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IL RUOLO DEGLI INTELLETTUALI – IV^ Parte

La funzione degli intellettuali oggi. La democrazia e il futuro

Lo sradicamento radicale del futuro e del presente come progetto e come speranza, impongono una urgente revisione di un modello di democrazia che non si basa sul consenso, né sul contratto sociale, né sulla giustizia sociale, ragionando sia sulla ricostruzione della democrazia, che sul nuovo. tipo di soggettività che si sta formando, in questa società globale, ineguale e ingiusta, teoricamente pluralista e solo formalmente democratica.

In un mondo che è determinato dalla validità di un modello economico neoliberista già pesantemente in crisi, filosoficamente sostenuto dal pensiero postmoderno, questo discorso, qualsiasi discorso – socialmente ed economicamente – si è sgretolato ed è quindi necessario arrivare ad abilitare altri discorsi in senso trasformativo, recuperando l’idea-valore della democrazia. È necessario adottare un discorso e un tipo di azione socio-politica che favorisca la costruzione di un’etica politica di libertà e uguaglianza, contro la marginalità, la povertà critica e il degrado economico-sociale, aprendo nuovi spazi democratici. Con Bourdieu e Castoriadis si potrebbe affermare che ogni sistema simbolico non riflette semplicemente una struttura di potere, ma stabilisce l’immaginario sociale attorno al quale cerca di articolare la pratica sociale, generando consenso e impegno, che determinano un modo di vedere il mondo.

Nel degrado di una “etica dell’impegno”, della libertà sociale e politica, della memoria, della storicità e del rapporto con l’altro, in particolare nel mondo occidentale e in tutto il mondo globalizzato, il tentativo di giungere a cambiamenti radicali è sempre più fragile. Da questo punto di vista, sulla necessità di riflettere sui problemi che ci assillano, “intellettuali sarebbero tutte le persone che, di fronte a qualsiasi nucleo di problemi, fossero disposti a riflettere collettivamente o individualmente su di essi”, articolando gli elementi contraddittori presenti nella realtà. (H. González, Intellettuali, cultura e potere, in Topía Magazine, agosto 2012)

cms_31377/Horacio_González.jpgIl sociologo argentino Horacio González si chiede: “La vita intellettuale fa parte del senso comune di una società o ha un’istanza differenziale?” Se in González l’intellettuale sembra essere un segmento relativamente separato dal sapere comune, Gramsci cerca di costruire un atteggiamento concreto che esprima quel tipo di l’intellettuale, che non capitola davanti al buon senso, né rinuncia a educare le masse: “Gli intellettuali che diventano dirigenti, possono riorientare il senso comune in senso anticonformista e trasformativo, sviluppando i nuclei di buon senso che esso alberga, come spiragli di pensiero critico, capaci di articolarsi a favore di una vera ‘riforma intellettuale e morale’”.

Creare storicamente un’avanguardia di intellettuali dà coesione e omogeneità all’organizzazione di massa: “Una nuova situazione storica crea una nuova sovrastruttura ideologica, i cui rappresentanti – gli intellettuali – devono essere concepiti anch’essi come `nuovi intellettuali`, nati dalla nuova situazione e non come una continuazione della precedente intellighenzia”. (Gramsci, Quaderni, III). Dal punto di vista delle classi subalterne, la creazione di una propria organica intellettualità è legata alla formazione del partito, il principe moderno, in cui tutti i suoi membri assumono, in un certo senso, un compito intellettuale, in termini di organizzazione e direzione.

cms_31377/György_Lukács.jpgMa se questa è la funzione dell’intellettuale organico, in una situazione diversa, qual è la funzione dell’intellettuale oggi? Sembra che si possa accettare l’idea di Lukács secondo cui la vita intellettuale è sostenuta da una “etica di sinistra” che vuole e può affrontare ogni condizione plurale del pensiero umano, senza che l’intellettuale sia necessariamente arruolato all’interno di un partito o di una “corporazione di intellettuali”, poiché, se ci sono dispute sociali, sono costruite su diversi orizzonti di espressione intellettuale.

