Il termine solstizio – dal latino sol «sole» e sistere «fermarsi», è un momento cruciale nell’anno astronomico e culturale, poiché segna il giorno più corto e la notte più lunga dell’anno. Tale evento si verifica intorno al 21 o 22 dicembre, ed ha un significato profondo che va oltre la mera visione astronomica.
Ma facciamo un passo alla volta.
Il solstizio d’inverno è dovuto all’inclinazione dell’asse terrestre e al suo movimento orbitale attorno al Sole, e si verifica quando il Sole raggiunge il punto più basso nel cielo a mezzogiorno per l’emisfero nord, traducendosi nel giorno più corto e nella notte più lunga dell’anno. Nell’emisfero sud accade esattamente il contrario, ovvero si verifica il giorno più lungo e la notte più corta poiché, in quel momento, riceve la massima esposizione alla luce solare.
In termini tecnici, il solstizio d’inverno si verifica quando il Sole raggiunge il Tropico del Capricorno, situato a 23,5° a sud dell’equatore. Questo evento segna l’inizio dell’inverno astronomico, che si estende fino all’equinozio di primavera, intorno al 20 marzo.
Ma il solstizio d’inverno non è soltanto un evento astronomico, poiché ricopre un significato culturale molto antico e profondo.
Da che se ne ha memoria, il solstizio d’inverno ha ricoperto un ruolo fondamentale in molte culture, divenendo simbolo di rinnovamento e di speranza. I Nativi Americani, ad esempio, lo celebravano con rituali e cerimonie per rendere grazie di quanto ricevuto nel corso dell’anno e propiziarsi il favore divino per i mesi a venire.
Il festival indù di Diwali – noto anche come Deepavali – è letteralmente il “Festival delle Luci”, dove Diwali simboleggia la vittoria della luce sull’oscurità e del bene sul male.
Nella tradizione pagana nordica abbiamo Yule, che rappresenta la nascita del Sole e il ritorno della luce.
Più vicina a noi, la festività del Natale – che si svolge il 25 dicembre – è influenzata da molte tradizioni pagane legate al solstizio d’inverno. La nascita di Cristo, infatti, è associata al rinnovamento e alla luce che torna al mondo, simile al significato del solstizio. Così recita, nel Vangelo di Luca, la profezia di Simeone quando il neonato Gesù viene presentato al Tempio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, LUCE per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». (Lc 2,29-32)
Vorrei soffermarmi sulla tradizione di Yule.
Etimologicamente, Yule significa “ruota”, richiamando la forma del Sole, un sole apparentemente fermo durante quel preciso momento dell’anno, ma che prelude già la nuova germinazione che tale festa intende celebrare. Yule ricorda, infatti, la nascita del “Sole bambino”, i cui primi timidi raggi sono equiparati ai vagiti del neonato.
Yule è la festa della grande ruota di fuoco, la festa della Luce, onorata con delle vere e proprie rappresentazioni dello scontro tra re quercia e re agrifoglio – due piante importantissime nella cultura celtica – dove il primo riprende il potere sul secondo. A noi può sembrare il contrario, perché la maggior parte delle decorazioni natalizie vedono protagonista l’agrifoglio, ma il potere di cui si parla qui è quello germinativo, cioè il fatto di ricominciare a riprodurre il fogliame sulla propria chioma.
Un’altra usanza delle donne celtiche durante la notte di Yule, era quella di aspettare che gli uomini portassero in casa, per illuminarla, una candela. È la celebrazione della vittoria della Luce sull’oscurità, non soltanto quella esterna ma anche quella interiore. Di fatto, in quella notte il fuoco all’interno delle case era spento perché lo si accendeva proprio in quell’occasione utilizzando il “ceppo di Yule”, ovvero un ramo di quercia caduto, che veniva preso dai capofamiglia e utilizzato per accendere il fuoco nuovo con un pezzetto del ceppo di Yule dell’anno precedente, come simbolo di continuità.
La cultura cristiana non è scevra da queste tradizioni. Il gesto intimo di accendere le candele, ad esempio, è ancora oggi molto sentito, significando il fatto di guardare in profondità dentro noi stessi. E, nel periodo natalizio, oltre alla rappresentazione del presepe, non manca l’abete – o albero di Natale – eredità degli antichi popoli celtici. Nei boschi di abete venivano celebrate le feste più importanti e sacre. La venerazione per questa pianta viene dal suo significato etimologico: “abies” che significa sgorgare. Dagli abeti – considerati delle vere e proprie “cattedrali” naturali – sgorgava, infatti, la resina, sostanza curativa e panacea per molti mali. Dunque l’abete diventa un albero/simbolo tanto per la sua sacralità quanto per il suo apporto al benessere dell’uomo. Non solo. Anche la sua forma è sacra perché i rami dell’abete si dipanano in parallelo al terreno formando la stessa struttura di un cristallo di neve. C’è dunque un richiamo potente alla geometria sacra. Inoltre è un albero maestoso e il suo tronco dritto rappresenta la solidità, l’onestà, la temperanza, la resilienza perché riesce a sopravvivere in periodi in cui il clima è molto rigido, senza perdere le sue foglie.
Yule è dunque una celebrazione antica che affonda le sue radici nelle tradizioni pagane e nei rituali invernali, segnando il periodo del solstizio d’inverno quale ciclo di rinascita e speranza di un nuovo inizio.
Associato alla lotta tra luce e oscurità, il solstizio d’inverno è anche un periodo di introspezione che ci invita a riflettere sul nostro rapporto con il mondo che ci circonda e con noi stessi. Ci sprona a guardare dentro di noi, a riconoscere le nostre ombre e a creare uno spazio per la crescita personale e spirituale. Questo processo di purificazione e chiarificazione può portare a nuove trasformazioni, così come accade in natura. Il solstizio d’inverno è visto anche come un momento ideale per stabilire nuovi obiettivi per l’anno a venire, utilizzando l’energia crescente della luce che ritorna come catalizzatore di un nuovo inizio.