L’emancipazione delle donne nel corso degli anni è passata anche attraverso la moda, perché la moda non è solo l’effimero uso e consumo di abiti o quello di dispensare tendenze, ma è anche una lotta attraverso simboli che nel tempo hanno reso le donne libere dall’abbigliamento scelto per loro dagli uomini. Sono fermamente convinta che la moda non è solo materia per “personcine frivole”, ma un veicolo immediato per rappresentare se stesse, la società in cui viviamo e lavoriamo, i suoi status symbol e perché no, un efficace strumento di lotta per cambiare quello che non ci piace nel modo di pensare che ci circonda.
Sin dalla notte dei tempi gli abiti sono stati uno strumento di costrizione delle donne: busti, pizzi e crinoline dovevano proiettare l’immagine di una donna che doveva essere solo ammirata alla stregua di un bel soprammobile, ma che poteva e doveva fare ben poco. Quando nel novecento arriva la più rivoluzionaria dei designer, Coco Chanel la musica cambia, le donne iniziano a lavorare, a fare sport, a pretendere di essere femminili, ma anche comode e Coco Chanel è la prima a raccogliere il grido di cambiamento accorciando le gonne, portando nel guardaroba femminile i pantaloni, le linee pulite e maschili, facendo tagliare i capelli alle donne “alla maschietta” abbandonando così quelle inutili e complicate acconciature che servono solo a far perdere tempo alla toeletta quotidiana delle donne. Porta un dettaglio sconosciuto nell’outfit di una donna: le tasche, che incredibile, ma vero un abito da uomo nei primi del novecento poteva annoverare quindici tipi di tasche, una per ogni esigenza, per contenere soldi, chiavi, porta sigarette, biglietti da visita o attrezzi da lavoro. Gli abiti delle donne non prevedevano le tasche perché loro non avevano mansioni lavorative, a loro bastava solo una minuscola borsetta, illuminanti le sue parole: “…fino a ieri abbiamo vestito donne inutili, oziose, donne a cui la cameriera doveva infilare le maniche, invece oggi abbiamo una clientela di donne attive e una donna attiva ha bisogno di sentirsi a suo agio nel proprio vestito. Bisogna potersi rimboccare lemaniche.”
Oggi la designer emblema dell’emancipazione femminile è Maria Grazia Chiuri che dopo aver lasciato la direzione creativa della maison Valentino è andata alla guida, prima donna in assoluto, della storica e grande maison francese come Dior portando e apportando una “Dior revolution” nel fashion system. Le sue collezioni sono un continuo tributo alle tante sfaccettature della femminilità, una continua ricerca di rappresentare in modo più veritiero e fedele ai tempi moderni di cosa sono e come vogliono essere le donne di oggi. La designer ha sempre dichiarato di sentirsi orgogliosa di essere cresciuta negli anni settanta, anni di forti lotte di emancipazione femminile e di essere definita una femminista tanto da scriverlo sulle t-shirt (we should all be feminist) sempre presenti nelle sue collezioni, sempre pronta attraverso i suoi capi come sono state le divise dei schermitori portate in passerella a rivoluzionare gli stereotipi che avvolgono le donne, perché secondo la designer le divise dei schermitori hanno avuto il potere di annullare le differenze sessuali e di avere una forte valenza emancipatrice.
Le donne nel corso degli anni hanno usato la moda e i suoi emblemi per combattere la cultura costrittiva come è stato nel sessant’otto dove le donne hanno portando in piazza i loro reggiseni come simbolo di protesta contro la cultura maschilista di quel tempo. Può sembrare che sia passato tanto tempo e può sembrare che oggi le donne non abbiano più bisogno di affermare i loro diritti ormai acclarati, ma così non è in ogni parte del nostro pianeta, oggi le donne continuano a servirsi della modo e dei loro outfit per protestare contro chi vuole ancora oggi costringerle in ruoli precisi, tarpare le loro aspirazioni, soffocare la loro libertà o banalmente solo scegliere di vestirsi come gli pare e piace senza per questo rischiare anche la vita.