Mentre Gramsci rimprovera il pensiero critico di non aver saputo creare un’unità ideologica tra il “basso e l’alto”, tra i “semplici” e gli “intellettuali”, reprimendo gli impulsi autonomi dei propri intellettuali, Horacio González si dichiara d’accordo di “intervenire nella cosa pubblica con senso di giustizia, e anche scrivere della stessa condizione intellettuale”, come fece Gramsci. “Tutti devono parlare, tutte le relazioni sociali entrano in tensione e un unico dilemma etico divide la comunità nazionale. Terreno ideale per la manifestazione dell’intellettuale isolato, che fa appello alla sua coscienza generica su ciò che è tollerabile e intollerabile in una società”.

In González sembra avere ancora un senso l’intellettuale isolato, “esemplare selezionato di uno spirito violato”: “L’idea di mettersi al centro del mondo per analizzare, prevedere e lavorare sulla crisi del dominio imperante, o di porsi in un deliberato anacronismo estetico per fare dell’intima coscienza la sede di quella stessa opera contro la pulsione del dominio, mi sembrano altrettanto rispettabili – dichiara González. Gli intellettuali sono l’effetto di questa crisi, ma se diamo molta importanza alla nozione di intellettuale, possono esserne anche la causa”.

Questa affermazione sembra essere di particolare rilevanza in relazione al ruolo dell’intellettuale, a sua volta causa ed effetto della situazione di dominio e delle crisi attuali. Rosenvallon, in relazione al ruolo dell’intellettuale in Europa, dichiara: “Per uno come me che si riconosce di sinistra, non vedo la differenza che la sinistra sia al potere o meno, il mio obiettivo è sempre lo stesso, produrre lucidità e mettere a disposizione una cassetta degli attrezzi per comprendere la società e che a sua volta permetta di comprenderla in modo tale da poterla controllare. Per me il vero intellettuale è colui che fornisce strumenti di intelligibilità, di comprensione”. (Intervista, rivista Ñ, Buenos Aires, 24.12.2012)

Il ruolo dell’intellettuale non consiste solo nel dare fiducia, ma nel dare all’individuo la possibilità di controllare la propria vita permettendogli di comprendere meglio ciò che accade intorno a lui, fornendogli strumenti di comprensione oltre che di azione. Da questo punto di vista il movimento degli “Indignados” di qualche anno fa, è perfettamente comprensibile; il problema è che bisogna avere l’intelligenza della propria indignazione. Gli indignati esprimono un sentimento viscerale, un sentimento vitale, ma non sempre hanno gli strumenti di analisi e soprattutto di azione. Nell’indignazione dei movimenti di protesta occidentali, che esprime un movimento massiccio e potente, è necessario dare all’indignazione i mezzi di analisi e di azione.

Se la democrazia ha sempre aspirato a creare una società di eguali, la democrazia non può essere concepita esclusivamente sulla base delle sole istituzioni rappresentative; Se si basa esclusivamente sui principi maggioritari e sul conflitto tra i partiti, la socialdemocrazia viene dimenticata, in una società che non è solo di individui. Per questo la democrazia è un progetto mai realizzato, poiché risignifica e attualizza le esperienze comuni degli uomini. Nel caso degli indignati, rendere il mondo più intelligibile e quindi più malleabile è – a nostro modo di intendere – al centro della contestazione, cioè nella costruzione di nuove forme di uguaglianza, arrestando la ritirata delle classi contro i grandi interessi del capitale globalizzato.

Se nel mondo capitalista l’idea delle “pari opportunità” si è imposta fin dagli anni ’90, questa idea porta prima a dissociare giustizia distributiva e giustizia redistributiva, relegando e delegittimando le azioni propriamente redistributive dello Stato. Infatti, l’idea delle pari opportunità finisce per consacrare la disuguaglianza, fondando una teoria della giustizia come teoria delle disuguaglianze legittime, limitandosi alla formulazione delle condizioni per una distribuzione della ricchezza ritenuta equa. In una società occidentale, dove gli amministratori di grandi aziende guadagnano in certi casi in un rapporto di 1 a 1.000, rispetto allo stipendio del lavoratore, ciò ripropone la questione sociale, la giustizia redistributiva e in generale la necessità di “organizzare 6l’indignazione”, in una società della sfiducia, dove la legittimità elettorale dei governanti è stata dissociata dalla legittimità delle loro azioni.

