Prima il 25 dicembre era solo una festa pagana in onore di Mitra, il dio del sole invincibile (sol invictus).
Quando però l’imperatore Costantino nel 330 d.C. si convertì al cristianesimo, il 25 dicembre si incominciò a festeggiare il Natalis Christi.
Dal paganesimo al cristianesimo il passo è stato lungo ed infatti, alcuni retaggi del paganesimo permangono e li conserviamo come tradizione.
È arrivato persino babbo Natale vestito di rosso e la lunga barba bianca, portando nelle case del mondo, non solo il brand della Coca cola, ma il momento più atteso e festeggiato dell’anno da tutti, soprattutto dai bambini, con l’arrivo dei regali.
Il Natale cade col periodo conclusivo dell’anno. La fine di un percorso induce a riflessioni profonde, che sfiorano diverse sfere del vivere, come l’economia, alla quale afferisce il nostro operato, sia il bilancio consuntivo dello Stato, con la finanziaria, che il bilancio familiare: le entrate, le uscite, le tasse, l’Imu, Tari, le aliquote Irpef, insomma, tutte le spese importanti sostenute e gli adempimenti fiscali.
E “chi più ne ha più ne metta”.
È un principio sacrosanto in base al quale ognuno mette le mani nel portafoglio, e dà allo Stato quanto dovuto, e non quello che fa credere di avere.
E tu, Gesù Bambino, questo lo sai, ci osservi, magari ci giudichi… e taci, infreddolito nella culla della mangiatoia. Nell’infrangere la legge dello Stato si ha più timore della giustizia terrena o di quella divina?
C’è chi teme una delle due, chi nessuna.
Certamente l’evasione fiscale non infrange la lex divina, ma quello dello Stato, sì.
L’equo pagamento delle tasse rientra nello statuto costituzionale di tutte le società civili non abbandonate a quella deriva della “modernità liquida” tratteggiata da Zygmunt Bauman.
Nello Stato, diritti e doveri si consolidano divenendo i pilastri fondativi della nostra Costituzione.
L’erogazione dei servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, non possono, non devono vacillare, a causa di cittadini irresponsabili, e di politiche inette che si sono succedute negli ultimi decenni.
Tutti i cittadini devono contribuire, secondo il principio del ‘possesso’.
Avere ed essere si contrappongono e si frantumano in molteplici identità, che ricordano le maschere, sotto cui si nasconde l’individuo, indipendentemente dal suo essere, come individuo e avere come “status”.
Interessante il pensiero moderno del filosofo tedesco Erich Fromm, secondo cui l’identità si costruisce attraverso un processo di crescita personale e di differenziazione dagli altri in un mondo in cui bisogna comprendere ognuno il proprio ruolo.
In questo periodo post pandemico, c’è chi ha tirato la cinghia, chi ha scialacquato nel lusso, arricchendosi di più, come le case farmaceutiche ed il loro indotto, voltando le spalle al Rapporto Caritas, che registra 5,7 milioni di poveri in Italia.
Persone private del diritto di sognare una vita migliore.
C’è chi si arricchisce con l’industria degli armamenti, incentivata dalle guerre in corso. Il documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2024 – 2026 calcola per il 2024 un valore di oltre 32 miliardi di euro, in armamenti.
Il discorso della irresponsabilità del cittadino non ricade su carenze giurisprudenziali sanciti dallo Stato italiano, ma dal decadimento dei costumi in generale e dall’evaporazione del cattolicesimo, che per dirla col filosofo Diego Fusaro, critico con l’attuale Pontefice “cede ad un ateismo liquido”, e alla ridicolizzazione del sacro, lo scandalo della Pachamana in processione in basilica. Egli in un video ci ricorda un articolo sul Corriere della Sera di Pier Paolo Pasolini, che si riferiva all’analisi linguistica di uno slogan:
“Non avrai altro jesus jeans all’infuori di me” campeggiava su una foto un ventre maschile con addosso dei jeans sbottonati, e poi ancora “Chi mi ama mi segua” accompagnava l’immagine di un sedere rivestito sempre dal sopracitato blue jeans. Due manifesti in cui il credo cristiano viene finalizzato alla promozione di uno dei tanti prodotti sponsorizzati dal nuovo credo borghese.
La Chiesa fondata da Gesù Cristo e dai suoi apostoli Pietro e Paolo sul colle vaticano più di duemila anni fa, è in profonda crisi. Il Concilio Vaticano II non ha favorito l’ingresso delle masse di fedeli nelle chiese, ma le ha allontanate, e la carenza di sacerdoti è un forte segnale di una barca di Pietro, quasi abbandonata a se stessa. Libera Chiesa in libero Stato, ma il diritto canonico nel corso dei secoli è stato profondamente influenzato da tutti i cambiamenti sociali, politici, economici e culturali avvenuti nel corso del tempo. Religione e società si parlano, dialogano, si influenzano, spesso si scontrano, sul piano dei diritti naturali, civili, sulla bioetica, l’eutanasia. E in tal senso, in base a certi presupposti, orienta i fedeli ad un indirizzo politico vicino alla sua dottrina.
