle condizioni della terra” solo nella misura in cui si trovano a vivere, ancora, sul pianeta Terra.
Nel noto passaggio di Vita activa Arendt spiega che questo mondo non si identifica con la terra o con la natura, come spazio limitato che fa da sfondo al movimento degli uomini e alle condizioni generali della vita organica. Esso è connesso con l’elemento artificiale, il prodotto delle mani dell’uomo, come pure con i rapporti tra coloro che abitano insieme il mondo fatto dall’uomo. Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il mondo, come ogni in-between (infra), mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo.
Emerge quindi la duplice struttura del mondo: esso consta di una dimensione materiale e di una relazionale, l’una complementare all’altra proprio perché le analisi sulla modernità ne hanno messo in luce l’intreccio. Il mondo reale è quello di cui tutti possono fare esperienza in quanto “cosa” vista da prospettive diverse: questa pluralità di prospettive conferma l’esistenza del mondo e, allo stesso tempo, lo fa esistere in quanto medium che lega gli individui preservando la loro distanza. In quanto è tra gli uomini, il mondo coincide con il loro reciproco entrare in contatto gli uni con gli altri, come pluralità e distinzione.
Edificare un mondo comune
Edificare un mondo comune è possibile in quanto gli esseri umani fanno esperienza di un medesimo oggetto che appare in comune, cioè tra loro in quanto costituiscono una pluralità. Questo sguardo sull’esterno dà origine ad un’interazione che si offre come spazio di auto-esibizione reciproca: gli individui fanno del loro posto il canale di accesso al tavolo comune.
Per chiarire meglio questa interazione tra la sfera di ciò che è proprio e di ciò che è comune che caratterizzano il carattere in-between del mondo, il modello esemplare è rappresentato dalla città-stato greca rispetto alla quale in Vita activa Arendt scrive: “Ciò che impediva alla polis di violare la vita privata dei suoi cittadini e le faceva ritenere sacri i confini di ogni proprietà, non era il rispetto per la proprietà privata come la intendiamo noi, ma il fatto che senza possedere una casa un uomo non poteva partecipare agli affari del mondo, perché in esso non aveva un luogo che fosse propriamente suo”.
Secondo l’analisi di Arendt, i tratti distintivi della filosofia politica sono il disprezzo per la vita privata oberata dalla necessità del lavoro e il sospetto nei confronti dell’imprevedibilità e dell’illimitatezza dell’azione umana. È su questo pregiudizio che l’emancipazione da riferimenti trascendenti e dalla verità come oggetto di contemplazione (theoria), avvenute nel trascorrere dell’età moderna, hanno modificato il ruolo dell’azione politica riducendolo a mezzo necessario per liberare gli uomini dalla necessità di agire.
L’oggettività del mondo comune corrisponde per Arendt alla realtà della sfera pubblica, che si fonda nella presenza simultanea di innumerevoli prospettive e aspetti in cui il mondo si offre, e per cui non può essere trovata né una misura comune né un denominatore comune. Infatti, sebbene il mondo comune sia il comune terreno d’incontro, quelli che lo abitano, hanno in esso diverse posizioni, e la posizione di uno non può coincidere con quella di un altro. “I pregiudizi verso la politica, l’idea che la politica in sostanza sia una trama di menzogne e inganni prodotta da interessi meschini e da una ancora più meschina ideologia, e che la politica estera oscilli tra vuota propaganda e nuda violenza, sono assai più antichi dell’invenzione di strumenti che consentono di distruggere tutta la vita sulla terra”.
Nelle ultime riflessioni contenute dei frammenti postumi, Arendt precisa che “lo sconcerto provocato dall’avvento di uno strumento di distruzione fisica assoluta all’interno della sfera politica” determina l’urgenza di ripensare il rapporto tra cura della vita e cura del mondo, perché la politica ha messo a repentaglio quest’ultimo concentrandosi solo sulla tutela della prima. Il politico minaccia proprio ciò che nell’opinione dell’età moderna costituisce la sua ragione d’essere: la possibilità di vita in quanto tale: “Forse la più chiara indicazione che la società costituisce l’organizzazione pubblica dello stesso processo vitale può ritrovarsi nel fatto che in un tempo relativamente breve il nuovo dominio sociale ha trasformato tutte le comunità moderne in società di lavoratori e salariati; in altre parole, esse si sono contemporaneamente concentrate intorno all’unica attività necessaria a sostentare la vita”. (Arendt, H., VA, p. 34)
L’unico campanello d’allarme, un campanello che suona come di speranza, è dato forse dalla preoccupazione per i danni che stiamo arrecando all’ambiente. Il passaggio chiarisce ulteriormente la posizione arendtiana circa la condizione del mondo moderno: l’acosmismo identifica la perdita dell’esperienza dell’immortalità della natura, ovvero della sua durevolezza che ‘trascende’ quella della vita umana. La ‘natura’ intesa come cosmo è stata sostituita dall’infinita processualità delle leggi metaboliche: esse orientano il fare degli uomini, privandolo della sua capacità di donare stabilità oggettuale al mondo
Se è vero che la politica non è altro che un male necessario alla sopravvivenza dell’umanità, il suo senso si è bruscamente capovolto in insensatezza. L’esperienza del mondo rimasta all’uomo moderno è assorbita entro due scenari opposti: la minaccia di annichilimento e la hybris distruttiva. Ad andare in scena nel mondo acosmico alienatosi dalla terra, sottolinea Boella, è “una fondamentale alterazione nel rapporto dell’uomo con la natura, con quello che un tempo era l’ordine cosmico di necessità in cui l’uomo non aveva il potere di intervenire e che determinava in primo luogo la sua condizione mortale in un universo sempiterno”.
In uno scenario politico già compromesso dal tradizionale disinteresse metafisico del mondo degli affari umani, la scienza moderna, emancipatasi grazie alla tecnica da preoccupazioni antropocentriche, cioè umanistiche, ha oscurato del tutto il fatto che l’appartenenza dell’uomo al mondo poggia sull’esistenza di un particolare habitat naturale.
Nella crisi attuale sta in gioco l’uomo o il mondo. Se porre l’uomo al centro delle preoccupazioni presenti, è profondamente impolitico, al centro della politica vi è sempre la preoccupazione per il mondo, cui, in assenza di un criterio o di un metro di giudizio, sarebbe più appropriato applicare il termine das Politische.
(Continua)
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La prima parte al link:
https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_MONDO_VISTO_DA_HANNAH_ARENDT_-_I%5EPARTE_33351.html
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