Allo stesso tempo, se nel mondo occidentale le classiche politiche redistributive sono in netto declino – i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri – oggi esistono altri modi per combattere l’ingiustizia sociale, basati sulla rivendicazione delle peculiarità culturali – di genere, etnia, lingua, culto – una rivendicazione che è stata tradotta come diritto alla visibilità individuale ed è legata alle identità collettive, che, pur in assenza di arruolamento e impegno politico-partitico, si delineano come antiautoritarie e socialmente mobilitanti. (Stephen Holmes, Cass Sunstein, Il costo dei diritti, 1999)

Negli Stati Uniti, il più grande ostacolo allo sviluppo di uno stato sociale non è solo l’individualismo, ma la riluttanza di un gruppo a lasciarsi tassare a beneficio di un altro gruppo che non è come loro. Nel loro libro, Stephen Holmes e Cass Sunstein discutono dell’idea che un diritto non è qualcosa che si esercita autonomamente, senza utilizzare risorse collettive, ad esempio utilizzando le tasse per attuare un programma sanitario. I costi di bilancio di tutti i diritti, siano essi sociali o liberali classici, richiedono al governo di svolgere procedure legali pagate con le tasse.

La globalizzazione rende sempre più difficile tassare i ricchi. Hanno sempre più strutture per nascondere le loro risorse. “In relazione ai sussidi, tutte le libertà – dicono – richiedono sussidi”. Certo, i sussidi possono essere regolarizzati e possono essere trasparenti, il che può ridurre al minimo il clientelismo, ma tutti i paesi hanno un certo grado di clientelismo e corruzione, insieme alla pratica di mettere i propri soldi nei paradisi fiscali, evitando il pagamento delle tasse, diventa più e più ampliato.

In un mondo in cui mancano politiche di distribuzione della ricchezza, l’unica risposta alla disuguaglianza è creare le condizioni per essere più uguali, sia in senso economico che sociale: la globalizzazione non solo non ha eliminato la povertà, ma ha aumentato la violenza, creando classi dei nemici, accelerando queste tendenze. In particolare, negli Stati Uniti c’è una piccola ma presente forza nel partito repubblicano – il Tea Party – che crede che, se gli Stati Uniti diventassero un paese multirazziale, non sarebbero più gli Stati Uniti.

Se gli USA hanno privilegiato il melting pot, l’integrazione di nuovi cittadini nel “sogno americano”, concordo con Slavoj Žižek in relazione al multiculturalismo, che sembra essere diventato l’ideologia del nuovo spirito del capitalismo, in una sorta di omogeneizzazione delle culture: “Il multiculturalismo – afferma Žižek – è una falsa risposta al problema, perché da un lato è una sorta di razzismo negato e dall’altro rispetta l’identità dell’altro, ma lo rinchiude nel suo particolarismo. È una specie di neocolonialismo che, contrariamente al colonialismo classico, “rispetta” le comunità, ma dal punto di vista della sua posizione di universalità. D’altra parte, la tolleranza multiculturale è una bufala che depoliticizza il dibattito pubblico, riconducendo le questioni sociali a quelle razziali, quelle economiche a quelle etniche. (S.Žižek, Vivre la fin des temps 2011)

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Slavoj Žižek

All’inizio della crisi economica che colpi il mondo occidentale nel 2008, il presidente Obama disse che il paradosso era che la crisi stessa, che la maggioranza dei banchieri aveva provocato, era legale. Le corporazioni non infrangono la legge, la fanno. Il sistema legale è molto permeabile alla modifica della legge per consenso dei gruppi di potere, che hanno la capacità di influenzare i legislatori che vogliono essere rieletti. In questo modo la legge finisce per essere applicata in modo selettivo e intorno all’indipendenza dei poteri c’è molta mitologia.

