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Il ricollocamento dei migranti

cms_17114/apertura.jpgIn tempi di epidemia lo spettro delle migrazioni è ancora più temuto che in altre situazioni, per ovvie ragioni, sicché la chiarezza sul meccanismo di ricollocamento tra gli Stati può servire quanto meno ad evitare ulteriore confusione organizzativa a chi, per cattiva comprensione delle regole o per aperta malafede, non sa o non vuole comportarsi in modo responsabile. Uno spunto in questa direzione lo offre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza 2 aprile 2020, che trovate in allegato. Pesante è la stigmatizzazione delle iniziative di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca intorno alla temporanea ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale. Le amministrazioni statali interessate, a parere dei Giudici, si sono sottratte alla esecuzione delle ricollocazioni appellandosi in modo illegittimo alle prerogative in tema di ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna, nonostante precedenti decisioni del Consiglio che avevano indicato criteri rigorosi per ricollocare obbligatoriamente ben centosessantamila richieste di protezione internazionale, partite dalla Grecia e dall’Italia. La disponibilità dichiarata della Polonia riguardava, infatti, solo cento persone, e nemmeno erano seguiti comportamenti pratici. Nessuna comunicazione dall’Ungheria e, per quanto riguarda la Repubblica ceca, la disponibilità dichiarata era stata per cinquanta persone. La Corte si è espressa in particolare sulle motivazioni addotte dalla Polonia e dalla Ungheria, le quali, per giustificare il loro atteggiamento, si erano richiamate all’art. 72 del Tfue (Trattato sul funzionamento della UE), e cioè alla deroga sulla ricollocazione per il mantenimento dell’ordine pubblico e per la salvaguardia della sicurezza interna, decretandone il debole spessore. Una “foglia di fico”, a parere della CEDU, che ha malcelato atteggiamenti determinati da interessi decisamente non in linea con i principi ispiratori della unione Europea. Va la pena leggerla non per dare addosso a qualcuno, ma a un qualcosa. Qualcosa di molto pericoloso: il sentirsi parte di un gruppo solo quando c’è da raccoglierne vantaggi.

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18 Aprile 2020