Le feste natalizie rappresentano un momento di vicinanza al rito e al Sommo Pontefice. Esse si prestano al raccoglimento individuale e collettivo “col popolo di Dio” anche in funzione di una riflessione che inevitabilmente si conclude con un bilancio annuale delle cose fatte e da fare in futuro.
E il Natale sarebbe il momento topico per trarre conclusioni, proponimenti sempre con disincantato interesse.
Mala tempora currunt.
Non si tratta del sermone del quacquero, ma quello di chi denuncia il marcio nella società contemporanea.
Gesù bambino – lo sa – il marcio è anche nell’analisi del bilancio dell’animo umano, che – in certo qual modo – è speculare a quello economico e sociale. Quanto ho dato io… quanto ho ricevuto dagli altri… Le entrate e le uscite dei gesti altruistici si equivalgono o sono impari? Come il discorso delle tasse. Ho pagato in base a quanto ho guadagnato o le ho evase deliberatamente?
Il senso di Rinascita a cui ci induce il Natale, è quello di smussare gli angoli più bui della coscienza etica e civile dell’ Io cogitans.
La lezione kantiana, a chi l’ha appresa, ha toccato le corde e gli angoli più remoti che palpitano nel nostro cuore, facendoci percuotere il petto, in un atto di penitenza redentiva verso il bene comune.
Quell’”Io devo”!
Suona come un diktat, in chi lo sa accogliere.
Il senso morale dell’individuo è il crocevia della libertà – ho fatto quel che dovevo, e mi sento libero.
Non è solo un atto di obbedienza ad un concetto filosofico, ma un richiamo forte che implica un impegno – pegno da pagare, per il riordinamento della giustizia sociale, che nella convivenza civile, trova il suo fondamento. Ed in questo senso, sembra che, l’humanitas abbia perso il lume della ragione.
Domande, che diventano riflessioni di fine anno, che racchiudono in sé, considerazioni secolari che religiose, a cui ognuno risponde secondo la propria coscienza e senso di responsabilità, afferente al proprio credo:
Cum fide sine fide.
Oppure – ed il problema è proprio questo – di non voler relegarsi ad alcun obbligo, ad alcun princìpio etico o religioso, e di non farsi scrupolo di fronte all’egoismo dilagante e alle istanze più rovinose insite nell’essere umano, obbedendo al motto: mors tua vita mea.
E su quelle (persone) dovremmo soffermare l’attenzione per prendere le distanze più siderali. Detto questo – e qualcuno provi a confutare – ognuno di noi è un’opera d’arte nella sua unicità. E se non lo è, è comunque un’opera, che in alcune circostanze può procurare distruzione e morte. Ricordiamoci di essere “in tempore belli”.
I venti di guerra soffiano alle porte d’Europa ed in medio Oriente.
L’uomo come creatura portatrice di amore è al contempo il deus ex machina della guerra e delle sue deprecabili macchinazioni del sopruso e della sopraffazione. Può sembrare quasi un ossimoro, una affermazione paradossale: l’uomo come opera d’arte e l’uomo generatore di guerra, come se si trattasse di due entità ontologiche completamente diverse, l’uno con l’altro. Proprio un paradosso, come può essere l’inizio della nostra indagine, rivolta a Gesù bambino.
Non è una proposizione autonegante che ci condurrebbe al paradosso del mentitore.
Tuttavia, noi ci dobbiamo appellare, quanto possibile, al principio di non contraddizione, per non cadere nel vacuo discettare. Anche l’uomo malvagio ha in sé briciole di umanità, quella della redenzione attraverso l’espiazione in pectore o della pena detentiva. Il carcere, infatti non è luogo di perdizione ma di ri – nascita epifanica e rieducazione sociale. Ma in Italia, e non solo, non sempre, lo è. In alcuni degli States, vige ancora la pena di morte, a cui con un accorato appello, si è rivolto Papa Francesco per ridimensionare la pena.
Chiediamoci cosa è il Natale, oltre alle convenzioni culturali, tramandatoci dall’occidente, che formalizza il rito con l’allestimento dell’albero, il presepe, i regali e cotillon.
E il rito non è solo un actus fidei ma una condizione culturale, avulsa dal significato più intrinseco e sublime della fede (per chi c’è l’ha) che lo ha generato.
Ci troviamo di fronte ad un discorso etico generale, che riguarda l’individuo dotato del libero arbitrio, a prescindere dalla propria matrice culturale e religiosa, e che si interroga sul senso ultimo del Natale.