D’altra parte, in un mondo essenzialmente iniquo, va ricordato che quelle correnti socialiste dell’Ottocento e del Novecento si sono costituite come punti di raccolta della rabbia collettiva, quella rabbia buona che, secondo Aristotele, è il sentimento che accompagna il desiderio di giustizia. Il momento storico che stiamo attraversando sembra segnato da rabbia e indignazione, indignazione che si e’ espressa nelle rivoluzioni arabe, nel movimento “Occupy Wall Street” negli USA, in tanti movimenti e gruppi sociali – proteste studentesche in Cile , in Messico e in Québec, solo per citarne alcuni, una protesta che avrebbe dovuto obbligare la sinistra a raccogliere e interpretare questi aneliti di libertà, giustizia e uguaglianza, mentre sembra che in questo 2023, questo non abbia fatto altro che provocare il ritorno della conservazione e dei partiti di destra, a volte estrema. D’altra parte, in Francia continuano le agitazioni: da sette anni le piazze sono invase da svariati movimenti di protesta, giovani che si rivoltano contro l’esclusione, l’isolamento sociale, l’impossibilità per i giovani di scalare la scala sociale, soprattutto per i figli delle famiglie migranti, espressi dalla xenofobia, dalla violenza repressa, dalla difficoltà di integrazione nella società francese. Chi raccoglierà le aspirazioni di questi giovani, che hanno diritto al futuro, come tutti i giovani del mondo, oltre l’invisibilità cui sono condannate le giovani generazioni, figli dell’Africa colonizzata e ora cittadini francesi?

cms_31377/Pierre_Rosanvallon.jpgTornando al nostro discorso sul ruolo degli intellettuali, mentre Pierre Rosanvallon critica l’intellettuale generalista, colui che usa la sua fama per dare la sua opinione su tutte le questioni, rifiuta anche il ruolo di consigliere del principe, colui che fabbrica concetti e discorsi a favore del principe. La sociologa argentina Maristella Svampa, di fronte alla crisi degli ultimi decenni -crisi del marxismo, crollo del socialismo reale, ingresso nella globalizzazione neoliberista e successivamente crisi del capitalismo-, definisce così le diverse tipologie di intellettuali: “La domanda di professionalità e la specializzazione dei saperi incide e dà centralità alla figura dell’intellettuale esperto. Sembra scomparsa la figura del legislatore intellettuale (indipendentemente dal segno ideologico) e la sua pretesa di universalità.

Come osserva giustamente Zygmunt Bauman, questa è stata via via sostituita da figure più modeste, ad esempio quelle dell’interprete intellettuale, che si definisce più traduttore e comunicatore del sapere, senza alcuna pretesa legislativa. “Gli ultimi decenni hanno visto anche il sorgere della figura postmoderna dell’intellettuale ironista, colui che, dalla crisi dei linguaggi emancipatori e dei paradigmi totalizzanti, pone un ironico e provocatorio distacco dalla realtà”. (Maristella Svampa, in Topía Magazine, agosto 2012)

Il pensiero critico si nutre della grammatica delle lotte sociali, di quegli altri linguaggi di valutazione che si costruiscono a distanza dal potere – sulla società, la democrazia, le lotte sociali, l’espansione dei diritti. Prodotto di questa sfida è l’emergere della figura dell’intellettuale anfibio. Un intellettuale anfibio è inteso come colui che è definito dalla sua appartenenza a più mondi, che è capace di abitare e attraversare questi vari mondi e discipline, di sviluppare una maggiore comprensione delle diverse realtà sociali, oltre che di se stesso. L’auto-interpellanza, cioè l’indagine sulle condizioni stesse della produzione del pensiero, è un elemento fondamentale che attraversa le nuove figure dell’intellettuale critico, legate alle organizzazioni e ai movimenti sociali. Da questo punto di vista, la battaglia culturale si inquadra nella necessità di rendere conto di lotte invisibili per il potere politico, economico o mediatico, sfidando il buon senso egemonico, per porre questioni reali nel dibattito pubblico.

