Si può scegliere di andare volontariamente nel posto più atroce creato dalla follia dell’uomo?
Witold Pilecki ufficiale polacco che già aveva partecipato alla resistenza contro il nazismo, decise che infiltrarsi ad Auschwitz era il modo più giusto per ottenere informazioni precise su quanto stava accadendo. Perché giravano voci, si sospettava, ma nessuno all’epoca aveva capito l’enormità dell’orrore.
Così nel settembre del 1940, durante un rastrellamento a Varsavia, invece di scappare e mettersi in salvo andò nella direzione opposta e così si fece arrestare dalla Gestapo. Diede un nome falso, per non mettere nei guai la sua famiglia, e salì su uno di quei treni della morte. L’arrivo al peggiore dei campi di sterminio fu per lui “il momento in cui dissi addio a tutto ciò che avevo conosciuto fino a quel momento su questa terra, per entrare in qualcosa che apparentemente non ne faceva più parte… I nostri concetti di legge e ordine e normalità, tutte le idee alle quali ci eravamo abituati su questa terra, furono brutalmente calpestati. Fu la fine di tutto”.
Ciononostante, Pilecki riuscì a mantenere la forza, non solo di raccogliere informazioni, ma anche di tentare la creazione di una sorta di rete di resistenza, sperando di poter organizzare una rivolta in coincidenza con il salvataggio da parte delle forze alleate.
Cosa che però non avvenne. Perché quando dopo un solo mese di detenzione riuscì a far arrivare agli inglesi un primo rapporto, in cui descriveva gli orrori, gli abusi, la violenza di quel luogo di morte e terrore, non gli credettero. Troppo esagerato. Troppo.
Dopo diversi mesi, approfittando della fuga di alcuni prigionieri, Pilecki fece trapelare un altro rapporto, ma lui riuscì a scappare solo dopo quasi tre anni di prigionia, nella notte tra il 26 e il 27 ’aprile del 1943, dopo essere sopravvissuto alle privazioni, alle violenze e a una aggressiva polmonite. Scrisse un’altra, ultima relazione, ancora più esauriente e dettagliata. Era consapevole di descrivere il male assoluto e che poteva essere difficile credergli, quindi, nella lettera di accompagnamento all’ufficiale polacco che avrebbe dovuto divulgarlo specificò: «Nulla è stato esagerato: anche la minima bugia profanerebbe la memoria di quelle degne persone che persero la vita laggiù».
Eppure, il suo rapporto fu pubblicato solo nel 2000 perché, questa storia, che poteva avere un epilogo migliore, in realtà diventa ancora più crudele.
Dopo la guerra Pilecki si oppose alla dominazione sovietica della Polonia, e rimase fedele al governo polacco in esilio a Londra. Quando rientrò in Polonia, coerente ai suoi ideali, si unì alla resistenza anticomunista. Per questo fu arrestato e nel 1948 fu condannato a morte per tradimento.
Solo dopo la caduta del Muro di Berlino, Pilecki è stato riabilitato e la sua vicenda di straordinario coraggio è diventata finalmente pubblica.
Le citazioni sono tratte dalla traduzione italiana del Rapporto Pilecki, a cura di Annalisa Carena, dal titolo “Il volontario di Auschwitz”, Piemme, 2014