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IL “ROCCI”

Ci sono libri che danno la meritata celebrità ai loro autori e ciò anche se sono scritti unicamente per la personale passione del narrare.

E poi ci sono libri per i quali i loro autori hanno dedicato la vita con il solo scopo di donare ad altri i frutti del proprio impegno senza alcuna mira autoreferenziale. Paradossalmente questi ultimi nella loro fortunata “vita”, che li porta ad essere venduti in milioni di copie perchè utili per i loro contenuti, finiscono con il disperdere ogni traccia biografica di chi li ha scritti investendo anni di studio e di lavoro, spesso in condizioni difficili, per consegnare alla Storia opere di incomparabile grandezza.

Un esempio? 

Basta dire semplicemente “il Rocci” e  il pensiero di generazioni di studenti e professori italiani del liceo classico va all’omonimo Dizionario della lingua greca, croce e delizia degli studenti, strumento indispensabile di studio e di lavoro per professori e grecisti. Il “Rocci”, 2074 pagine e 4.148 colonne, in un volumone del peso di 3 chilogrammi, composto di circa 150.000 parole con relative traduzioni ed esempi, è un’opera straordinaria (scritta a mano: foglietto per foglietto, parola per parola, ricercando e trascrivendo lemmi e citazioni) che non tutti sanno essere stato frutto di un lavoro durato venticinque anni condotto con il solo ausilio di schede dattiloscritte e appunti. Un lavoro immane pensato in un’ epoca in cui era dominante la lessicografia tedesca e alcuni lessici etimologici francesi e inglesi.  

Ai tempi del suo autore, il miceneo non era stato ancora decifrato (la sua decifrazione sarebbe avvenuta solo nel 1952, due anni dopo la sua morte) e la linguistica comparata come scienza muoveva i primi incerti passi. La grammatica in uso in gran parte d’Europa era ancora la Griechische Schulgrammatik di Curtius (Praga 1852), diffusa in Italia nella traduzione di Müller del 1887, riveduta e corretta solo nel 1943 da Taccone (uno strumento decisamente inadeguato alla luce dei più recenti progressi della glottologia e della linguistica, limitato soprattutto da una conoscenza imperfetta della fonetica e da un’ignoranza pressoché totale dell’apofonia).

Questo era dunque lo scenario che si prospettava a Padre Lorenzo Rocci quando intraprese la sua grande missione lessicografica. Una missione che sentiva di dover condurre  in quanto la lingua greca, divenuta  oggetto di studio con la  legge Casati del 1859 istitutiva del liceo classico, era stata  estesa al neonato Regno d’Italia.

Il primo dizionario greco-italiano ad avere un’ampia circolazione nelle scuole del Regno era stato  il Vocabolario greco-italiano per uso dei ginnasi, versione italiana del vocabolario greco-tedesco di Karl Schenkl, realizzata da Francesco Ambrosoli ed edita a Firenze e a Torino nel 1866.

Classicista convinto anche se non integralista, l’Ambrosoli, autore eclettico, capace di spaziare dalla storiografia latina alla critica letteraria ma ridotto in  una condizione economica prossima alla miseria si era cimentato nel progetto di un dizionario di greco. Il ministro austriaco, il conte Leo Thun e Hohenstein, per salvarlo da un’immeritata indigenza, lo convocò a Vienna e gli propose di realizzare la versione italiana del vocabolario greco-tedesco di Karl Schenkl. Il Vocabolario greco-italiano per uso dei ginnasi a cura di Francesco Ambrosoli, pubblicato in prima edizione a Vienna nel 1864, apparve subito come un validissimo strumento da impiegare nella nascente scuola italiana.

A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, tuttavia, l’Ambrosoli subì la concorrenza di altri vocabolari. Di questi il primo ad apparire, presso l’editore Morano di Napoli nel 1880, fu il Dizionario greco-italiano di Benedetto Bonazzi, monaco benedettino campano, nonché grecista, filosofo, oratore e insegnante di lingue classiche presso la scuola della Badia cavense.

Il suo dizionario ottenne un enorme successo attestato dalle venticinque edizioni che di esso furono realizzate dall’editore Morano di Napoli fra il 1880 e il 1927.