Ci sono gruppi che riuniscono intellettuali secondo certi orientamenti ideologici: dal 2008 “Carta Abierta” in Argentina ha cercato di consolidare una nuova figura dell’intellettuale politico: non più quella del “consigliere del principe” -come denuncia Rosanvallon- ma, almeno in parte, quella dell’“intellettuale ufficiale”, associato alla politica come “coscienza critica” del corso politico. Cercando di sfuggire a questa polarizzazione, nel gennaio 2012 nasce “Plataforma”, uno spazio collettivo che riunisce intellettuali e operatori culturali di vari campi, preoccupati per le diverse forme di disuguaglianza che la società argentina sta vivendo, come voce indipendente dei diversi poteri –politico, economico, mediatico– cogliendo l’urgenza di un pensiero popolare e critico, al di là dell’egemonia culturale del Partito al potere.

cms_31377/Alain_Badiou.jpgEduardo Gruener pensa al recupero del “comune” di cui parla Alain Badiou, individuando i veri conflitti dell’umanità, il suo vero disagio – come indica Freud – nello sfruttamento, nella fame, nell’alienazione economica e sociale. Chiarire la verità in un “disoccultamento” che ci rimanda a Heidegger: “Questo è il mio unico `principio speranza`, per dirlo con Ernst Bloch –dice Gruener- la crisi del capitalismo offre questa opportunità, per pensare ancora e ancora , il più radicalmente possibile, il futuro di quell’illusione – il recupero del comune, nel pessimismo della volontà e nell’ottimismo della ragione –, anticipando la possibilità che la cultura, così come la conosciamo, scompaia, anticipando, addirittura, che il futuro è barbaro. Questo è, forse, un pensiero tragico, appartenente alla dialettica negativa di Adorno. Ma non deve essere malinconico” – aggiunge. Al contrario, è un investimento “libidico”, che punta al massimo realismo possibile: se la libertà è consapevolezza della necessità, come proponeva Hegel, una crisi come quella attuale dovrebbe offrirci la libertà di dire: questo non deve più essere. (E. Gruener, rivista Topía, agosto 2012).

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Eduardo Gruener

Ma Eduardo Gruener si interroga anche sulla condizione dell’intellettuale, criticando la nozione gramsciana dell’intellettuale organico, sottolineando il non-luogo – alla maniera di Marc Augé – dell’intellettuale, che è drammaticamente solitario: è l’interrogazione socratica che ha domande per cui non ci sono risposte, in un procedimento maieutico che dice sempre quello che gli altri non vogliono sentire. D’altra parte, l’intellettuale in quanto intellettuale, non ha altro che domande. Ma quella solitudine non è incompatibile con il lavoro collettivo, quando scrive, l’intellettuale è solo con la sua anima divisa. Gruener cita Amleto non come oggetto di dubbio e indecisione, ma come colui che chiede – alla maniera di Sartre – le ragioni dell’Essere e del Nulla.

Da questo punto di vista, le battaglie culturali che gli intellettuali intraprendono – nella necessaria distanza critica – sono contro i limiti della propria cultura e dei propri limiti, al di là di quelle che si conducono tra le fazioni del potere, evitando di rimanerne intrappolati in giochi multimediali e nelle loro grossolane semplificazioni.

(Continua)

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Le parti precedenti ai links:

https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_RUOLO_DEGLI_INTELLETTUALI_31170.html#.ZK_hB3ZByUk

https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_RUOLO_DEGLI_INTELLETTUALI_-__II%5E_Parte_31248.html#.ZL6xLnZByUk

https://www.internationalwebpost.org/contents/IL_RUOLO_DEGLI_INTELLETTIALI_-_III%5E_Parte_31315.html#.ZMTiXHZByUk

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Data:

3 Agosto 2023