Non si intende offendere la sensibilità di chi vive il Natale, solo come festa calendarizzata nei giorni canonici, né chi lo esercita con l’ardore della fede. Porre domande di riflessione ad una umanità sempre più alla deriva ed esposta alla evaporazione valoriale è un obbligo per chi scrive.
Lo si deve fare coralmente e si deve dipanare come una polifonia, i cui temi, pur nella diversità delle varie linee melodiche, devono convergere sullo stesso Leitmotiv della denuncia tout court. La violenza, va denunciata, urlata, bastonata, spintonata e reclusa, quando si stratifica nel tessuto sociale con la forza, attenzione! Spesso, sotto mentite spoglie.
La scuola sin dalle elementari si dovrebbe far carico di questo compito e porlo al centro di ogni progetto pedagogico.
Le città, specie le grandi, come Roma, Milano, nelle quali vivo, sono devastate da un Disumanesimo dilagante, che si consuma in atti di violenza che definisco nera e non meno pervasiva, è quella dei cosiddetti colletti bianchi. La prima perpetrata dalla manovalanza assassina che commette ladrocinî, le maldestre truffe agli anziani, gli scippi nei mezzi pubblici, rapine, i cortei dei pro e contro, sono degenerate in tafferugli gravi con morti e feriti.
Questa è violenza fisica, oggettivamente palpabile nella cronaca quotidiana: i femminicidi, le morti sul lavoro, per incuria ed il risparmio dei mezzi di protezione del datore di lavoro e tante altre forme più o meno sottili di violenza, tra cui quella psicologica.
È imperdonabile che chi esce la mattina di casa da vivo, vi entri da morto. Si obbedisce al Dio denaro, non al progresso di una economia circolare, da cui tutti traggono dividendi.
In questi giorni le città rifulgono e riflettono lo splendore delle luminarie.
È importante l’elemento della lux nel periodo natalizio, con i simboli che l’esperienza umana, ci insegna sin da bambini: la lucerna, il fuoco, il riflesso stellare delle comete.
E non solo questi sono elementi fisici, ma si caricano di una valenza simbolica, assumendo significati più ampi e complessi.
La luce si contrappone all’oscurità e diventa emblema di verità, di conoscenza che contrasta l’oscurità dell’ignoranza e della menzogna.
Anche il giudaismo assume il simbolo universale della luce, e che il cristianesimo lo lega alla figura di Cristo, come colui che porta la conoscenza e la verità nel mondo. Ma di quale luce stiamo parlando, di quella delle luminarie della Rinascente in piazza Duomo a Milano, o il simbolo di una Rinascenza interiore, segno di un cambiamento, di conversione e di rinascita spirituale, che si rifletta nell’agire sociale.
Interiorità e socialità non devono essere due linee parallele che non si incontrano mai, ma una tangente che si interseca in più punti.
La vera luce è quella che viene dal cuore di ciascuno di noi, quella sì, che dovrebbe rifulgere con l’amore e la solidarietà umana che investe tutti i settori sociali e professionali.
Se ne analizziamo alcuni, emergono delle forti criticità. E qui parlo di violenza bianca.
Il riferimento sfiora molti punti nevralgici della società: mass media, l’etica dell’informazione, venduta alla conventicola dei partiti, o del partito di forza.
Il baronaggio nelle università, negli ospedali e ovunque esso imperi. Piaga sociale è infatti quella della sanità pubblica e di quei medici, che vengono meno al giuramento di Ippocrate, il cui scopo non è quello di avere cura della sofferenza del malato, ma di un atteggiamento di superficiale distacco, di qualunquismo – ancora peggio – se spinto dal facile guadagno, con parcelle private, talmente immorali, che determinano la linea di marcazione tra il ricco e povero. Chi ha soldi può avere accesso ad una buona cura. E gli altri avranno le cure di serie B.
Ecco il vero Natale del medico se vuol diventare testimonial del cambiamento. L’emendarsi da simili abitudini è l’ ubi consistam, da cui partire, per sentirsi parte di un rinnovamento interiore e anche politico, in una società sempre più dilatata e contrapposta in caste non comunicanti tra loro. E quelle più basse sempre più in difficoltà a salire l’ascensore sociale. E lo stesso dicasi per i funzionari corrotti, o che non evadono le pratiche, costringendo i cittadini a lungaggini insopportabili, negli uffici pubblici.
E il potere giudiziario non sempre nelle mani di giudici imparziali.
Che messaggio dà il Cristo della natività?
Si cerca di dialogare con quel Dio, di cui né si nega l’esistenza, né la si conferma, mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Ci si pone piuttosto su una posizione agnostica. Sì, c’è, forse… Il dubbio soffoca ogni afflato evangelico. Eppure il Vangelo è qualcosa di grandioso, di immenso sapere, di rivoluzionario dal punto di vista antropologico.