Dopo la venticinquesima edizione il dizionario cominciò, tuttavia, ad apparire non più proponibile nella sua versione originale, essendo state nel frattempo superate molte delle posizioni di linguistica comparativa ed etimologica ivi sostenute e presupposte.

Nel 1881 un altro dizionario, il Vocabolario greco-italiano compilato ad uso delle scuole di Tommaso Sanesi, un grecista già affermato quando la sua opera lessicografica,  in concorrenza con l’opera di Bonazzi, dalla quale si differenziava per le minori pretese linguistico-etimologiche, ebbe un discreto successo nei licei. Nessuno sarebbe sopravvissuto all’egemonia indiscussa che avrebbe conquistato  il  Vocabolario greco-italiano di Lorenzo Rocci, apparso nel 1939 e, in successive edizioni, nel 1941 e nel 1943, il primo dizionario di greco antico integralmente concepito in lingua italiana.

Infatti, mentre le opere lessicografiche precedentemente in uso erano ancora basate, in modo più o meno diretto, su modelli stranieri, soprattutto tedeschi (in misura minore francesi e inglesi) o erano addirittura traduzioni, riduzioni o adattamenti di dizionari tedeschi, il Rocci fu il primo ad essere composto in modo sostanzialmente autonomo dalla lessicografia straniera, pur tenendo conto dei progressi da essa compiuti.

Ma chi era Lorenzo Rocci?

Lorenzo Rocci, nato a Fara Sabina (RI) l’11 settembre 1864 da Domenico ed Eustochio Corradini e fratello maggiore di Filippo, esponente di spicco della fotografia pittorialista del ’900, era un  gesuita. Nella Compagnia di Gesù entrò appena sedicenne, dopo un’esperienza presso il Seminario vescovile di Anagni. Emise i primi voti il 21 ottobre 1882 per poi continuare nell’apprendimento delle discipline letterarie a Roma e Castelgandolfo.

Negli anni 1885-1887 attese agli studi di filosofia presso lo scolasticato romano in via Giulia e la Pontificia Università Gregoriana. Ordinato sacerdote a Cortona il 26 luglio 1892, l’anno seguente si laureò in lettere presso l’allora Regia Università di Roma, discutendo  la tesi di laurea davanti a una commissione esaminatrice di cui era componente anche Giosuè Carducci.


A prova ultimata il poeta, noto per il suo anticlericalismo e l’adesione alle istanze massoniche, invitò il neo-laureato ad abbandonare «la tonaca. Lei è degno di avere una cattedra in università». Cosa che ovviamente Lorenzo Rocci non aveva minimamente intenzione di fare.  

Il 15 agosto 1899 emise i tre voti di povertà, castità e obbedienza in qualità di coadiutore spirituale nel Nobile Collegio Mondragone ai Castelli romani, dove era stato assegnato di comunità.

Presso il collegio tuscolano Rocci avrebbe ancora risieduto dal 1903 al 1920 – con la breve parentesi di docenza presso l’Istituto Massimo di Roma nel 1902 – come professore di greco e latino e dal 1939 al 1946 come preside. I 19 anni, che vanno dal ’20 al ’39 con permanenza presso la comunità romana di Palazzo Borromeo in via del Seminario (che fino al 1930 fu la sede della Pontificia Università Gregoriana e del Collegio Romano), lo videro impegnato come confessore della casa e, dal 1926 in poi, della cappella universitaria di Sant’Ivo alla Sapienza.

Incarico, questo, che avrebbe espletato insieme con Giovanni Battista Montini (il futuro Paolo VI) e Mariano Rampolla del Tindaro, sottosegretario della Congregazione per i Seminari e insigne studioso di sanscrito, già maestro di latino e greco di Salvatore Quasimodo e mentore di Giorgio La Pira. Ammesso all’Arcadia il 27 marzo 1920 col nome di Iperide Menalio, fu in seguito anche ascritto all’Accademia dei Virtuosi al Pantheon.

