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IL POST-NUCLEARE ITALIANO E LE FONTI NON RINNOVABILI – Necessario è elaborare  per l’Italia una strategia energetica di lungo periodo

Dopo il referendum anti-nucleare l’Italia ha  rinunciato definitivamente alla fissione nucleare come fonte energetica prodotta sul suolo nazionale. La fusione nucleare sarebbe una soluzione, ma non sarà disponibile, salvo sorprese, ancora per decenni. Tuttavia la domanda di energia, a pari condizioni, continuerà ad aumentare; e tale domanda non sembra potere essere soddisfatta nel medio periodo dalle fonti rinnovabili.

Essendo oggi ipotesi irrealistiche sia un grande cambiamento nella riduzione degli sprechi di energia, sia una politica dei prezzi dei carburanti con accise fortissime tali da ridurre i consumi, sia  altre innovazioni radicali come l’uso massiccio del geotermico,  il Governo italiano deve confrontarsi con il fatto che imprese e famiglie d’Italia dipenderanno ancora per decenni dai combustibili fossili.

L’Italia è un Paese praticamente senza risorse energetiche non rinnovabili, che quindi dovrà continuare a importare. E’ necessario disporre di un flusso di combustibili fossili abbondante, sicuro e soprattutto economico In un mondo dove il combustibile va a chi più lo paga, dove sono in crescita fortissima le economie di stati extra-europei che possono pagare, dove il competitor Italia non ha nel breve periodo nessun punto di forza.

Per soddisfare questi tre requisiti sarebbe necessaria una pianificazione delle forniture con contratti di grande entità e lungo periodo; con accordi internazionali dove, date le dimensioni delle somme  coinvolte e dei fornitori, e i tempi necessariamente lunghi, una delle parti in causa  è e sarà sempre  il Governo italiano, che coordina e si coordina con gli altri soggetti italiani che operativamente realizzano detti accordi.

E’ ovvio che in Italia avrebbe dovuto  essere realizzata una ferrea politica di contenimento dei consumi evitabili, come è anche ovvio che dovrebbe  essere finanziata  al massimo la ricerca scientifica e tecnologica, ed è ancora più ovvio che avrebbe dovuto essere creata una industria tecno-energetica italiana che adesso praticamente non esiste (gran parte degli impianti fotovoltaici sono realizzati con prodotti d’importazione, anche se imprese italiane hanno tentato di investire nel settore); ma tutte queste ovvietà non renderebbero meno indispensabile un aggiornamento del  Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, oggi denominato  2030, al 2050,  soprattutto dopo le “autosanzioni” che l’Italia si è autoinflitta  rinunciando al gas proveniente dalla Federazione Russa.

L’economia italiana, già messa alle corde da politiche economiche che hanno seguito ogni possibile modello economico purché autodistruttivo e non adatto alla realtà italiana, rischia di ridursi a una economia semplicemente turistica. Peccato che un tale tipo di economia semplicemente non possa sostenere i circa 60 milioni di residenti in Italia al livello di vita attuale, e infatti il declino economico è continuo e progressivo. In tale contesto le necessità energetiche rivestono un ruolo chiave.

La elaborazione e formulazione di un Piano aggiornato   dovrebbe però essere svolta dal Governo considerando anche i contributi, se costruttivi, delle tante parti interessate.

Chi sono le controparti e   chi sono i fornitori di energie non rinnovabili? Andando per esclusione, se vogliamo forniture affidabili dovremmo scartare fin da ora quelle provenienti da aree politicamente instabili (perché l’importazione  da esse  non è sicura) che è proprio l’opposto di quel che il Governo ha in parte fatto per porre rimedio alle “autosanzioni”, o con una economia talmente in crescita che da esportatori diverranno nel medio periodo importatori, o dove sia presente un “attrattore” che semplicemente impedisce, per varie ragioni, che materie prime fluiscano lontano da sé.

Non è che le materie prime di queste provenienze non possano essere oggetto di pianificazione, abbandonate come sono ai capricci della politica e dell’economia; costituiscono però la parte aleatoria in un calcolo altrimenti deterministico; da ridurre al minimo quanto possibile.

Quindici anni fa avremmo eliminato dalle previsioni anche tutti i combustibili fossili di provenienza nord-americana perché già impegnati dagli USA (il grande “attrattore” d’America) e dal Canada, che certamente non li avrebbero esportati, a meno di un crollo dei consumi interni inimmaginabile, o di una resipiscenza dei cittadini USA dal modello di “spreco energetico” che ha reso gli USA il Paese dell’abbondanza che si conosce e che tutti vorrebbero eguagliare come livelli di vita, almeno per quanto riguarda la classe benestante generalmente raffigurata dai media; ma oggi la produzione del Nord-America, grazie alla tecnica della fratturazione (fracking), è risalita a livelli non immaginabili. E infatti l’Italia importa dagli USA parte del gas che va a sostituire quello prima importato dalla Russia, pagandolo però di più.

