Uscendo alla barriera di Taranto, dall’autostrada A14 che porta fino a Reggio Calabria, si passa per il paese di Massafra, e poi, andando in direzione Taranto, si percorre la via Appia, lasciando scorrere accanto all’autovettura case bianche arroccate su colline brulle, oliveti, piante di fichi d’india selvatici. L’azzurro del mare da un lato ed il bianco dei muri dall’altro. Poi, ad un certo punto tutto inizia a colorarsi di rosso. Un rosso scuro, un rosso innaturale, ruggine e terra mischiati, un rosso che ricopre strade, edifici, campi. La desolazione rossa spande i suoi tentacoli sui monumenti funebri, sui guard rail delle strade, sui balconi delle case. Quelle polveri sono i residui delle lavorazioni dell’ILVA, la grande industria siderurgica che nel 1965, quando era ancora Italsider, inaugurò a Taranto il più grande complesso industriale per la lavorazione dell’acciaio in Europa. All’epoca, gli anni del boom, la sua installazione venne salutata come un regalo, un avamposto di tecnologia e lavoro per tutti, in una zona a prevalente vocazione agricola. L’industria che al Sud diventava eccellenza. Non più contadini, ma operai, non più spaccarsi la schiena nelle campagne, ma al sicuro, inizio e fine lavoro da timbrare col cartellino, con la pioggia o col sole poco cambiava, addio trattori e muli e vigneti, addio calli alle mani. La città di Taranto venne scelta grazie alle sue aree pianeggianti, la vicinanza al mare e quindi la disponibilità di calcare, ed appunto la possibilità di creare posti di lavoro, usufruendo di contributi statali oltretutto. Le cifre hanno dato ragione alle previsioni, visto che nel 2005 sono state individuate 188 imprese pugliesi dell’indotto ILVA, per un fatturato totale di 310 milioni di euro. Però ciò che ha contribuito allo sviluppo demografico ed all’incremento economico, è anche responsabile di danni alle persone, all’ambiente. In un perverso circolo di vita e morte, più l’ILVA produce, più inquina, e più Taranto muore.
Già nel 2012 una perizia epidemiologica obbligò il Gip Patrizia Todisco al sequestro degli impianti, poiché venne stabilito un nesso di casualità ben preciso tra le emissioni inquinanti direttamente prodotte dagli impianti e gli effetti nocivi riscontrati sulle persone. Tumori, ma non solo, anche malattie cardiovascolari, neurologiche, renali e cardiorespiratorie. La polvere rossa che entra nei polmoni, si deposita, limatura al posto del sangue, rosso ruggine nelle vene. E purtroppo la diffusione incontrollata di polveri dipende dal fatto che i parchi minerali sono a cielo aperto, trasportati dal vento come polline mortale, laddove si posa non sbocciano fiori e tutto muore. Ma così come la popolazione è consapevole del danno, si conoscono anche i rischi legati alla chiusura degli stabilimenti. Il dilemma è dover scegliere tra vivere sapendo di correre rischi oppure sopravvivere in attesa di un aiuto da parte dello Stato, di qualcuno che voglia investire, creare lavoro. Ed il Governo è consapevole del conflitto che vive Taranto, tanto che non è stato mai imposto di coprire i parchi minerali in tempi certi, l’adozione di una barriera anti vento e la riduzione dei cumuli sono palliativi, rinviano il problema, ma un’azione di forza potrebbe infastidire l’azienda, perché la copertura dei parchi è la soluzione più costosa tra quelle ritenute necessarie, ed il timore di una dislocazione diversa lascerebbe il cerino acceso nelle mani della politica. Meglio tapparsi gli occhi, non vedere, campare di speranze, ed in questo sono accomunate le persone e le istituzioni.
Ma la Magistratura non è politica, dovrebbe esercitare la giustizia, e quindi ha disposto il sequestro di prodotti finiti e semilavorati, con divieto di commercializzazione. In seguito a questo provvedimento l’azienda, che ha fruito nel tempo di contributi, agevolazioni, linee morbide, ha annunciato la chiusura degli stabilimenti, provocando la reazione dei sindacati, che hanno proclamato uno sciopero. Meglio vivere con la polvere rossa che ricopre il cuore che sopravvivere col cuore che pompa dolore e sogni. Ovviamente le tensioni non sono solo tra governo e azienda o azienda e lavoratori, ma anche tra lavoratori stessi, tra chi non aderisce allo sciopero e chi invece impone le proprie regole, una sciarada umana che terminerà solo quando le regole verranno stabilite ed imposte dall’alto. Lasciando Taranto per prendere l’autostrada A14 si noterà nello specchietto un bagliore rosso, quello della polvere, quello delle bandiere degli operai, quello del sole che tramonta troppo presto in quella parte d’Italia.