Il rapimento di Aldo Moro, come si è visto in precedenza, non fu solo una azione di banda terrorista, nonostante i sospetti siano stati, nel corso degli anni, oggetto di disamine e controdeduzioni tese a sviare oppure a confermare i sussurri e le dicerie. E questo è un problema, perché in un clima di mistificazioni, vere o presunte che siano, è difficile trovare la verità. Tutto ovviamente dipende dalla mancata trasparenza, sia relativamente alle indagini sia per quanto riguarda i soggetti coinvolti, in primis i brigatisti. Molti parlano di cospirazioni inventate, di allucinazioni mediatiche, di invenzioni; però i misteri rimangono, i sospetti continuano ad aleggiare sull’intera vicenda e i suoi protagonisti.
Perché nessuno ha mai messo le carte in tavola? Perché sono state necessarie due commissioni di inchiesta parlamentare? Perché sono stati secretati i documenti riguardo alcune persone? Ad esempio, parlando di circostanze sospette, quella mattina di marzo del 1978, in via Fani, era parcheggiata una Austin Morris Mini, sul lato destro prima di un incrocio, proprio in un punto dove avrebbero potuto svicolare le auto della scorta e quella con a bordo Aldo Moro, quando si trovarono la strada sbarrata dalle automobili dei terroristi. Fin qui nulla di strano, ma poi, andando a compiere gli accertamenti di proprietà, emerse che la proprietà della vettura era di una società immobiliare, la Poggio delle Rose S.r.L., e che era stata posteggiata lì da uno dei soci della società la sera prima. Andando ancora più a fondo, è venuto fuori che la sede della società era in un palazzo dove si trovava anche la sede di una società che gestiva gli appartamenti di via Gradoli, ed in uno di questi venne imprigionato appunto Moro. Non solo: la società che gestiva gli appartamenti curava anche i conti e le società di copertura per il Sisde, il servizio segreto civile. Coincidenze, certo, ma anche benzina da gettare sul fuoco del sospetto. Tant’è vero che le indagini sui rapporti tra le due società proseguono: anche se a distanza di così tanti anni, le acque sono troppo intorbidite.
E ancora, parlando di fatti ambigui, che dire della misteriosa lettera, inviata al quotidiano La Stampa nel 2009, in cui un anonimo raccontava di essere stato a bordo della famosa moto Honda in via Fani? Una moto di cui verrà negata l’esistenza da molte persone, inclusi alcuni investigatori e giornalisti, ma che invece, stando a quanto riportato nella missiva, esisteva davvero, ed era agli ordini del colonnello Guglielmi, dirigente dei servizi segreti, su cui si sta provvedendo a passare una mano di bianchetto giustificando la sua presenza sulla scena del crimine in modi diversi. L’anonimo non era il conducente della moto, ma il passeggero, colui che sparò col mitra. Eppure, di questa apparizione mancano le prove: la moto divenne un’invenzione, e la missiva solo il frutto di un mitomane. Può essere (tutto ed il contrario di tutto può essere accaduto quella mattina!), ma l’aver nascosto alcune prove ovviamente non gioca a favore della fiducia. Un ispettore di polizia decise di credere a ciò che lesse, quando la lettera venne depositata sulla scrivania. L’anonimo citò un nome di donna e di un esercizio commerciale di Torino per consentire di risalire al conducente della moto, ma quegli indizi non bastarono all’ispettore Enrico Rossi per aprire le porte che gli si chiudevano davanti, nonostante i progressi nelle indagini.
L’ispettore prosegue, rintraccia un uomo che potrebbe corrispondere alla descrizione usando quei pochi elementi che ha disposizione, ne perquisisce l’abitazione e la cantina, dove, in un armadio, trova una pistola mitraglietta (dalla moto spararono con un mitra). Pistola poggiata vicino a una copia de La Repubblica del 16 marzo 1978 avvolta nel cellophane, il cui strillo era “Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse”. Casualmente, in quella cantina arrivano anche i Carabinieri, chiamati da sconosciuti, e successivamente l’arma viene consegnata alla Digos di Cuneo. All’ispettore viene negata anche la possibilità di interrogare il proprietario dell’arma, che morirà nel 2012, lo stesso anno in cui l’ispettore Rossi va in pensione. I misteri del rapimento di Aldo Moro permangono, anche se qualcuno cerca di convincere l’opinione pubblica dell’inesistenza di oscure manovre nell’ombra. La stessa ombra che avvolgeva la stanza in cui venne effettuata una seduta spiritica da personaggi influenti dell’epoca, tra cui Romano Prodi, e in cui venne fuori il nome Gradoli.