Eliminiamo anche quelli di provenienza cinese? Il loro carbone serve ad una economia che per decenni continuerà a crescere con l’obiettivo di  sorpassare il PIL pro-capite USA.

Dovremmo in prospettiva eliminare anche quelli di provenienza medio-orientale; sia per ragioni di affidabilità della fornitura (assai rischiosa) sia per ragioni geopolitiche (troppo vicina a zone in conflitto), e soprattutto perché subisce l’influenza del “grande attrattore” cinese. Restano altre due aree geografiche dove  trovare possibili fornitori: Federazione Russa, Africa.

L’Africa del Nord rappresenta un’area ideale dal punto di vista logistico, purtroppo ci si  scontra con instabilità politica, crescita demografica incontrollata, conflitto sulle migrazioni. Quando allo sviluppo demografico incontrollato, passato e futuro, dell’Africa corrisponderà un impetuoso  sviluppo economico, come è accaduto in Europa, avremo stabilità politica, ma difficilmente le materie prime continueranno a correre nella stessa quantità e allo stesso prezzo di adesso lungo i tubi sottomarini che attraversano il Mediterraneo. Se lo sviluppo economico tarderà quegli Stati esigeranno comunque per gas e petrolio un prezzo altissimo, che sia per la materia prima o per più immigrazione a seconda dei casi, minacciando di ridurre o tagliare le forniture agli Stati UE.

L’unica area dove esiste una relativa  stabilità politica, dove non è in atto una crescita demografica incontrollata e incontrollabile, dove anche una crescita economica intensa non creerebbe un fabbisogno tale da divorare tutte le risorse fossili interne, dove però adesso c’è il “grande attrattore” indo-cinese, è l’Europa Orientale. Che guarda caso è anche l’area dove è possibile reperire nuovi giacimenti (ad esempio nel Mar Glaciale Artico sono disponibili gli idrati di metano, materiali solidi simili al ghiaccio e contenenti all’interno molecole di metano, tutti da esplorare).

Per quanto riguarda la sicurezza non vi saranno in Europa Orientale, cessata la crisi nel Donbass, aree di instabilità politica tali da compromettere le forniture, sia perché i governi godono di una stabilità intrinseca data dal livello di civiltà raggiunto, sia perché la volontà di pace dopo i danni conseguenti alla crisi del Donbass  costituirà  un potentissimo stabilizzatore politico. Si può supporre che come l’Ucraina non ha avuto fretta di tagliare i flussi di gas dalla Russia nonostante il conflitto armato, avrà la massima fretta di ripristinarli prima possibile per riottenere i ricavi anche solo dai diritti di passaggio.

Inoltre anche l’Europa Occidentale ha tutto l’interesse, nel lungo periodo, ad essere un tutt’uno con l’Europa Orientale; altrimenti continuerà ad essere  trascurabile a livello globale. La riunificazione della Germania, che apparì nel breve periodo solo un costo, si è rivelata fonte di benefici anche economici enormi. Non considerando altre scelte politiche autolesioniste della classe dirigente europea, in quest’area il principale fattore di insicurezza può giungere solo dall’esterno, cioè da instabilità politica incentivata da processi extra- Europei come l’invasione “fredda” da Sud, ma si tratta comunque di un “rischio instabilità” molto più lontano geograficamente, e quindi in grado di produrre un minor impatto sulle forniture di quello potenzialmente proveniente dall’Africa.

Ovviamente il Governo dell’Italia dovrà attentamente da considerare, visti gli effetti delle scelte fatte dai vertici UE per la crisi nel Donbass, le scelte di “tutti”  altri Stati dell’Unione Europea, che come è accaduto si possono sia muovere contro gli interessi economici dell’Italia, sia a favore.  Si tratta di attuare una  politica “nuova”, dove l’Italia non tratti solo con i vertici UE, che sono eletti ma non rappresentativi della complessità della UE, ma direttamente con “tutti” i singoli Stati.

Purtroppo l’Italia , per le ragioni esposte all’inizio, dal punto di vista della disponibilità di risorse non rinnovabili è un anello molto debole, e quindi dovrà sempre preoccuparsene più di molti altri Stati europei.

Data:

3 Agosto 2024