Le donne saudite hanno escogitato un creativo escamotage per portare avanti la protesta contro l’obbligo di indossare l’abaya, la lunga veste nera che prevede solo una piccola apertura per agli occhi, che devono indossare con qualsiasi temperatura e che impedisce loro come ha scritto una donna saudita su Twitter una cosa scontata per tutte le donne del mondo: di sentire il vento sulla pelle! Le saudite hanno così deciso dopo un tamtam nato su Twitter di indossare l’abaya al rovescio, una protesta silenziosa ed ingegnosa come solo le donne sanno essere che evita loro qualsiasi ripercussione della polizia islamica, ma che sta facendo molto rumore in tutto il paese. Le foto di donne che indossano la lunga veste al rovescio con hashtag insideoutabaya sono diventate virali ricevendo tantissime condivisioni, era solo lo scorso marzo quando il principe Mohammed Bin Salman era apparso al mondo e alle saudite come una speranza di liberazione delle donne permettendo loro di poter guidare, di poter frequentare luoghi di aggregazione come gli stadi e i cinema e affermando che indossare la lunga veste nera non era più obbligatorio. Purtroppo è stata solo una cocente illusione, un contentino buttali lì ad arte per gli alleati americani che spingevano sulle riforme che avrebbero dato un volto più umano ad uno degli stati più integralisti, le donne saudite gridano con forza attraverso Twitter che alle parole non sono seguiti i fatti, che nonostante non sia obbligatorio indossare l’abaya la polizia continua a fermare e in molti casi ad arrestare le donne che per strada non la indossano. A fronte delle sbandierate riforme le donne saudite continuano ad essere arrestate, uccise o, nel migliore dei casi, ad essere pesantemente redarguite dagli uomini quando decidono di andare semplicemente al cinema o entrare in un bar per bersi un caffè da sole senza un uomo della loro famiglia che le accompagni. Anche il caso Khashoggi (giornalista dissidente ucciso come molte fonti sostengono proprio per volere del principe saudita) ha incrinato le speranze delle donne saudite per una società saudita più emancipata e a favore delle donne, la strada è ancora lunga e lastricata di grandi pericoli, ma la resilienza delle donne saudite sarà indomita, creativa e sempre più ingegnosa promettono le attiviste e secondo me anche una lunga e triste veste nera indossata al rovescio può fare la differenza, può silenziosamente gridare l’opposizione alla Sharia che ogni giorno calpesta la libertà delle donne di vestirsi come vogliono.
Il designer che una ne fa e cento ne pensa, Stefano Gabbana ne ha combinata un’altra, ma questa volta le ripercussioni sulla maison Dolce&Gabbana e non solo potrebbero essere davvero pesanti. La Cina è considerato il mercato più appetibile degli ultimi anni per il fashion system ed è per questo che la bufera che ha coinvolto la maison italiana sarà un duro colpo anche per l’intero Made in Italy. Sono le inevitabili ripercussioni sull’intero fashion system che proprio non riesco a perdonare al designer, perché se all’suo per così dire disinvolto dei social da parte del designer siamo ormai avvezzi è inammissibile che a farne le spese sia l’intero mondo della moda che è fatto da tantissime persone che lavorano a testa bassa senza perdersi in inutili e deleteri cinguettii.