Ma i diciannove anni romani furono soprattutto contrassegnati dalla febbrile messa a punto del vocabolario, dalle traduzioni a stampa dei primi sei libri dell’“Odissea” e dell’“Antigone” di Sofocle, dalla pubblicazione de “La Sintassi latina”, del “Trattato di prosodia e nozioni di metrica latina”, del “Trattato di metrica oraziana”, degli scritti di agiografia gesuitica e, soprattutto, delle “Nuove favole latine in versi senari secondo la maniera di Fedro”. Raccolta, quest’ultima, che è giustamente considerata il capolavoro in latino di Rocci.

La realizzazione di un simile volume all’epoca di Rocci doveva davvero rappresentare un’impresa titanica, e non solo per la già rilevata assenza di opere analoghe originariamente concepite in italiano, ma anche perché la strumentazione disponibile era estremamente esigua, se comparata con le vastissime risorse oggi offerte da repertori e sussidi elettronici.

L’aneddotica vuole che Padre Rocci si avvalesse solo di schedine e appunti manoscritti, accuratamente predisposti da lui medesimo o da pochi selezionati collaboratori, attingendo per il resto alla propria sconfinata erudizione e inesauribile memoria.

Tali erano l’impegno e lo sforzo intellettuale richiesti da un’impresa tanto importante, che – si racconta – egli spesso dimenticava persino di soddisfare le più elementari esigenze vitali. I suoi allievi ricordano infatti di averlo visto indossare il cappotto in pieno agosto, e l’immagine del dotto gesuita immerso nell’immane opera, noncurante dei bisogni alimentari e indifferente alle condizioni climatiche.

Il 1939 fu comunque per il gesuita grecista l’anno della prima edizione del suo monumentale vocabolario, che all’apparire soppiantò subito per accuratezza e completezza i precedenti lessici.

Ne ricevettero una copia, rilegata in pelle bianca, papa Pio XII, re Vittorio Emanuele III, il presidente del Consiglio e lo stesso Mussolini. Il neopontefice – Pacelli era stato eletto il 2 marzo 1939 – inviò a Rocci un lungo messaggio autografo di ringraziamento ed elogi. Lorenzo Rocci si spense il 14 agosto del 1950.

Per cinquant’anni, di fatto, c’è stato solo «il Rocci» fino a quando, nel’ 95, uscì da Loescher «il Montanari», noto anche come «GI».

E’ la Società editrice Dante Alighieri, che pubblica il Rocci, a riportare le parole del grande grecista e filologo Franco Montanari, docente a Genova: «Il debito verso Rocci è indiscutibile perché è stato il frutto del lavoro di un uomo armato solo di schedine e appunti e privo di un computer. Un opus magnum incredibile. Si pensi che per realizzare il mio dizionario hanno collaborato circa 30 ricercatori».

Anche all’aggiornamento del Rocci, nel 2011, ha lavorato del resto una squadra di 15 studiosi ed esperti.

Delle ultime ore dell’ottantaseienne Lorenzo Rocci resta il ricordo del confratello Franco , che, morto nel 2010 anche lui al Gesù, fu preside dell’Istituto Massimo negli anni in cui Mario Draghi vi frequentò ginnasio e liceo.

Un successo enorme quello del “Rocci”, dunque. Ma allora, qualcuno si chiederà, i proventi delle vendite stratosferiche del testo portarono danaro al suo autore? Padre Rocci volle che  i diritti d’autore del suo vocabolario andassero a sostenere finanziariamente le attività missionarie e gli studenti poveri.

Come studentessa del liceo classico tanto debbo al mio “Rocci”. Lo custodisco con la devozione che si deve alle cose care. E’ nella libreria del mio studio tra i testi più importanti, nella veste tipografica rinnovata dopo essere stato il prezioso strumento per tradurre il greco di mia figlia nel corso dei suoi studi liceali. Grazie, Padre Lorenzo Rocci.

La puntata settimanale del mio programma radiofonico Storia&Storie sarà dedicata allo straordinario Rocci e al suo autore.

Ricordo che il mio programma radiofonico settimanale in onda in diretta martedì alle 12.15 e, in replica, giovedì p.v. alle ore 17.30 su RadioRegional (AM – Onde Medie sulla frequenza 1440 kHz o al link: https://www.regionalradio.eu/onair/shows/storia-storie/

In podcast al link: https://www.regionalradio.eu/onair/podcast/storiaestorie/

Data:

24 Febbraio 2025

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