Traduci

IL NIRVANA

Strettamente legato al concetto di Reincarnazione e di Karma, il NIRVANA è uno dei punti focali delle religioni buddhista, giainista e induista.

Come molte altre parole che hanno a che fare con la spiritualità, anche questa deriva dal sanscrito e significa “estinguere”, nel senso di un qualcosa che va a spegnersi.

È difficile tradurre letteralmente questo termine, dal momento che esprime un concetto inconsueto per la cultura occidentale.

In estrema sintesi possiamo dire il Nirvana è il “capolinea” della vita materiale così come la conosciamo: l’individuo ha assolto a tutti i compiti legati alle sue reincarnazioni, saldando il proprio Karma.

Ci troviamo quindi in una NON-CONDIZIONE che segna l’inizio della vita vera, quella della perfezione spirituale.

A questo livello la materia non ha più nessuna presa sull’individuo, tanto è vero che il Nirvana viene anche definito come uno stato di liberazione. Da cosa? Dalla sofferenza, qualunque essa sia.

Certo, non è una cosa che si ottiene dall’oggi al domani, spesso occorrono molte incarnazioni e una vita spirituale intensa per arrivare a liberarsi da ogni vincolo terreno. Però non è impossibile, tant’è che generazioni di uomini e donne spirituali lo testimoniano:

“Esiste o monaci, quello stato in cui non vi è terra, non vi è acqua, non vi è fuoco, non vi è aria, non vi è sfera dell’infinità dello spazio, non vi è sfera dell’infinità della coscienza, non vi è sfera della nullità, non vi è sfera della “né percezione né non percezione”, né questo mondo né un altro mondo né entrambi, né il sole né la luna. Qui, monaci, io dico che non vi è giungere, non vi è andare e non vi è rimanere, non vi è crescita, non vi è decrescita. Esso non è fisso, non è mobile, non ha sostegno. Proprio questa è la fine della sofferenza”. (Siddharta Gautama “Buddha”)

Il Nirvana è, in qualche modo, comparabile al Paradiso cristiano anche se vi sono differenze sostanziali tra l’uno e l’altro.

“Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà più il sole né alcuna arsura; perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.” (Apocalisse 7, 16-17).

E ancora: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate.” (Apocalisse 21,4)
Ciò che emerge è che, in entrambi i casi, vi è la cancellazione totale e definitiva del dolore, sia fisico che morale. Ma se nel cristianesimo ciò si realizza dopo la morte, nel buddhismo e nell’induismo può avvenire già in questa vita.

Il Nirvana – come il Paradiso – è un viaggio individuale, tuttavia NON è un luogo da raggiungere: si tratta piuttosto di uno stato coscienziale che si ottiene liberandosi da ogni attaccamento e desiderio. È proprio l’attaccamento a generare la sofferenza.

Che cosa si intende per “attaccamento”? Per usare un’immagine lo si può paragonare ad un laccio oppure ad un’ancora che ci tiene legati, immobili, prigionieri.

Non si tratta necessariamente di qualcosa di negativo: potremmo ad esempio essere legati a qualcuno da un eccessivo amore, ma è proprio nel termine “eccessivo” che sta il problema. Qualunque cosa ostacoli un’individuo nella sua libera ascesa, che sia un “vizio” o una “virtù” è sempre e comunque un attaccamento.

È facile comprendere come un sentimento negativo o un vizio possano essere di intralcio, meno evidente, invece, come lo possano essere un sentimento positivo o una virtù. L’amore, ad esempio, è un sentimento nobile e bellissimo che eleva l’anima e dà vigore al corpo. Se, tuttavia, questo amore è ossessivo e castrante, non soltanto la persona che lo offre ma anche quella che lo riceve si troveranno in una situazione di estrema sofferenza che può portare a conseguenze drammatiche.

Dove si trova, dunque, l’equilibrio? Nel superamento del legame. Se io amo, lo faccio gratuitamente e tutto ciò che ricevo in cambio è un dono. Non pretendo né mi sconvolgo se la risposta non è come me l’aspettavo. E comunque, amare non mi deve impedire di essere me stesso, di continuare a fare le cose che mi piacciono o di frequentare le persone con cui ho un rapporto di amicizia.

Quante volte abbiamo sentito l’espressione: “Rinuncio per amore”? No, non è giusto. Annullare se stessi per qualcun altro non è amore e, conseguentemente, non è un percorso che porta alla maturazione umana e spirituale. L’equilibrio non è facile ma possibile e il campanello d’allarme nasce dalla risposta – negativa – a queste due semplici domande: quanto sono felice? quanto mi sento libero?

Il senso di pace e di libertà che percepiamo è il segno certo del nostro avanzamento spirituale, oltre che della “buona salute” dei nostri sentimenti. Si sperimenta così un momento di beatitudine che è esattamente l’essenza del Nirvana, con la differenze che quest’ultimo è uno stato perpetuo e definitivo, raggiunto grazie alla rinuncia ad ogni attaccamento e ad un profondo percorso spirituale. Non più conflitti, non più dolore ma una profonda calma che nulla può più turbare.