Il caso è scoppiato dopo che la maison ha diffuso tre video pubblicitari per promuovere il mega fashion show che doveva svolgersi nella città di Shanghai dove si vede una modella cinese che cerca di mangiare un piatto di spaghetti, una pizza e un cannolo siciliano usando le tipiche bacchette e con una voce maschile in sottofondo che sussurra alla ragazza: “è troppo grande per te?”. Immediatamente la maison è stata inondata da accuse di razzismo e sessismo, accusati di riproporre un’immagine vecchia e stereotipata della Cina fatta solo di musichette stupide e lanternette rosse, ma il carico da novanta arriva proprio dal profilo Instagram del designer Stefano Gabbana dove appaiono messaggi del seguente tenore: “Cina ignorante, mafia sporca e puzzolente”, “…d’ora in poi dirò in tutte le interviste che faccio che la Cina è un paese di merda e che può stare tranquilla, viviamo benissimo senza di lei!”, “…se i cinesi si sono offesi devono ricordarsi che mangiano i cani, sono loro a essere inferiori e non Dolce&Gabbana a essere razzista”. La reazione dei cinesi è stata implacabile e a niente è valso la replica del designer che afferma: “siamo stati hackerati”, quelle parole non sono le mie, infatti sono stati ben otto dei più importanti siti di e-commerce cinesi che hanno deciso di non vendere più i prodotti della maison, con la notizia che viene rilanciata da tutte le principali agenzie di stampa nazionali ed internazionali e con la boutique di Pechino che viene presidiata dai militari per timore di ripercussioni. Un altro duro colpo per Dolce&Gabbana che arriva subito dopo essere stati costretti a cancellare il grande evento fashion di Shanghai che prevedeva una sfilata con cinquecento capi in passerella, cento eventi per un’ora di show che avrebbe allietato millecinquecento invitati. I clienti vip subito dopo la diffusione dei messaggi si sono apprestati a prendere le distanze dalla maison e a rescindere qualsiasi rapporto di collaborazione, il popolare cantante e attore cinese, Wang Junkai ha dichiarato di voler tagliare qualsiasi rapporto con Dolce&Gabbana con queste lapidarie parole:” la madre patria di ognuno sta al di sopra di tutto”. La cantante Ariana Grande ha smesso di seguire l’account ufficiale della maison e sono moltissimi gli utenti che hanno postato foto e video in cui si mostrano intenti nel fare a pezzi i capi, a bruciarli o usati come stracci per lavare il pavimento. L’hashtag “boycottDolce” è diventato il più popolare in tutta la Cina e non solo, perché gli effetti di questa bomba si stanno propagando anche in Europa e negli Stati Uniti, anche in Italia davanti ad alcune boutique del brand ci sono state delle proteste e per il Made in Italy si prevedono tempi duri. Anche l’influencer Chiara Ferragni commenta l’accaduto sull’account Instagram di Diet Prada con la parola karma seguita da due cuoricini, come è noto tra l’influencer e i due designer non corre buon sangue, lei non ha mai presenziato ad una loro sfilata e né tantomeno ha mai indossato un loro abito, Stefano Gabbana non le ha mai risparmiato frecciatine e liquidando il suo abito da sposa con un gelido cheap. L’influencer non ha mai risposto alle provocazioni, ma si si sa la vendetta è un piatto che va servito freddo e in taluni casi può dare grandi soddisfazioni.
I due designer messi alle corde si giocano l’ultima carta nel disperato tentativo di salvare la reputazione della maison sul mercato più importante per il comparto luxury postando sul sito cinese Weibo un video intitolato: “Dolce e Gabbana si scusano” dove appaiono in maglioncino nero in pendant con i loro volti tiratissimi che mi rievocano due prigionieri dell’Isis che cercano di rassicurare le loro famiglie, la convinzione è la stessa, pari a zero, anche lo sfondo è inquietante, da film horror, fossi in loro rivedrei il reparto marketing. Inizia Domenico Dolce con le seguenti parole: “abbiamo ripensato tantissimo, con grande dispiacere a quello che è successo e che abbiamo causato nel vostro paese e ci scusiamo tantissimo. Le nostre famiglie ci hanno sempre insegnato a rispettare le varie culture di tutto il mondo e per questo vogliamo chiedervi scusa se abbiamo commesso degli errori nell’interpretare la vostra”. Poi tocca a Stefano Gabbana prendere la parola:” faremo tesoro di questa esperienza e sicuramente non succederà mai più, anzi proveremo a fare di meglio, rispetteremo la cultura cinese in tutto e per tutto”. Il video termina con le scuse pronunciate in cinese da entrambi i designer: “dal profondo del cuore vi chiediamo scusa, duibuqi”. Sarà sufficiente un minuto e trenta secondi di scuse a far tornare l’amore dei cinesi per la maison? E’ stata scritta la parola fine su questo increscioso episodio? Il fashion system è in fibrillazione ed aspetta con ansia la reazione dei maggiori siti di e-commerce cinesi, torneranno a vendere i prodotti della maison dopo averli banditi? Ma soprattutto si attende la reazione più importante, quella dei clienti del celeste impero che sui loro profili Instagram si erano definiti per sempre ex, cambieranno idea? Di certo si sa che l’affaire Dolce&Gabbana è stato un boomerang che è costato alla maison perdite per decine di milioni di euro e che ci saranno inevitabili conseguenze per l’intera filiera del Made in Italy.