Non odiarsi è il presupposto per fare il bene. È una asserzione alquanto utopistica, se ciò accadesse sempre, ma distopica, non predicarla come orizzonte verso il quale guardare.
Caro Gesù Bambino, non ti accorgi che l’egemonia culturale del Paese è veramente alla deriva? Un modello ideologico distorsivo, esponenziale di una inaccettabile discriminazione, di genere, verso la donna, verso le minoranze linguistiche ed etniche – aggiungo – gli animali, oggetto di maltrattamento.
Gesù Bambino, come giustifichi la solidarietà a chi nel rap definisce la donna ” troia”, entreremmo in un agone culturale, e in una empasse, da cui sarebbe difficile uscirne. O meglio il dibattito accenderebbe gli animi sino all’insulto. La violenza nel linguaggio politico ha raggiunto ogni limite. Chi urla più forte e lancia strali, pare avere il maggiore consenso, anche attraverso la menzogna e la mistificazione dei fatti.
È da capire quale è il limite entro il quale, questo prodotto musicale e testuale (per me brutto oltre che tossico) potrebbe rientrare nell’alveo del patrimonio artistico di una nazione. E discutere se la censura, in questo caso, può esercitare un’azione di controllo sull’arte, ammesso fosse tale.
Il rap è seguito da milioni di giovani, ed è per questo, che è il momento di riflettere sulla opportunità di raccontare l’amore, la vita in genere, in modo violento, usando un linguaggio truce, crudo sessista, machista, gratuitamente brutale.
Esso è decisamente empatico e nella stessa frequenza d’onde di chi incoraggia il femminicidio di oltre cento morti nel 2023.
È il caso della morte di Giulia Cecchettin, che ha scosso l’Italia intera che dovrebbe generare un grido di allarme generale a tale deriva, contro qualsiasi messaggio discriminatorio e misogino nel mondo dello spettacolo e nella società civile.
Ho pure ribrezzo a riportare qualche testo, per capire di cosa stiamo parlando.
Le parole pesano come un macigno e possono uccidere come un’arma letale.
Sono letali quanto le immagini hard pubblicate sul web, all’insaputa della povera malcapitata, che per l’onta subita, cede al gesto estremo.
Le parole insufflano amore quanto odio e violenza, lo sapevano bene gli strutturalisti linguistici, a partire da Michel Foucalt a Roland Balthes
La parola rispetto deriva dal latino respicere che vuol dire guardare nuovamente o guardare indietro. Dovrebbe essere posta al centro di ogni progetto educativo: famiglia, scuola, parrocchia, circoli sportivi, ecc.
Ecco cosa deve diventare il Natale, un guardare in avanti e non incorrere negli errori del passato.
Guardare in quel bambinello, con lo slancio emotivo del cambiamento, di una rivoluzione copernicana che illumini il nostro cammino, con tutte le ricadute in cui si può incespare. L’uomo nella sua fragilità e finitudine è destinato a fallire e la sua forza sta proprio nel suo rialzarsi e nel superare i propri limiti.
Mi piace finire con la saggezza popolare, che in sé racchiude un messaggio universale.
Un poeta romanesco che in una poesia dal titolo “Er presepe”, così dice:
“Ve ringrazio de core, brava gente, pé ‘sti presepi che me preparate, ma che li fate a fa. Si poi v’odiate, si de st’amore nun capite gnente…_
_Pé st’amore sò nato e ce sò morto, da secoli lo spargo dalla croce, ma la parola mia pare ‘na voce sperduta ner deserto, senza ascolto_.
_La gente fa er presepe e non me sente; cerca sempre de fallo più sfarzoso, però cià er core freddo e indifferente e nun capisce che senza l’amore è cianfrusaja che nun cià valore.”
Trilussa.
In questi versi genuini, semplici ed elementari è racchiuso il senso più profondo ed intrinsecamente vero del Natale, ed è la chiave per entrare col cuore in quella culla di Betlemme, con gli asinelli e il bue, dove non c’è segno di superfetazioni esteriori, ma un alito di amore racchiuso nel senso più ampio. Leggiamo il “Cantico dei Cantici”. Un canto d’amore, di passione, ma non di un amore fuggevole. Si parla di uno sposo e di una sposa. Si tratta di un amore sublime, un amore di elezione, di scelta, un amore che, come dice il Cantico, è “forte come la morte”
E questo è il momento topico per poterlo leggere ed attuarlo.
È Natale, siamo tutti più buoni.
Buon Natale a tutte e a tutti e preghiamo per la pace nel mondo.
Il Natale è pace, è gioia e un modo diverso di guardarsi nello specchio e..
ricominciare.