L’etimologia del termine Nirvana – “estinzione” – fa pensare a un qualcosa di progressivo ma ineluttabile, come un un fuoco che arde nella sterpaglia ma che, poco a poco, viene domato con l’acqua.

Del resto, nella tradizione induista si chiama Nirvana anche l’azione di spegnere, a fine giornata, il fuoco sacro acceso all’interno del tempio.

Il Nirvana è la porta d’ingresso alla PACE totale, non più soggetta a fattori esterni. Esso spezza la ruota del Samsara – ovvero il ciclo di vita, morte e rinascita – a cui sono attaccati i nostri debiti karmici e, conseguentemente, la sofferenza.

Ma il Nirvana è molto più dell’assenza di dolore, è il raggiungimento del più alto grado di consapevolezza mai concepito.

Esiste il cosiddetto “Nirvana inferiore” che è legato alle scuole degli arhat, i quali praticano solo per loro stessi con lo scopo di raggiungere l’impassibilità. Il “Nirvana superiore”, invece, è dinamico e corrisponde all’Illuminazione del Buddha.

È inoltre il traguardo ultimo della pratica del Dharma, una sorta di ritorno alle origini in cui la nostra coscienza è totalmente bagnata nella consapevolezza dell’Universo creatore.

Sono tre i “fuochi” che il buddhista deve estinguere per trovare il Nirvana: la passione, l’avversione (odio) e l’ignoranza (delusione).

Anche la Bibbia – sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento – è piena di esempi che sottoscrivono questo percorso.

Tuttavia, a differenza del cristianesimo, il buddhismo non vede il “peccato” come una violazione del codice morale divino, bensì come un intralcio al raggiungimento della piena consapevolezza. Il DESIDERIO, laccio che impedisce all’anima di ascendere è invece esaltato nella Bibbia: “Trova la tua gioia nel Signore, ed egli appagherà i desideri del tuo cuore.” (Salmo 37,4). Il Paradiso, al contrario del Nirvana, è un luogo in cui i desideri vengono realizzati.

Un’altra grande differenza tra i due è che, secondo la Bibbia, nessuno può arrivare in Cielo da solo: non bastano preghiere e sacrifici per assicurarsi la salvezza. “In virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.” (Rm 3,20) In pratica l’uomo può essere solo consapevole della propria condizione ma gli è necessario un “salvatore” per essere liberato dal peccato.

Come raggiungere il Nirvana?

Le Quattro Nobili Verità descrivono i “lacci” dell’esperienza umana.

Essi sono: la Verità del dolore, la Verità dell’origine del dolore, la Verità della cessazione del dolore e la Verità della via che porta

alla cessazione del dolore. In pratica affermano come negli esseri senzienti – tra cui l’uomo – sia insita la sofferenza e spiegano come e perché questa sofferenza si produce. In poche parole, ci espongono la “malattia”.

Il Nobile Ottuplice Sentiero, invece, è la “cura” che porta alla guarigione. Si tratta di otto pratiche che, se messe in pratica, conducono al Nirvana. Esse sono: retto modo di vedere, retta intenzione, retta parola, retta azione, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione.

Queste otto pratiche vengono rappresentato visivamente dalla ruota del Dharma.

La ruota del Dharma

Come affrontare, nelle vita quotidiana, il percorso verso il Nirvana?

  1. RETTA CONCENTRAZIONE: pratica quotidianamente la meditazione perché ti offre una migliore comprensione di te stesso e del mondo:
  2. RETTA VISIONE: vedi il mondo come è veramente e non per come vuoi che sia;
  3. RETTA INTENZIONE: che il tuo modo di comportarti sia in linea con le tue convinzioni e abbi rispetto per tutti;
  4. RETTE PAROLE: non mentire, non spettegolare e non essere aggressivo. Che dalla tua bocca escano parole sincere e gentili;
  5. RETTA AZIONE: il tuo comportamento sarà consequenziale ai tuoi pensieri. Non uccidere, non rubare e vivi nella pace;
  6. RETTA SUSSISTENZA: scegli una professione in linea con le tue ideologie e che non rechi danno alle persone, agli animali e all’ambiente;
  7. RETTO SFORZO: pensa sempre positivo e impegnati in qualunque cosa tu faccia. Così facendo, ti preparerai mentalmente a praticare la piena consapevolezza;
  8. RETTA PRESENZA MENTALE: vivi nel presente, senza i condizionamenti del passato e del futuro e vedrai la realtà e il mondo così come sono veramente. È la piena consapevolezza.

Niente di trascendentale, in fondo, sono semplici regole di saggezza per una vita migliore, per sé e per il prossimo.

Ma quanto sono lontane da una concezione cosiddetta “moderna” della società! Chi vuole raccogliere la sfida?

Autore:

Data:

31 Luglio 2021